È iniziata la crisi del low cost? C’è solo da sperarlo. La RyanAir ha lasciato a terra centinaia di migliaia di passeggeri con la motivazione ufficiale che piloti e personale di volo sono in arretrato di ferie e ora devono farle. Secondo molti commenti questa è una piccola parte della verità, ma già di per sé essa è indice di una situazione gravissima. Per bloccare in forma cosi ampia le attività della compagnia irlandese è necessario che le ferie tra il suo personale siano praticamente sconosciute, cioè che si facciano volare gli aerei con equipaggi che non hanno riposato a sufficienza.
Immaginatevi cosa vuol dire questo per il loro rischio e quello dei passeggeri. Se RyanAir ha fermato i voli vuol dire che la condizione del personale era al limite del consentito dai regolamenti internazionali. Cioè che RyanAir non ha organici sufficienti per far fare ai propri dipendenti riposi e ferie quando essi siano previsti e che quindi accumula ritardi alla fine insostenibili.
Ma pare non sia solo questo a fermare la compagnia, ma anche la fuga dei piloti, che appena possono vanno dove sono pagati di più, condizione che pare non sia difficile trovare. Così quelli che restano devono garantire turni ancora più folli, rinunciare ad altre ferie, fino al crac. E ora anche gli assistenti di volo sollevano la testa, denunciano i salari da fame, i turni terribili e anche l’umiliante costrizione a vendere profumi e gratta e vinci, controllata da gerarchie che pretendono risultati e chiedono conto ai cattivi venditori. Il tutto in un sistema di assunzioni e relazioni con i dipendenti costruito apposta per evitare i vincoli di qualsiasi contratto.
Fino a poco tempo fa un lavoratore che voleva far causa a RyanAir, magari assunto in Bulgaria o in Italia, doveva rivolgersi al tribunale di Dublino, sede legale della multinazionale. Immaginatevi con che possibilità di successo. Ora una sentenza della Corte europea di giustizia di Lussemburgo, solitamente molto disponibile verso il mercato e le multinazionali, ha affermato che RyanAir deve subire le cause dei lavoratori nei paesi dove avvengono le violazioni dei loro diritti.
Questa montagna di guai tutti assieme non è precipitata per caso o sfortuna sulla compagnia irlandese, che è al primo posto in Europa e che si è fatta sentire anche per Alitalia. È il sistema low cost che qui sta raggiungendo i suoi limiti strutturali. Cioè il servizio non può continuare a funzionare contando solo sul supersfruttamento del lavoro. A questo punto la compagnia dovrà cambiare la sua politica dei prezzi o diventare completamente inaffidabile.
Per noi consumatori, che abbiamo goduto e gioito dell’offerta di voli assai convenienti, c’è una lezione da cominciare ad imparare. Se vogliamo continuare a raggiungere in massa mete lontane con l’aereo, abbiamo solo due alternative.
La prima è che ci siano altre leggi sul lavoro e sui mercati che portino lo schiavismo fino alle sue estreme conseguenze, basta con le ferie tanto per cominciare.
La seconda è che i redditi e le retribuzioni di chi ora poteva volare solo lowcost, crescano al punto di permettere l’accesso ai voli normali. Entrambe queste soluzioni sono difficile da attuare, per questo non dovrebbe essere poi così impossibile scegliere la seconda.
Anche se in realtà una terza soluzione ci sarebbe. Quando c’era l’Unione sovietica i voli in quell’immenso paese costavano pochissimo e non perché il personale fosse sfruttato, ma perché il trasporto aereo era considerato servizio pubblico. Quindi capitava che, in un volo che il mattino collegava una città di provincia a Mosca, salissero contadine con frutta o galline da vendere ai mercati. Quello però era il socialismo, sconfitto dal capitalismo liberista, quindi il sistema attuale ci offre solo queste due soluzioni, o si estende ed intensifica la schiavitù, o si redistribuiscono reddito e ricchezza. Finora i consumatori sono stati usati per imporre la prima soluzione.
Si chiudono le guardie mediche, ma i supermercati restano aperti ventiquattro ore, si smantella il servizio pubblico, però quello privato a basso costo prende il suo posto. I consumatori sono diventati sempre più attenti alle merci che comprano, ma non al lavoro che le produce. Stiamo attenti agli ogm, all’olio di palma, al chilometro zero. Ma poi non ci chiediamo se la commessa, che ci serve la domenica, riceva una retribuzione minimamente adeguata al suo pesante sacrificio e se e quando le sia permesso di riposare.
Se il lavoro fosse trattato come una merce di valore, oggi avremmo i contratti di lavoro negli indici di qualità del prodotti. Invece con la globalizzazione liberista il lavoro è diventato la merce più a buon mercato, di cui non vale la pena dare conto. Così, comprando prodotti e servizi low cost ci sembra di essere meno poveri. E non ci rendiamo conto invece che alimentiamo un sistema schiavistico che prima o poi travolgerà anche noi.
Il patatrac di RyanAir ci dice che tutto questo può saltare e che il finto progresso, fondato sul lavoro a basso costo e senza regole, può finire. È una buona notizia per i diritti del lavoro, per la giustizia sociale e magari per il ritorno del servizio pubblico.
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