E’ autunno e la scuola è ricominciata, dopo un’estate in cui si sono susseguite notizie e indiscrezioni che in qualche modo riguardano il delicato settore dell’istruzione. La situazione di partenza la conosciamo piuttosto bene, e ne abbiamo scritto tante volte: l’Italia e’ tra i paesi europei che spende meno in istruzione in rapporto al suo prodotto interno lordo e produce il minor numero di laureati fra i paesi OCSE. Una situazione che tutto sommato s'addice piuttosto bene al disastrato sistema produttivo italiano, che scivola sempre più in basso nella catena del valore internazionale e che quindi non sa che farsene di un numero troppo elevato di manodopera qualificata. Come ciliegina su questa torta (di merda) c’è stata poi l’approvazione della Buona Scuola e con essa l’Alternanza Scuola Lavoro, benedetta dalla Commissione Europea nelle sue raccomandazioni annuali al paese perché (finalmente, vivaddio!) avvicina la scuola al mondo dell’impresa. E cosa c’è di meglio per preparare gli studenti ad essere precari e sfruttati di una bella esperienza di lavoro gratuito? Emblematico da questo punto di vista che fra le 16 imprese selezionate dal governo come “campioni dell’alternanza” vi siano McDonald’s, FCA (ex FIAT), Coop, ...
E a proposito di Alternanza, la sua istituzionalizzazione continua piuttosto spedita. Ad agosto la conferenza stato-regioni ha approvato la “Carta dei diritti e doveri degli studenti in alternanza”. Repubblica, da sempre affezionata sponsor di questo governo, l’ha prontamente definita “la carta contro gli abusi”, con riferimento diretto agli orribili casi di violenza sessuale denunciati da due studentesse di Monza durante lo svolgimento delle ore di Alternanza. Fra le altre cose, la Carta introduce l’assicurazione INAIL per gli studenti durante lo svolgimento delle attività (ammettendo quindi il carattere di lavoro vero e proprio dell’esperienza!), introduce dei criteri più stringenti per quanto riguarda il rapporto fra tutor e studenti (5 studenti per ogni tutor interno, per attività ad alto rischio, 8 per ogni tutor per attività a medio rischio e 12 studenti per ogni tutor per attività a basso rischio) e introduce la valutazione della coerenza e dell’efficacia del tirocinio svolto da parte dello studente. Musica per le orecchie dei sostenitori, che ahinoi abbondano nella sinistra c.d. “riformista”, quelli del “l’alternanza sì se ben regolata”. Ci pare evidente che il punto politico dirimente dovrebbe essere invece quello del rifiuto dell’alternanza in toto. Non si tratta di migliorarla, ma di rifiutarla in quanto meccanismo del processo di precarizzazione assoluta del mercato del lavoro che è in corso, ed è per questo che crediamo non si possa attendere oltre per avviare processi organizzativi reali che provino a mettere in discussione questo nuovo e terribile strumento.
In linea con questa tendenza appare essere un’altra notizia che vogliamo prendere in considerazione in questa breve rassegna. La Regione Emilia Romagna ha di recente deciso di posticipare (a partire dal prossimo anno scolastico) il rientro nelle aule dopo le vacanze estive, per venire incontro alle esigenze del settore turistico. Posticipando l’inizio delle lezioni al terzo week-end di settembre, si prolungherebbe infatti la stagione turistica, portando così più introiti ad operatori della “mitica” riviera romagnola e non solo. Albergatori & co. dimostrano quindi una certa ingordigia, visto che grazie all’alternanza scuola lavoro e a tirocini vari usufruiscono già di una quota crescente di manodopera a costo quasi zero. La Regione, dal canto suo, si piega alla logica che il futuro dell’economia italiana si basi sempre più su settori a basso valore aggiunto e ad alto tasso di precariato come il turismo.
Si inserisce perfettamente nel quadro iniziale che abbiamo delineato anche la notizia dell’avvio della sperimentazione nel 2018 del cosiddetto “liceo breve”. Nei cento istituti scolastici che hanno aderito alla sperimentazione verrà selezionata una classe che compirà il percorso in 4 invece che negli usuali 5 anni, sostenendo però almeno teoricamente lo stesso carico didattico e certamente lo stesso esame di maturità degli studenti che faranno il percorso in 5 anni. Non e’ un’idea del tutto nuova, perché era stata già lanciata dalle ex ministre Carozza e Giannini, e se ne può tracciare l’origine fino ad una proposta di Berlinguer.
Un interessante recente articolo a commento della misura smonta subito una delle giustificazioni adottate dal governo per promuoverla, ovvero “dobbiamo uniformarci al resto d’Europa, dove la scuola finisce prima”. In realtà l’articolo fa notare come nei paesi europei dove si ottengono i risultati migliori la scuola superiore finisce a 19 anni, esattamente come in Italia allo stato attuale. Più’ plausibile quindi che il governo auspichi un risparmio consistente (che il Sole 24 Ore calcola nell’ordine dei 150 miliardi di euro) derivante dalla misura (tramite ad esempio la riduzione del numero di insegnanti).
La logica appare ancora una volta coerente con il tipo di rapporto fra il sistema produttivo e quello d’istruzione: accelerare l’ingresso nel mercato del lavoro di manodopera non particolarmente formata, coerentemente al tipo di esigenze dell’impresa italiana.
L’articolo citato si conclude con una nota da tenere bene a mente quando si andranno a valutare i risultati di questa sperimentazione fra qualche anno: i criteri di selezione dei 100 istituti non sono neutrali, perché sono stati selezionati gli istituti più moderni e innovativi. Che cosa succederebbe se questa misura venisse adottata anche alla periferia del sistema educativo, dopo averla fatta scaltramente passare come un elemento premiante gli studenti migliori dei licei più rinomati? A tale riguardo, non è secondario sottolineare come per far digerire all’opinione pubblica l’avvio del liceo breve l’attuale governo abbia utilizzato appunto uno strumento comunicativo tipico dei mesi in cui veniva lanciata la Buona Scuola renziana: viene utilizzato l’amo della “meritocrazia”, tema tanto caro anche a certi elettori di sinistra formalmente non sostenitori del PD, per inserire elementi peggiorativi nel settore della formazione. Non è un caso che la Buona Scuola sia stata la meno contestata delle riforme dell’istruzione degli ultimi 25 anni, e che di nuovo ora l’attuale proposta di liceo breve abbia trovato la strada pressoché sgombra da opposizioni.
Infine, un’ultima nota che non poteva mancare in questa breve rassegna. In un mondo ideale le notizie sui gruppi “no-gender” andrebbero relegate alle pagine che recensiscono romanzi fantasy, e invece purtroppo siamo costretti a parlarne come un fatto di stretta attualità. E’ notizia di una decina di giorni fa che Forza Italia e il fantomatico comitato “Difendiamo i nostri figli-Family Day” hanno compilato una “schedatura” di tutte le scuole bolognesi, classificandole in base al tasso di “ideologia-gender” (sic!) contenuta nei loro programmi scolastici. Il PD è insorto contro l’iniziativa e la Ministra Fedeli ha criticato il comitato, difendendo l’autonomia degli istituti scolastici nel definire l’offerta formativa.
Tutto bene quindi? Insomma, perché questa estate la Ministra aveva ben pensato di incontrare 4 associazioni di genitori appartenenti alla galassia “No-Gender” (Generazione Famiglia / CitizenGO; Non Si Tocca La Famiglia; Comitato Articolo 26; Pro Vita Onlus). Fra le cose discusse all’incontro stante la nota pubblicata dalle associazioni c’era il rilancio del Patto di Corresponsabilità Educativa pubblicato ormai 10 anni fa del Ministro Fioroni, in cui dovrebbe trovare più’ spazio il consenso informato alle famiglie sulle attività proposte dalla scuola. Evidente la speranza dei gruppi “no-gender” che nel nuovo patto ci siano ulteriori appigli per bloccare attività considerate ispirate dalla fantomatica ideologia gender. Dato che la Ministra nel commentare i fatti di Bologna si è riferita anche al lancio del nuovo Patto di Corresponsabilità (che avverrà il 21 novembre) occorrerà che tutti i sostenitori di una scuola pubblica, laica e plurale tengano gli occhi bene aperti.
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