Occorre anzitutto ricordare che lo Stato spagnolo è uno Stato imperiale. Proprio sull’idea di Spagna “una, grande e libera”, la borghesia spagnolista ha costruito storicamente le basi per un’espansione imperiale in America latina e per la repressione delle comunità nazionali che abitano dentro gli stessi confini statali: baschi, catalani, galiziani, etc. Per capirci, come ha confessato lo stesso (ex) monarca, il giorno prima di morire il dittatore Francisco Franco chiese una sola cosa a “sua altezza” il Borbone Juan Carlos I: preservare l’unità dello Stato spagnolo. Di fatti, la transizione (dalla dittatura fascista al sistema corrotto di alternanza tra i partiti) si è sviluppata attorno a due condizioni innegoziabili: il modello economico capitalista e la repressione delle opzioni politiche indipendentiste.
Questo perché la élite economica e politica che governa lo Stato spagnolo (la stessa dai tempi del franchismo), è perfettamente cosciente che un processo costituente dentro lo Stato potrebbe aprire scenari di trasformazione radicale in senso democratico e progressista. Per questo, negli ultimi cinquanta anni lo Stato spagnolo ha provato ad eliminare fisicamente, con la repressione legale e con una crudele guerra sporca, l’indipendentismo basco; per questo, oggi, è in atto un golpe fascista contro le istituzioni catalane che hanno proclamato un referendum.
Certamente, la borghesia catalana ha avuto e continua ad avere un ruolo da protagonista nel processo verso il referendum, ma il corso degli eventi sta permettendo alla sinistra anticapitalista, riunita nella Candidatura di Unità Popolare (Cup), di guadagnarsi sempre di più una posizione centrale nel dibattito popolare sull’indipendenza. Questa creativa ed efficace formazione politica basa le sue proposte politiche sulla partecipazione dal basso e sul potere popolare, rivendicando l’autogoverno del popolo catalano come opportunità di democratizzazione dello Stato. D’altronde, come affermò il grande intellettuale galiziano, Alfonso Castelao: “Para que España sea roja, republicana y roja, anteriormente esta España tendrá que estar rota”.
Per tutte queste ragioni, nei Paesi Baschi, in Andalusia, a Madrid, i sindacati e le organizzazioni popolari sono scese in piazza in difesa del referendum in Catalogna. Speriamo allora che quest’intervista a Quim Arrufat serva per fomentare iniziative di solidarietà (già partite in diverse città italiane) con il popolo catalano e contro la repressione militare e poliziesca del governo del Partido Popular.
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Per voi che ne rappresentate l’anima popolare e anticapitalista, qual è il senso politico di questo processo democratico che ha portato alla proclamazione del referendum? Perché le classi popolari devono appoggiarlo?
Nell’ultimo decennio le classi popolari dello Stato spagnolo hanno sviluppato una lettura politica comune sul regime uscito fuori dalla transición pattuita con il fascismo nel ’78. Infatti, è evidente che la partita con i partiti nazionalisti spagnoli si gioca su un tavolo in apparenza democratico, ma che in realtà è truccato alla base, perché fa vincere sempre gli stessi. Si è consolidata così una struttura economica di natura oligarchica e un potere politico contrario agli interessi popolari.
Occorre, quindi, rovesciare questa struttura imposta dalla transizione, e per farlo ci sono due opzioni differenti. La prima è la vittoria a livello statale di forze politiche alternative e costituenti (principalmente Podemos e i diversi indipendentismi periferici e progressisti). Quest’opzione lo scorso anno è arrivata a un limite con il 20% raggiunto alle elezioni da Podemos; un ottimo risultato ma molto lontano dai 2/3 al Congresso che servono per portare avanti un progetto costituente.
La seconda opzione è invece quella del referendum in Catalogna, che permetterebbe l’apertura di un processo democratico con l’obiettivo di stabilire nuove regole del gioco, per lo meno nell’eventuale Repubblica Catalana. Però, un referendum in Catalogna non potrà mai avvenire con il consenso del regime, ed è per questo che, con una maggioranza nel parlamento catalano delle forze indipendentiste, abbiamo organizzato il referendum senza chiedere il permesso allo Stato spagnolo.
Tornando alla questione iniziale, quindi, è giusto appoggiare la proclamazione di un referendum vincolante sulla creazione di una Repubblica catalana proprio perché rovescia quel tavolo di gioco (solo apparentemente democratico) su cui si basa il potere economico e politico del regime. D’altronde, è proprio per la paura di veder rovesciato questo tavolo che il governo sta portando avanti un golpe contro le istituzioni catalane. Cade così la maschera di sistema democratico e liberale, e si attaccano apertamente le libertà politiche della società catalana, con un dispiegamento incredibile di forze di polizia e dell’esercito.
Di fatto, le vicende degli ultimi giorni dimostrano che questo è un territorio occupato, senza diritti politici reali, senza sovranità popolare, un territorio che non ha diritto di opinione, che non può portare avanti progetti politici contrari agli interessi dei partiti nazionalisti spagnoli. In questo senso, la rottura con il regime del ’78 apre la porta a un’infinità di possibilità democratiche in Catalogna. Ma non solo, per effetto domino, un cambio in Catalogna può influire positivamente su tutte le correlazioni di forza dello Stato spagnolo.
In questo contesto, come sta reagendo il popolo catalano alla dura repressione dello Stato spagnolo?
Hanno trovato una società stufa della prepotenza e dell’autoritarismo dello Stato, che dura da molti anni e su molti temi. Da fuori si tende a interpretare la rivendicazione catalana come una questione folcloristica, vincolata al rispetto dell’identità, della lingua, etc. E invece no, la nostra è una rivendicazione politica, economica, democratica, che ha a che vedere con la questione del potere. Chi ha il potere? Lo Stato o il popolo? Dove sta il potere? Nei loro tribunali, o tra di noi che vogliamo distribuirlo democraticamente?
Il problema è politico, ed è per questo che si sono trovati di fronte a una società ben organizzata, che sta rispondendo in massa alla repressione, con allegria, senza paura. Il governo non se l’aspettava, perché anche loro hanno creduto alle bugie diffuse da tutti i mezzi di comunicazioni privati e pubblici dello Stato spagnolo: è solamente una cosa passeggera, un trucco della borghesia catalana, una strategia elettorale... E invece, ora che hanno mandato esercito e polizia, si stanno rendendo conto che qui c’è un popolo capace di scendere in piazza a qualsiasi ora del giorno e della notte. La gente oramai è cosciente dell’importanza del momento storico: o il primo ottobre riusciamo ad installare le urne, oppure la repressione dello Stato sarà così feroce da farci retrocedere a più di quaranta anni fa.
Di fronte a questa situazione, noi come popolo, come cittadini e cittadine, abbiamo deciso di non indietreggiare di un millimetro, non vogliamo lamentarci, piangere, denunciare all’Onu la repressione; no, il nostro obiettivo è votare, svolgere il referendum, perché se non riusciamo a installare le urne siamo finiti come società democratica.
Al di là delle questioni interne allo Stato spagnolo, noi crediamo che sia giusto sostenere l’autodeterminazione del popolo catalano perché potrebbe creare nuove opportunità politiche in tutto lo spazio europeo. Quali sono le prospettive internazionaliste della Repubblica Catalana che volete costruire come sinistra anticapitalista?
In questi giorni, nello Stato spagnolo si stanno organizzando tantissime iniziative a favore del referendum. Ora che stanno inviando tutte le forze militari in Catalogna, abbiamo bisogno che in tutto lo Stato si alteri l’ordine pubblico. Farlo è semplicissimo: manifestarsi, organizzare un dibattito, pronunciarsi a favore del referendum è considerato come un delitto, allora basta stampare un manifesto a favore dell’autodeterminazione o delle schede elettorali (che la Guardia Civil sta cercando dappertutto) per alterare l’ordine pubblico ed aumentare la pressione sullo Stato.
Agli altri popoli, invece, non chiediamo di manifestare a favore dell’indipendenza, sarà la società catalana a dover scegliere in maniera libera, tranquilla, democratica sulla volontà o no di creare una repubblica indipendente. Facciamo invece un appello internazionale a manifestarsi a favore del diritto a decidere, del diritto dei popoli a portare avanti un progetto politico indipendente e libero, e quindi a favore della realizzazione di un referendum in Catalogna.
Manifestare a favore del referendum in Catalogna non è fare solidarietà unidirezionale verso i catalani e le catalane, la nostra infatti è una lotta per l’Europa dei popoli. Quando la Grecia per affrontare la Troika ha chiamato il popolo al referendum (vincendolo), avremmo dovuto convocare uno sciopero generale in tutta Europa. Dovevamo capire che la lotta della Grecia era una lotta contro l’Europa della Troika, del capitalismo, del razzismo, del neoliberismo, degli Stati autoritari, e invece non siamo stati capaci di portare avanti una lotta unita ed efficace a livello internazionale. La Grecia non solo uscì sconfitta, ma anche sola, e oggi già ci siamo dimenticati della Grecia.
La prossima battaglia che ha la possibilità reale di alterare l’ordine politico in Europa, di aprire una finestra di democrazia e quindi un progetto popolare di nuovi diritti sociali, è quella che viviamo oggi per la Repubblica catalana. Se anche questo progetto morisse sotto i colpi dello Stato spagnolo senza ricevere l’appoggio e la solidarietà delle classi popolari europee, allora vorrebbe dire (ancora una volta) che non siamo stati capaci di inserirci nelle crepe del sistema, negli spazi di opportunità che si aprono, come l’altro anno in Grecia o con le elezioni di Podemos in Spagna.
Proprio per questo non chiediamo di essere solidali per fare un favore ai catalani e alle catalane, ma per portare avanti una lotta che appartiene alle classi popolari di tutta Europa. Chiediamo allora di appoggiare questo processo perché potrebbe cambiare le correlazioni di forza in tutto lo spazio europeo, aprendo quindi nuove e interessanti opportunità di cambiamento.
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