Quindi una chiusura profondamente critica, con cui Rohani ha lanciato un monito all’intera assise internazionale “Il governo americano dovrebbe spiegare alla sua gente perché l’uso di miliardi di dollari, beni del popolo statunitense e della nostra regione, invece di contribuire alla pace e stabilità ha prodotto solo guerra, miseria, povertà e ascesa di terrorismo ed estremismo”. Per il resto l’intervento del leader iraniano ha tenuto toni costruttivi e anche autocelebrativi. Il presidente-mullah ha ricordato come solo pochi mesi fa il suo popolo gli ha confermato un mandato con grandi numeri di partecipazione (“41 milioni di elettori si sono recati alle urne, scegliendo la linea della moderazione e del rispetto dei diritti umani”), la sua linea.
Dopo le scudisciate del capo, Rex Tillerson tesse la tela per provare a rendere praticabile la revisione del Joint Comprehensive Plan of Action, meglio noto come il patto sul nucleare iraniano, sancito da Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania. Se Trump aveva tagliato corto parlando d’azzeramento, la via burocratica con cui si cerca di neutralizzarlo è più sottile. Il presidente Usa ha tempo sino al 15 ottobre per riferire al Congresso se l’Iran stia lavorando per mettere in pericolo la ‘sicurezza statunitense’. Se riuscisse a dimostrarlo e ricevere un assenso, potrebbe rilanciare verso l’Onu la ridiscussione del patto. Quella che era una promessa elettorale e l’accrediterebbe agli occhi di elettori e detrattori. “America first!” per coerenza e fermezza. Sicuramente troverebbe contrarie Russia e Cina, ma il tignoso Tillerson non demorde.
Per ora consta la contrarietà dell’Alta rappresentante Eu per la politica estera Mogherini e del presidente francese Macron, sul quale, si dice, stia preparando un lavoro ai fianchi sul cavillo non dell’abrogazione bensì di una “revisione dell’accordo”. A chi lo pressava per novità sulla sua iniziativa, l’ex capo esecutivo della Exxon entrato nello Studio Ovale dichiarava “In ogni trattativa, prima di constatare la possibilità di realizzare passi in avanti il quadro si presenta sempre nero. Finora ho visto strette di mano e nessun urlo” se ne deduce massima fiducia nelle strategie future.
Nelle disposizioni del Jcpoa non c’è un tema tanto caro a Trump nel recente personale braccio di ferro con rocketman-Kim: l’armamento missilistico. L’arsenale iraniano e le conseguenti ricerche tecnologiche di Teheran non erano state limitate proprio perché – come hanno constatato gli osservatori internazionali, ha sempre sostenuto durante i due anni di colloqui il ministro degli Esteri Zarif e ieri ha ribadito Rohani – hanno uno scopo unicamente difensivo. Ma in discorsi sul Medio Oriente in fiamme, di cui il presidente iraniano ha ricordato nazioni e popoli islamici (in Yemen, Siria, Iraq, Bahrein, Afghanistan) oggetto di aggressioni, è inevitabile che si entri nel merito di strumenti di difesa, sebbene l’Iran impegni su certi fronti soprattutto “consiglieri” dotati di armi leggere.
Il filo che il Segretario di Stato statunitense tende verso gli alleati occidentali per cucire una revisione degli accordi dei 5+1 è quello dell’ingerenza iraniana nei focolai di crisi. Ovviamente il pulpito è totalmente screditato per sermoneggiare verso altri, cosa che Trump e Tillerson sanno benone. Ma loro rilanciano la politica del cow-boy che spara preventivamente su tutto quel che si muove per sentirsi al sicuro e giocare col cadavere più che col nemico vivo.
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