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21/09/2017

La ragione galileiana del mondo: la tecnologia

Nel 1845 nell’Introduzione a La situazione della classe operaia in Inghilterra Engels scrisse che: «la storia della classe operaia in Inghilterra ha inizio nella seconda metà dello scorso secolo, con l’invenzione della macchina a vapore e delle macchine per la lavorazione del cotone [e] mentre con la prima macchina [la cosiddetta Jenny] si sviluppava il proletariato industriale, la stessa macchina dava anche origine al proletariato agricolo [...]. Il proletariato [in altre parole è] stato creato dall’introduzione delle macchine [nel ciclo produttivo]» (MEW 2, 237, 240, 250/31, 34-35, 44).

Ma da quando lo sviluppo della tecnologia ha iniziato a significare qualcosa di primaria importanza per gli uomini? In che modo essa è divenuta funzionale allo sviluppo della produzione? E soprattutto per il tramite di chi la tecnologia moderna è divenuta il pensiero politico fondamentale con cui la classe borghese in formazione riuscì a rovesciare il vecchio mondo per riscriverne un altro?

Secondo Marx ed Engels le risposte a tali quesiti arriveranno solo quando riusciremo nel difficile compito di elaborare una Storia critica della tecnologia: ma da dove essa sarebbe dovuta ripartire a riflettere lo sviluppo della tecnologia stessa non è dato ancora saperlo; forse dalla prima rivoluzione industriale?

A seguire Marx e Engels sembrerebbe di sì. Tuttavia, sulla base di ricerche ulteriori, La ragione galileiana del mondo. Tra metafisica, filosofia e tecnologia (Guida Editori, pp. 283, euro 18), di Angelo Calemme, pare non essere d’accordo. Secondo quest’ultimo infatti prima di cominciare a parlare di una storia critica della tecnologia, sarebbe più opportuno individuare quando lo sviluppo di una logica degli oggetti tecnici divenne una preoccupazione di primaria importanza per gli uomini. Attraverso una sorta di genealogia della prima modernità, quella classica, con Calemme scopriamo come converrebbe incominciare a retrodatare l’origine di una storia critica della tecnologia di almeno un secolo e mezzo prima della prima rivoluzione industriale e cioè fino al 1610, anno in cui Galileo Galilei, con i sui strumenti di lavoro, «svincolò il pensiero della natura dalla volontà divina e innalzò l’oggetto tecnico a organo di conoscenza».

In altre parole quando Galilei, con un atto puramente politico, fece del mito scientifico dell’autonomia degli oggetti tecnici (e dell’indipendenza che la filosofia con questi ultimi raggiunse nell’ordine di una Nuova scienza) il nuovo fondamento ontologico su cui scrivere una nuova gerarchia della società, quella della prima modernità. Ciò è stato dimostrato da Calemme in un denso ma chiaro volume, che ad un certo punto non solo rilegge gli scritti del Pisano e dei suoi detrattori, ma addirittura riesce a restituirli al lettore in forma quasi filmica in quei rivoluzionari effetti politici di verità che distrussero l’autorità di Aristotele e della Chiesa per crearne una di nuovo genere.

Come scrive lo stesso Calemme, la sua ricerca è riuscita, attraverso una prospettiva completamente diversa da quelle tradizionali, a dimostrare che Galilei con la sua filosofia tecnologica è divenuto l’irrinunciabile «padre simbolico delle scienze esatte o naturali [...]; che egli fu prima di tutto un filosofo e solo poi uno scienziato, precisamente un filosofo politico e solo poi un fisico moderno; che la galileiana elaborazione ontologica del metafisico concetto di una natura indipendente e di un pensiero automatico e oggettivo delle cose (la tecnologia nell’accezione moderna del termine) ha, in maniera determinante, rivoluzionato la cultura [...] del XVI e XVII secolo, agglutinando e organizzando, sulle macerie di essa, un nuovo orizzonte di senso; che la complessiva rivoluzione galileiana dei saperi ebbe la sua origine e trasse il suo primo cruciale sviluppo nella diffusione, parallelamente accademica e cittadina, di una opinione privata, che, ad un certo punto della sua divulgazione, seppe farsi convinzione politica; che quest’ultima [...], sulla base del consenso che riuscì a provocare attorno a sé, arrivò a [...] organizzare la lotta politica [della borghesia nascente] contro le autorità tradizionali» (pp. 267-268); che Galilei, al contrario di quanto ancora si creda sul suo conto, debba la sua svolta storica rivoluzionaria non all’eliocentrismo o alla matematizzazione del mondo, ma alla scoperta di un pensiero (non tanto con gli oggetti ma) degli oggetti; questo è un aspetto del tutto inedito di Galilei e che con Calemme vale la pena di accogliere se si vuole elaborare prima o poi una storia rigorosa della tecnologia.

Inoltre se il testo di Calemme può sembrare superfluo, per chi come noi, marxianamente, volesse riflettere sul ruolo, per nulla neutro, che la tecnologia ricopre nel dominio borghese della società, scoprirà invece che è uno scritto assolutamente necessario, ad esempio, per comprendere la svolta digitale del mondo.

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