Tre indizi fanno una prova: dalle pagine di questo giornale più volte ci siamo soffermati sul carattere geopolitico che la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen vuole imprimere all’Unione. Così come avevamo segnalato, dopo l’omicidio di Soleimani, l’invito rivolto all’UE dal Commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni ad assumere un ruolo da protagonista nella competizione globale, accelerando sul fronte della costruzione dell’esercito europeo.
Ma così chiaramente come nell’articolo pubblicato l’8 febbraio sul Sole 24ore a firma di Josep Borrel, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza nonché vice Presidente della Commissione europea, forse nessuno si era mai espresso.
Diciamo che Borrel non usa giri di parole e già il titolo dell’articolo lascia poco spazio agli equivoci e alle interpretazioni “Questa Europa deve ricominciare a parlare il linguaggio del potere”.
Ancora più esplicito l’incipit “Gli sconvolgimenti geopolitici a cui stiamo assistendo dimostrano quanto sia urgente che l’UE rifletta sul suo ruolo in un contesto globale sempre più segnato da politiche fondate su puri e semplici rapporti di forza. Noi europei dobbiamo adeguare le nostre mappe mentali per confrontarci col mondo quale è, e non quale speravamo che fosse. Viviamo in un contesto dominato dalla competizione geostrategica, in cui alcuni leader non esitano a ricorrere alla forza ed usare strumenti economici di altro tipo le come armi. Se non vuole essere schiacciata dalla concorrenza tra USA e Cina, l’UE deve riapprendere il linguaggio del potere e riconoscere il proprio ruolo di attore geostrategico di primo pano”.
Tradotto: pensavate di vivere in un mondo all’interno del quale l’Unione europea avrebbe promosso la pace e la pacifica convivenza tra popoli? Beh avete capito male (o meglio, siamo riusciti ad illudervi ma adesso basta...), svegliatevi dal sogno e calatevi nella realtà perchè lo scontro tra potenze globali non si può fare col ramoscello d’ulivo.
Certo nell’articolo il vice Presidente della Commissione europea simula rammarico per l’impossibilità di tenere fede alle nobili intenzioni alle quali puntava il progetto europeista (la pace, la reciprocità, la promozione dello Stato di diritto e blablabla) ma, superato agevolmente lo sconforto, arriva rapidamente al punto centrale del suo ragionamento: il mondo è cambiato e “purtroppo ci troviamo in una realtà ben più dura”.
E allora come si deve porre l’Europa di fronte a questo nuovo scenario?
Ebbene Borrel rimprovera una eccessiva debolezza e frammentazione che caratterizzerebbe la politica estera europea e punta l’indice verso quella regola dell’unanimità che paralizzerebbero ogni decisione, indebolendo l’Unione e privandola di quella necessaria strategia geopolitica.
Insomma, dinanzi all’incalzante competizione inter imperialistica, non si può perdere troppo tempo tra veti ed ostacoli perchè le cose da fare sono sin troppo chiare e andranno fatte. A maggior ragione quando si parla di politica estera.
D’altronde si sa l’unanimità è una regola che può fare molto comodo in alcune occasioni ed essere un ostacolo da superare in altre, ma la geometria variabile delle regole è parte integrante di quella asimmetria e profonda diseguaglianza che sin dall’inizio ha caratterizzato il processo europeista.
Ma al di là di questo, che si scriva “ruolo geopolitico dell’UE” o “linguaggio del potere”, come preferisce Borrel, si legge sempre nella stessa maniera: imperialismo europeo.
Con buona pace di chi continua a parlare di Europa dei popoli ed antidoto alla guerra.
I processi non hanno mai un andamento lineare avanzano tra spinte e resistenze, tra accelerazioni e frenate. Quello che conta, una volta inquadrato lo scenario ed il contesto, è coglierne la dinamica mettendo insieme quegli elementi che, solo se messi in connessione, consentono di ricostruirne la direzione e la traiettoria.
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