Otto militari turchi e almeno 13 soldati siriani sono rimasti uccisi in scontri a fuoco diretti tra i due eserciti nella provincia di Idlib, ultima roccaforte ancora in mano agli jihadisti in Siria e che Damasco intende riprendere sotto il proprio controllo
Durante la notte tra domenica e lunedì, la Turchia ha inviato a Idlib un grande convoglio militare attraverso il suo confine meridionale. Da Idlib circa 390.000 persone, l’80% delle quali sono donne e bambini, sono fuggite dalle proprie case a partire dal 1 ° dicembre, dicono le Nazioni Unite, e altre 400.000 sono state portate al confine turco da aprile. Le forze armate turche mantengono 12 posti di osservazione a Idlib per monitorare un accordo del 2018 che è stato frequentemente violato da entrambe le parti.
Il ministero della difesa della Turchia ha dichiarato che le forze turche sono state inviate a Idlib come rinforzo e attaccate lì nonostante la notifica preventiva delle loro coordinate alle autorità locali.
L’accusa è stata però contestata da funzionari di Mosca, i quali hanno dichiarato che Ankara non è stata in grado di notificare i suoi movimenti delle truppe durante la notte a Idlib e che i soldati turchi sono stati colpiti dal fuoco siriano diretto contro i “terroristi”, un riferimento ai miliziani collegati ad al-Qaida ad ovest di Saraqeb.
La Turchia è intervenuta militarmente in Siria tre volte fino ad oggi nelle operazioni transfrontaliere contro le forze guidate dai curdi appoggiate dagli USA, ma lo scontro avvenuto lunedì è stato un raro confronto diretto contro le truppe di Assad e le milizie alleate di quest'ultimo.
Pur essendo schierati su fronti opposti sul teatro siriano, Mosca e Ankara hanno in gran parte cercato di coordinare le loro azioni. Sebbene la Turchia dipenda dalla cooperazione russa per continuare le sue operazioni nel nord-est della Siria e nonostante i legami commerciali, energetici e di difesa dei due paesi, gli sviluppi di lunedì indicano un crescente attrito nei rapporti. Ulteriori combattimenti tra forze turche e truppe siriane potrebbero rischiare una grave escalation nel conflitto in corso ormai dal 2011 in Siria.
Il presidente turco Erdogan ha chiesto alla Russia e a Putin di non mettersi in mezzo: “Il nostro interlocutore non siete voi, ma il regime siriano, non provate ad intromettervi”, ha dichiarato. Erdogan ha anche aggiunto che l’esercito turco continuerà con i raid “per mettere in sicurezza il Paese”. Si parla di 122 attacchi di artiglieria e 100 con tiri di mortaio contro 46 bersagli dell’esercito siriano.
Sempre parlando lunedì, il presidente turco ha dichiarato che l’operazione a Idlib era in corso e ha ribadito un avvertimento per i sostenitori di Assad a Mosca di non ostacolare l’azione turca. “Coloro che mettono alla prova la determinazione della Turchia nei confronti dell’Idlib siriano con attacchi così insidiosi realizzeranno il loro errore”, ha detto Erdogan ai giornalisti prima della sua partenza da Ankara per l’Ucraina.
Idlib e la campagna circostante sono nominalmente tutelati da un accordo di de-escalation mediato da Mosca e Ankara a settembre 2018. Tuttavia, i combattimenti nell’area sono costantemente peggiorati da quando la milizia jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ex affiliata siriana di al-Qaida, è emerso come il gruppo dominante nell’area l’anno scorso.
Damasco e Mosca sostengono che l’affermazione di HTS legittima la campagna contro Idlib in quanto stanno prendendo di mira i terroristi non coperti dall’accordo di cessate il fuoco che hanno rafforzato gli attacchi contro Aleppo tornata sotto il controllo del governo siriano.
Le agenzie di soccorso, tuttavia, affermano che gli attacchi aerei hanno colpito duramente la città e avvertono che la popolazione di Idlib di 3 milioni di persone è ancora a rischio della più grande crisi umanitaria del conflitto.
Migliaia di famiglie si stanno attualmente rifugiando in scuole, moschee e tende vicino al confine turco senza cibo o medicine adeguati al clima invernale.
L’ultimo tentativo di cessate il fuoco per Idlib il 12 gennaio è stato ignorato dal governo siriano, che invece ha accelerato i suoi sforzi, catturando diversi villaggi e la città chiave di Maarat al-Numan sulla strategica autostrada M5 la scorsa settimana.
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