“Se il paese avesse un solo sindacato sarebbe meglio. Il sistema industriale è uno solo, al suo interno ci sono diverse proprietà. Sarebbe meraviglioso che succedesse la stessa cosa con i sindacati. Lo sostengo da tanti anni il pluralismo sindacale non giova al paese perché per definizione un sindacato deve andare più avanti dell’altro e in questo caso la concorrenza non può essere virtuosa. È una concorrenza che non ha senso perché il paese è unico”.
A pronunciare queste parole al convegno celebrato a Torino per i 110 anni di Confindustria, è il prof. Romano Prodi, alfiere, unitamente ad altri leader “progressisti” del centrosinistra, di quelle privatizzazioni che negli anni '90, in nome della presunta necessità di abbattere il debito pubblico, hanno sacrificato asset strategici (trasporti, telecomunicazioni, energia elettrica e grande industria siderurgica e meccanica) per sancire l’ingresso del nostro paese nel dispositivo dell’Unione Europea.
Tra le righe traspare chiaramente il pensiero dell’ex presidente del Consiglio: lavoratori ed imprenditori si collocano sullo stesso piano, il conflitto deve essere espunto dalla dinamica capitale/lavoro e conseguentemente il pluralismo sindacale diventa un intralcio da sostituire con un sindacato unico totalmente asservito alla logica della competitività.
Ma naturalmente il prof. Prodi non è il solo a pensarla così. Oltre tutta la pletora dei “modernizzatori” del paese, anche l’attuale segretario della Cgil Landini, aveva rilanciato qualche mese fa l’idea del sindacato unico sostenendo che non sussistessero più ragioni valide per un fronte sindacale diviso.
E d’altronde come dargli torto... Unitariamente Cgil Cisl e Uil si sono genuflessi alle politiche dell’UE; unitariamente, per stare all’attualità, hanno sostituito la timida richiesta di una riforma fiscale con la piena ed entusiasta accettazione del cuneo fiscale e, sempre unitariamente, contribuiscono da decenni allo smantellamento dei pilastri del welfare, divenendo nei fatti ed agli occhi dei lavoratori pressoché indistinguibili.
Gli enti bilaterali, i fondi pensione, il welfare integrativo e tutti gli organismi congiunti sviluppatisi in questi anni hanno poi prodotto una commistione di interessi con l’impresa che ne ha determinato la loro totale subalternità senza che questo avesse nulla a che fare con i diritti dei lavoratori.
E nel tentativo di normalizzare il panorama sindacale e sanzionare il dissenso (per gli oppositori politici ci pensano i decreti sicurezza) come in un club privato hanno introdotto nei contratti pubblici un articolo che preclude l’accesso alla contrattazione integrativa a chi, come l’USB, non si è piegato alla sottoscrizione di un CCNL fortemente regressivo sul piano dei diritti e del salario.
Nel privato, invece, il monopolio della rappresentanza da loro esercitato preclude da sempre la stesura di una legge sulla rappresentanza davvero democratica e che garantisca finalmente ai lavoratori il diritto di scegliere da chi essere rappresentati senza discriminazioni ed in ossequio con quanto previsto dalla Costituzione.
Possono quindi dormire sonni tranquilli il prof. Prodi & company perché quel sindacato unico che auspicano esiste già nei fatti.
Ma l’incubo di una forza sindacale come l’USB che continua a tenere alta la bandiera dei diritti e che non è comprimibile alle logiche della compatibilità continuerà a turbare i sonni di questi campioni della democrazia e del progresso.
Se ne facciano tutti una ragione.
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