I governi rivali libici, quello di Accordo Nazionale (Gna) di Tripoli
e quello non riconosciuto internazionalmente di Tobruk (est Libia)
hanno concordato a riprendere i negoziati per raggiungere un cessate il
fuoco durevole. A dirlo è stata lunedì la Missione di sostegno
delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil). L’Unsmil ha accolto con favore
l’accettazione di Tripoli e Tobruk di tornare ai colloqui del Comitato
militare 5 + 5, basato sul progetto di accordo che l’Onu aveva
presentato alle due parti a febbraio. Sul suo sito, l’Unsmil ha anche
precisato che il nuovo ciclo di colloqui avverrà tramite
videoconferenza, esprimendo la speranza che la serietà e la
responsabilità prevarranno durante i suoi lavori.
Segnali di conferma della ripresa del dialogo sono giunti da
Tripoli che ha riferito di aver riavviato i negoziati con la Missione
dell’Onu. “Il comitato del Gna mantiene ancora i suoi punti
fermi per la ripresa dei colloqui che sono la richiesta di ritorno degli
sfollati e il ritorno dell’Esercito nazionale libico (Enl) [guidato
dal generale Haftar e che fa capo a Tobruk, ndr] a dove si trovava prima
dell’offensiva su Tripoli”, ha spiegato una fonte dalla capitale
riportata dall’Agenzia Nova. Il Gna ha anche affermato
che i colloqui 5 + 5 “inizieranno presto” e che il loro ritorno ai
negoziati “rientra nel quadro di fermare lo spargimento di sangue dei
civili”. Un massacro di civili che, da quando Haftar ha avviato
la sua offensiva contro Tripoli nell’aprile 2019, non si è mai fermato.
Emblematico il fatto che una tregua raggiunta a gennaio da Russia e
Turchia (che sostengono rispettivamente l’Enl e il Gna) sia fallita
miseramente: l’Onu ha documentato infatti da allora più di 850
violazioni.
L’annuncio di una possibile ripresa del dialogo cambia però al momento ben poco la situazione sul terreno.
Ieri le forze di Haftar hanno denunciato di aver individuato il 28
maggio a Misurata l’arrivo di una nave partita da Istanbul carica di
mezzi blindati M60 della compagnia turca Cirkin. Al Mismari ha anche
affermato che una nave italiana (“non parte dell’operazione navale
europea Irini”) avrebbe localizzato quella turca senza fermarla. Il
portavoce dell’Enl ha poi riferito di “importanti operazioni militari
sul fronte a sud di Tripoli” da parte degli uomini di Haftar:
l’Aeronautica militare dell’Lna ha fornito copertura aerea sopra la
città di Gharyan verso la zona di al Aziziya per impedire alle forze di
Tripoli di riunirsi. “Le nostre forze armate hanno effettuato un
riposizionamento per costringere le milizie a ritirarsi”, ha detto
al-Mismari. L’ufficiale libico ha anche osservato che “il popolo della
città di al Asabia ha accolto con favore l’ingresso delle forze fedeli a
Haftar nella sua città e che le forze del Gna “hanno iniziato a
ritirarsi da Gharyan”, aggiungendo che “tutti i tentativi della milizia
di entrare nella città di Tarhuna sono miseramente falliti”. Entrare a Tarhuna è settimane tra gli obiettivi principali delle forze del Gna sostenute dalla Turchia:
dopo la presa dell’importante base aerea di al-Watiya, prendere
possesso della città potrebbe voler dire spegnere del tutto le speranze
dell’Enl di conquistare la capitale Tripoli.
Ma lo scenario libico si fa sempre più esplosivo anche per il coinvolgimento dei partner stranieri. Venerdì
scorso il Comando degli Stati Uniti in Africa (Africom) ha detto di
voler inviare una squadra di addestratori per l’esercito tunisino. L’annuncio
ha scatenato non pochi malumori tra le forze politiche in Tunisia che
leggono questa dichiarazione come un tentativo americano di coinvolgere
Tunisi nel conflitto libico. Ipotesi smentita immediatamente
dall’Africom che invece sottolinea come al centro del colloqui della
scorsa settimana tra il ministro della Difesa tunisino Hazqui e quello
di Africom Townsend vi sia stato solo l’arrivo di una unità per
addestrare i soldati tunisini nell’ambito della formazione congiunta tra
Tunisia e Stati Uniti. Una dichiarazione che però contrasta con quella
iniziale di venerdì dove il target era stato esplicitamente la Russia.
L’Africom, infatti, aveva parlato di utilizzare una brigata di
assistenza alle forze di sicurezza alla luce delle attività condotte
dalla Russia in Libia. “Mentre la Russia continua a soffiare sul fuoco
del conflitto libico, la sicurezza regione in Nord Africa è di una
preoccupazione crescente” aveva detto Townsend.
Che Washington guardi con sempre più preoccupazione alle
mosse della Russia nello stato nordafricano dopo il presunto invio di
quest’ultima di aerei da guerra per Haftar è evidente. La
scorsa settimana il generale statunitense Gregory Hadfield, vice
direttore del dipartimento intelligence di Africom, ha dichiarato che il
sostegno russo potrebbe non incidere sullo stato della guerra civile
libica in corso, ma potrebbe aiutare la Russia ad assicurarsi una
roccaforte geostrategica in Nord Africa. “Se la Russia si assicura una
posizione permanente in Libia o, peggio, impiega i suoi sistemi
missilistici a lungo raggio – ha spiegato Hadfield – potrebbe esserci un
cambio di passo in l’Europa, nella Nato e in molti paesi occidentali”.
Mentre la guerra continua in Libia con il suo carico di morti (almeno 5 civili uccisi domenica in un bombardamento presumibilmente di Haftar), c’è chi dall’estero ne approfitta.
Ankara, il cui contributo militare è stato fondamentale negli ultimi
due mesi per far passare il Gna da forza assediata a forza assediante,
vuole infatti battere cassa. E così due giorni fa il ministro
dell’Energia turco, Fatih Donmez, ha detto che il suo governo sta
pianificando di iniziare l’esplorazione petrolifera tra 3 o 4 mesi entro
i confini marittimi stabiliti da un memorandum d’intesa firmato da
Ankara e Gna lo scorso novembre.
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