La vicenda ha dell’incredibile ma non è affatto insolita.
Alcuni lavoratori ArcelorMittal hanno pubblicato sul proprio profilo Facebook uno screenshot che invita a vedere la fiction “Svegliati amore mio”, interpretata su Canale 5 da Sabrina Ferilli, e per questo l’azienda ha comminato loro una sanzione disciplinare con immediata sospensione dall’attività lavorativa, interdizione ai luoghi di lavoro e richiesta di giustificazioni entro 5 giorni.
Il tutto firmato da Arturo Ferrucci, Responsabile delle Risorse Umane nonché delfino dell’Ad Lucia Morselli.
A denunciare questa inaccettabile arroganza padronale è Francesco Rizzo, coordinatore della Usb all’ArcelorMittal di Taranto.
ArcelorMittal accusa i dipendenti di aver messo in cattiva luce la gestione dello stabilimento, anche se nella serie tv non si fa riferimento ad ArcelorMittal e/o comunque i fatti riportati sono relativi a circa dieci anni fa, quindi eventualmente all’epoca della gestione dei Riva.
Non è la prima volta che ArcelorMittal tenta di mettere il bavaglio ai lavoratori che, a questo punto, vengono privati anche della possibilità di avere e condividere un’opinione in merito agli effetti, acclarati, dell’attività industriale in ambito sanitario e ambientale.
Gravissimo il continuo tentativo di alimentare a tutti i costi un clima di terrore all’interno dello stabilimento.
“L’USB chiede che intervenga il governo con i ministri Giorgetti e Orlando, e che Invitalia batta finalmente un colpo” – scrive Francesco Rizzo in un comunicato diffuso oggi – “Se si vuole veramente fare una discussione seria, va cacciato chi come Morselli e i suoi sodali, con comportamenti vigliacchi e fascisti, continua a provocare odio e disperazione sul territorio e nelle famiglie dei dipendenti”.
Che le direzioni aziendali scrutino le pagine facebook dei propri dipendenti e adottino sanzioni verso i propri dipendenti che magari approvano, condividono o commentano notizie sgradite all’azienda, sta accadendo spesso. Le aziende invocano l’articolo sulla “infedeltà aziendale” per sanzionare chi le mette in cattiva luce. E talvolta basta anche un like su un post sgradito ai padroni.
È il caso di un’impiegata di 43 anni licenziata in tronco da un azienda di Forlì per giusta causa dopo aver scritto sui social frasi fortemente critiche sulla società per cui lavorava. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della donna contro i licenziamento, dichiarando dunque legittimo l’allontanamento. La vicenda risale al maggio del 2012.
Ma qualche anno dopo, con la Sentenza 13799 del 2017, la stessa Corte di Cassazione in un altro caso aveva ritenuto illegittimo il licenziamento del dipendente perché il contenuto del commento postato non era diffamatorio.
Anche in un altro caso, nel 2019 contro Michele Gaglione, lavoratore ed ex Rsu della Flai Cgil dello stabilimento “La Doria” di Acerra (Napoli), licenziato nel 2018 per un post su facebook ritenuto lesivo dall’azienda , è stato poi reintegrato. L’estrema sanzione disciplinare è stata ritenuta “del tutto sproporzionata e ingiustamente afflittiva” da parte del giudice del lavoro del tribunale di Nocera Inferiore, che ha accolto il ricorso
Insomma siamo oltre la “polizia del pensiero” e ben oltre la violazione della libertà di espressione da parte delle aziende. Sarebbe sbagliato far finta niente.
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