L’aggressione ucraina al Donbass, che, a dispetto delle ripetute proclamazioni di cessate il fuoco, non è mai completamente smessa, ormai da almeno tre mesi sta andando paurosamente intensificandosi e gli allarmi su un possibile attacco su larga scala alle Repubbliche popolari si fanno ogni giorno più pressanti.
Il 3 aprile, un bimbo di quattro anni è rimasto ucciso sotto i colpi di un drone ucraino in azione sopra i quartieri civili di Aleksandrovskoe, nei pressi di Enakievo, una cinquantina di km a nordest di Donetsk; una donna è rimasta gravemente ferita.
Due giorni prima, i colpi di artiglierie pesanti esplosi dalle truppe ucraine contro la Repubblica popolare di Lugansk, avevano provocato la morte di un miliziano della LNR.
Da tempo, LNR e DNR denunciano il concentramento di mezzi pesanti ucraini lungo la linea di demarcazione, in violazione degli accordi di Minsk: accordi che, d’altra parte, Kiev non ha mai rispettato, né nei punti specificamente militari, né in quelli politici. Ora, la situazione è giunta a un tale livello di gravità, che le Repubbliche popolari hanno proclamato la mobilitazione generale per gli uomini dai 18 ai 27 anni.
Tre mesi, si diceva: più o meno la proclamazione ufficiale a Presidente di Joe Biden, il quale, senza farsi mancare nulla in giro per il mondo – Cina, Russia, Siria, Iran, Venezuela, Cuba, ecc. – ha però un rapporto privilegiato di antica data con Kiev. E non stiamo parlando dei 50.000 dollari mensili dalla Burisma Holdings in Ucraina, che il di lui pargolo, Hunter, ha ora messo nero su bianco essersi sputtanato in alcol e narcotici.
Quelli sono gli spiccioli, destinati a far contento un ragazzo che di gas conosceva solo quello dell’accendino. No; la posta è molto più alta, anche se è proprio il gas, quello russo, però, a costituirne una buona fetta.
I recenti video sulle provocazioni operate da naviglio, subacqueo e di superficie, militare e “civile”, di Paesi NATO, all’interno della zona di sicurezza di 1,5 miglia attorno alla piattaforma posa-tubi che sta ultimando il “North stream 2”, sono lì a testimoniarlo. Quando le sanzioni non bastano, si passa alle vie di fatto!
Ma questi tre mesi sono solo un tiepido assaggio di quello che Kiev potrebbe imbastire non appena il terreno, dopo il disgelo primaverile, sarà abbastanza solido per il peso dei corazzati. E, questa volta, con le manovre NATO tutt’intorno ai confini russi, l’avventura ucraina potrebbe trasformarsi in una catastrofe non solo locale.
Non da ora, infatti, USA e NATO stanno impartendo i compiti a casa ai propri vassalli, perché si adeguino alla “campagna d’Europa”.
Del resto, le recenti esternazioni di Jens Stoltenberg a proposito dell’applicazione dell’art. 5 dell’Alleanza atlantica, sono considerate dal politologo Anatolij Vasserman un’aperta dichiarazione per cui la «NATO è pronta a entrare in guerra a fianco dell’Ucraina contro la Russia».
Le parole di Stoltenberg «indicano chiaramente che egli sta parlando non solo dei Paesi membri della NATO, ma anche degli Stati cui la NATO è interessata dal punto di vista “gastronomico”: Georgia, Moldavia, Ucraina». Stoltenberg ha ricordato come, già nel 2008, fosse stato detto che, prima o poi, Ucraina e Georgia saranno membri della NATO; ciò significa che «è stata assicurata all’Ucraina la copertura in caso di ennesima operazione terroristica contro il Donbass», ha detto Vasserman.
Le parole di Stoltenberg sul fatto «che un attacco informatico, possa portare all’applicazione dell’articolo 5», non sono che la ripetizione di un chiaro concetto yankee: allorché, lo scorso 2 febbraio, il presidente ucraino Vladimir Zelenskij aveva firmato il decreto per sanzioni contro le ultime emittenti televisive critiche nei confronti della junta e poi, il 25 febbraio, aveva bloccato d’un colpo 426 siti internet, l‘ambasciata USA a Kiev aveva annunciato che «Gli Stati Uniti sostengono gli sforzi per proteggere la sua sovranità e integrità territoriale, in conformità con le leggi che l’Ucraina ha emanato per contrastare l’influenza dannosa della Russia».
A questo punto, è difficile non vedere nell’aggravamento della repressione interna un segnale della preparazione di qualcosa di grave all’esterno.
Il sito anti-spiegel.ru riporta una breve cronistoria delle ultime settimane in cui, oltre ai decreti di cui sopra, si ricorda come il 9 e 10 febbraio scorsi, il Ministro della difesa ucraino Andrej Taran avesse incontrato Jens Stoltenberg e questi avesse giustificato l’accresciuta presenza NATO nel mar Nero con l’importanza strategica della regione.
Il giorno seguente, poi, Taran aveva offerto alla NATO di utilizzare lo spazio aereo sopra la Crimea. L’11 marzo, in un comunicato stampa sui colloqui con la NATO, Kiev aveva detto che si erano discussi «i vettori strategici dell’integrazione ucraina nella NATO in campo militare, in particolare nel quadro del Partenariato per le opportunità rafforzate».
Quindi, il 10 marzo, il capo di gabinetto presidenziale, Andrej Ermak, dichiarava che Kiev aveva elaborato un piano di “regolazione pacifica della situazione in Donbass”, già sottoposto all’attenzione di Parigi e Berlino (le due capitali, insieme a Mosca e Kiev, del cosiddetto “quartetto normanno”) e tale piano attendeva solo l’approvazione di Mosca.
Così che, se Mosca non fosse stata d’accordo con tale piano – ammesso che Kiev lo abbia davvero presentato alle tre capitali – Ermak avrebbe potuto dichiarare che la Russia «non vuole la fine della guerra» ed è contraria «all’offensiva di pace in Donbass».
Il 13 marzo, poi, l’ex Presidente Leonid Kravčuk affermava che «se Mosca non reprime gli appetiti», è possibile un grande conflitto, e aggiungeva che «sono convinto che gli USA dovrebbero prender parte alla questione, dato che il conflitto in Donbass non è solo una questione ucraina ed europea, ma un possibile conflitto su larga scala».
In fin dei conti, sostiene il politologo dell’Università di Mosca Aleksandr Šatilov in un’intervista a Novorosinform, il “formato normanno” ha fatto il suo tempo. Tant’è che, dopo le dichiarazioni di Kiev sul fantomatico “nuovo piano” per il Donbass, il 30 marzo Vladimir Putin ha avuto un colloquio telefonico con Macron e Merkel, senza Zelenskij.
Dunque, afferma Šatilov, il colloquio “a tre” mostra l’interesse di Mosca a risolvere la questione senza tener conto degli obiettivi di Washington e degli altri curatori della junta ucraina, poiché il Donbass rappresenta un problema comune per la Russia e l’Europa.
Al momento, sostiene il politologo russo, «c’è preoccupazione reciproca di russi ed europei per l’aperto desiderio di Washington di trascinare l’Ucraina in un’altra avventura in Donbass, il che comporterebbe l’inevitabile coinvolgimento russo nel conflitto e trascinerebbe forse anche gli europei nelle ostilità».
Da parte sua «Washington sta invece brigando in ogni modo proprio per un conflitto. Ecco dunque il “formato a tre”, in modo da evitare fughe di informazioni verso Washington».
Ovviamente, «è difficile immaginare quanto i leader europei ascoltino Putin; ma almeno saranno preoccupati per la possibilità di un’escalation del conflitto. Altra cosa è che Merkel e Macron sono leader di paesi a sovranità limitata, le cui élite dipendono in gran parte da Washington».
Nemmeno a farlo apposta, lo stesso giorno del colloquio telefonico Putin-Macron-Merkel, il New York Times riferiva che il giorno precedente il comando europeo dell’esercito USA aveva elevato al massimo livello lo stato di allerta delle proprie forze, per l’aggravarsi della situazione in Donbass e «il concentramento delle truppe russe vicino al confine con l’Ucraina».
Se queste sono le manovre “politiche”, sul terreno della guerra guerreggiata e in attesa dell’attacco ucraino, scrive Svetlana Gomzikova, diecimila volontari russi sono già pronti a partire per il Donbass.
L’attacco, secondo il vice Ministro per l’informazione della DNR, Daniil Bezsonov, potrebbe iniziare il 2 maggio, con massicci bombardamenti su Gorlovka e Donetsk. Già da un mese, Kiev sta diffondendo fake news su presunte provocazioni russe contro l’Ucraina; alla Rada, si parla con insistenza non di guerra civile interna ucraina in Donbass, ma di conflitto tra Russia e Ucraina.
I “padrini” esteri di Kiev hanno affidato all’esercito ucraino il compito di intensificare le azioni belliche, in modo da costringere la Russia a compiere passi che la facciano apparire quale aggressore, dopo di che verranno lanciati a Mosca altri ultimatum da parte di USA e loro alleati.
I piani vengono messi a punto al Pentagono, afferma il corrispondente di guerra Jurij Kotenok su Svobodnaja pressa; e contingenti (per ora, non particolarmente ampi) di militari stranieri, soprattutto americani, sono segnalati nelle aree di Kramatorsk, Avdeevka, Krasnogorovka.
Ma non si tratterà di un attacco portato da un’unica enorme massa di fanteria, afferma Kotenok. Si concentrerà il fuoco di artiglierie e mezzi reattivi su singole aree, dopo di che, su quelle cercheranno di avanzare reparti limitati di uomini. Oltre alle direttrici indicate da Bezsonov, saranno cruciali anche l’area meridionale di Mariupol e le zone di Aleksandrovka e Staromikhajlovka, più prossime a Donetsk.
Ma, naturalmente, Gorlovka è quella cui più puntano i comandi ucraini. Segno inequivocabile della preparazione di un attacco, oltre ai concentramenti di mezzi e uomini sempre più vicini alla linea di demarcazione, è quello dello sminamento di percorsi di accesso al fronte, per aprire la strada ai mezzi corazzati.
Inquadrando la questione in una cornice più ampia, curioso osservare come una voce non particolarmente pacifista, come The National Interest, rilevi le “amenità” dei primi mesi di gestione Biden: dallo stop, dietro pretesto “ecologico”, alla “Keystone Pipeline”, che provocherà migliaia di disoccupati in USA e Canada, al bombardamento in Siria delle milizie sostenute dall’Iran, alla cortesia rivolta a Putin di essere “un killer”, all’incontro a gamba tesa in Alaska con la Cina, alla mezza rottura con la Germania sul “North stream 2”.
Ora, scrive TNI, in USA «si illudono che la Russia sia una potenza in declino e non sia quindi necessario venire a patti con essa, come hanno fatto in Germania. C’è abbastanza verità in questa convinzione, da farla sembrare plausibile, anche se in fondo è sbagliata. Non c’è motivo di credere che la Russia crollerà nel prossimo futuro, o si ritirerà di fronte all’Occidente» e anche un ritiro di Putin dalla scena, difficilmente sarebbe positivo per l’Occidente: al suo posto potrebbero venire «accesi nazionalisti, meno responsabili dell’attuale leader».
In generale «la strategia russa è quella di riprendersi, in una forma o nell’altra, i confini dell’ex URSS. L’obiettivo occidentale è impedire che ciò accada».
The National Interst non dimentica nemmeno la Cina, le cui relazioni con la Russia sono ora, forse, più «strette e coordinate che in qualsiasi momento storico precedente. Ciò ha reso possibili esercitazioni militari congiunte e l’acquisto di gas naturale russo da parte della Cina».
Gli Stati Uniti non possono continuare ad «opporsi a Cina e Russia a tutti i livelli, senza contribuire allo sviluppo di un’alleanza sino-russa di lunga durata, che finirà per dissolvere il potere degli Stati Uniti. Limitarsi semplicemente a far pressione sulla Russia non è politica».
Qualcuno glielo dica alla famiglia Biden e ai suoi laudatori di qua dell’Atlantico.
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