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06/04/2021

La democrazia orba dei «valori fondamentali del progetto europeo»

A parere del capo della “diplomazia” UE, Josep Borrell, l’avvicinamento tra Mosca e Pechino non è dettato solo da motivi economici, ma «si fonda in primo luogo sul rigetto dei valori democratici e sulla contrapposizione a quello che essi considerano una “ingerenza” nei loro affari interni».

Borrell ricorda anche che le sanzioni UE riguardano varie persone e organizzazioni russe e cinesi, responsabili di “violazione dei diritti umani”: sia ai danni di “minoranze sessuali” in Cecenia, che della minoranza ujgur in Xinjiang. Ovviamente, Borrell ha qualificato come «sproporzionate e infondate» le contro-sanzioni adottate dalla Cina, concludendo che esse «non fanno che sottolineare le nostre diversità, allorché si tratta di principi democratici e libertà fondamentali».

Ora, questa nota non pretende di indagare rapporti sociali o differenziazioni di classe di Russia e Cina attuali, né tantomeno addentrarsi nelle categorie leniniste di “democrazia”, “libertà”, “dittatura”, “Stato”, e del loro carattere storico e di classe. La Rete ha in programma, come primo appuntamento, lo studio di quello che, tra i numerosi testi di Lenin in cui tali questioni vengono “popolarizzate” scientificamente, è forse il più famoso e puntuale. Qui, molto più semplicemente, si vorrebbero solo ricordare alcuni singoli casi in cui i “valori democratici” europeisti balzano maggiormente all’occhio.

Non parliamo del caso italiano – le conferme sulle borrelliane “nostre diversità” sarebbero troppe, per ricordarle tutte – in cui, solo per limitarsi alle ultime ore, ad esempio, la “libertà fondamentale” di non morire di fame perché si resta democraticamente senza lavoro è stata così altamente “valorizzata” da quell’impresa marchigiana che ha mandato a casa 400 dipendenti su 560, trasferendo il 70% della produzione in Polonia.

La Polonia, appunto, in cui il tentativo del governo di mettere fuori legge il Partito comunista, visto che «si tratta di principi democratici e libertà fondamentali», riceve il tacito assenso della Commissione UE. Già un paio di mesi fa, ricorda il sito web idcommunism.com, la vicepresidente della Commissione europea, la ceca Vera Jourová (tra gli “eroi” della sciagurata risoluzione del 19 settembre 2019) in risposta a un’interrogazione di Kostas Papadakis, del KKE, aveva giustificato i progetti di Varsavia con l’equivalente slovacco, che definisce il Partito comunista una “organizzazione criminale e riprovevole”. Del resto, Polonia e Slovacchia sono già accomunate nella persecuzione giudiziaria dell’aborto: perché non allargare il tiro?

Ora, ancora la Jourovà, recitate le giaculatorie di prammatica su «Democrazia, Stato di diritto e diritti» quali «valori fondamentali del progetto europeo», finge di non essere a conoscenza della richiesta del Procuratore generale e del Ministro della giustizia polacchi, per la messa al bando del PCP e della stessa “idea comunista e bolscevica”. Occhio non vede...

Così, finché la Commissione europea «continuerà a monitorare» – a modo suo, diciamo noi – «gli sviluppi relativi allo Stato di diritto, alla democrazia e ai diritti fondamentali», nei Paesi baltici si potrà tranquillamente continuare a discriminare la popolazione di lingua russa (che, tra l’altro, non è esattamente una “minoranza”).

In Lettonia, in cui sono quasi il 40%, i russi “non cittadini” non hanno diritto di voto; ma, per ottenere la cittadinanza, oltre a una perfetta conoscenza della lingua, sono richieste precise nozioni storiche sui “crimini” della “occupazione sovietica” e si mettono in galera i giornalisti che si fanno interpreti dei diritti di quelle “minoranze”.

Accade in Estonia, con Sergej Sidorenko e in Lettonia con Alla Berezovskaja, collaboratori di Baltnews e Spunik: il loro “delitto” sarebbe legato alle sanzioni UE contro il Direttore di Rossija oggi, Dmitrij Kiselëv, da cui dipendono Baltnews e Sputnik.

Se la discriminazione linguistica nei tre Paesi baltici non raggiunge i livelli dell’Ucraina golpista, sono però pratica comune le multe salate se si viene sorpresi a parlare in russo, non solo negli uffici pubblici: in materia ne sa qualcosa l’ex sindaco di Riga Nil Ušakov; anche se si può esser multati o addirittura arrestati semplicemente per aver indossato magliette con simboli sovietici, mentre si rischiano anni di galera se si mettono in dubbio le “verità ufficiali”, anche del passato più recente.

Al contrario, ricevono continuamente gli onori presidenziali e vengono innalzati al rango di eroi nazionali e “partigiani” contro “l’occupazione sovietica” gli ex “fratelli dei boschi”, i cui rifugi del periodo della guerra vengono ora ripristinati, con fondi europei, per incrementare il turismo neo-nazista, organizzando visite “storico-ricreative” nei luoghi di attività dei “fratelli dei boschi”, che furono agli ordini dei nazisti durante la guerra e continuarono a eseguire imboscate e stragi per buona parte degli anni ’50.

Come scrive Evgenij Bersenev, i due milioni di euro destinati al restauro di oltre 150 rifugi in Estonia e Lettonia, sono stati stanziati dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale, che considera tali strutture “patrimonio militare”. In Lettonia, il progetto è curato dall’Associazione di turismo rurale “Viaggiatore di campagna”, che suddivide i siti per periodi storici: Prima guerra mondiale e “lotta per l’indipendenza”, Seconda guerra mondiale, attività dei “fratelli dei boschi” e “periodo dell’occupazione sovietica”.

Sul sito web dell’Associazione, il banditismo dei “fratelli dei boschi” è definito periodo del “movimento partigiano nazionale” di resistenza “al potere rosso”. Nei percorsi “turistici” sono naturalmente inclusi i “Musei dell’occupazione” (sovietica) a Riga e Tallin, e il memoriale “Vittime del regime comunista”, nel cimitero Matis, a Riga.

Difficilmente, i turisti verranno condotti, sempre al Matis, a visitare le tombe dei comunisti, socialdemocratici, sindacalisti, giustiziati nella Lettonia borghese tra il 1918 e il 1940, oppure le fosse comuni dei soldati sovietici morti in guerra.

Quest’altra visita non rientra tra i «valori fondamentali del progetto europeo».

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