Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

09/09/2021

Hezbollah e il petrolio iraniano

La gravissima crisi economica in cui è precipitato da un paio d’anni il Libano è in parte responsabilità delle potenze occidentali e regionali, interessate più a combattere i propri rivali strategici sul territorio del “paese dei cedri” che a provvedere ai bisogni di una popolazione allo stremo. A questo proposito, una singolare competizione si sta disputando nelle ultime settimane attorno a possibili aiuti, sotto forma di petrolio o gas naturale, da recapitare in Libano. La vicenda mette di fronte gli Stati Uniti e i loro alleati in Medio Oriente all’Iran e all’asse della “Resistenza” sciita, con Washington che rischia seriamente di veder crollare sotto il peso di politiche contraddittorie e insostenibili la propria residua influenza su Beirut.

Uno degli aspetti più pesanti per i libanesi è la carenza di energia elettrica, arrivata a essere disponibile solo per poche ore al giorno, con l’aggravante della difficoltà anche nel reperire carburante da utilizzare per i generatori delle abitazioni private. A causa di questa situazione, molti servizi pubblici essenziali, a cominciare dagli ospedali, non possono funzionare in maniera regolare.

L’accumularsi dei problemi nel paese aveva spinto il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ad annunciare poco dopo la metà di agosto un accordo con l’Iran per l’invio in Libano di tre navi petroliere provenienti dalla Repubblica Islamica. Il greggio così ricevuto e tuttora in viaggio nel Mediterraneo dovrebbe servire ad alleviare, anche se in maniera molto parziale, le sofferenze della popolazione libanese, secondo Hezbollah senza nessuna discriminazione, anche se la priorità verrà data a settori come quello ospedaliero, alimentare e dei trasporti. A causa di difficoltà di ordine legale, visto che l’accordo non è stato stipulato dallo stato libanese, le navi attraccheranno sulla costa siriana e il petrolio sarà poi trasportato in Libano via terra.

La notizia dell’iniziativa era stata data in un discorso pubblico da Nasrallah il 19 agosto scorso, mandando in crisi l’amministrazione Biden. Letteralmente qualche ora dopo, l’ambasciatrice americana a Beirut, Dorothy Shea, aveva infatti contattato telefonicamente il presidente libanese e alleato di Hezbollah, Michel Aoun, per comunicargli una contro-iniziativa americana per aiutare la popolazione.

L’idea partorita a Washington prevede un complicato intreccio logistico che dovrebbe portare il gas naturale egiziano in Libano attraverso la Giordania e, addirittura, la Siria. Questo piano non è inedito, ma non è evidentemente di facile implementazione, soprattutto in tempi brevi. Il coinvolgimento della Siria, inoltre, richiede almeno la sospensione delle sanzioni punitive applicate dagli USA attraverso il cosiddetto “Caesar Act”, destinato a colpire qualsiasi entità che intrattenga rapporti economici o commerciali con Damasco.

La mossa di Washington appare al limite del disperato ed è dettata dalla necessità di competere con Hezbollah e i suoi alleati, in primo luogo l’Iran, per l’influenza sul Libano. Gli Stati Uniti e Israele si sono ritrovati disarmati di fronte all’iniziativa di Nasrallah, poiché quest’ultimo ha sfidato i propri nemici a fermare con la forza le petroliere iraniane. In uno scenario simile, come si rende perfettamente conto il governo di Tel Aviv, Hezbollah scatenerebbe una devastante ritorsione contro obiettivi strategici in territorio israeliano.

La proposta americana di portare il gas dall’Egitto al Libano per generare energia elettrica ha anche comportato l’ammissione di fatto da parte degli USA del loro ruolo nella crisi del paese affacciato sul Mar Mediterraneo. Il governo di Washington, in altre parole, avrebbe piena facoltà di far pervenire aiuti in varie forme alla popolazione libanese, ma ha scelto deliberatamente di voltare le spalle per ragioni legate soltanto ai propri interessi strategici. Strangolare economicamente il Libano rappresenta cioè una tattica per alimentare il malcontento della popolazione anche contro Hezbollah e, attraverso il discredito del “Partito di Dio”, indebolire l’ascendente di Teheran su Beirut.

Con l’accordo sulla fornitura di petrolio iraniano, però, si è prospettato lo scenario opposto, tanto più che il campo rivale di Hezbollah, ovvero quello sunnita legato soprattutto all’Arabia Saudita, non ha finora mosso un dito per alleviare la crisi libanese. Anzi, è nel Golfo Persico che vanno ricercate le responsabilità della mancata formazione di un governo a Beirut, dove i negoziati politici sono in corso fin dalle dimissioni dell’ultimo esecutivo con pieni poteri seguite alla disastrosa esplosione nel porto della capitale nell’agosto del 2020.

Il piano degli Stati Uniti sta intanto procedendo, anche se i dettagli dell’operazione restano avvolti nel mistero. Mercoledì, i rappresentanti dei governi di Giordania, Egitto, Libano e Siria si sono incontrati ad Amman per dare il via libera all’operazione. Il ministro del petrolio di Damasco, Bassam Tohme, ha assicurato comprensibilmente la piena disponibilità del governo di Bashar al-Assad. Per la Siria sono evidenti i vantaggi derivanti dalla partecipazione al progetto americano al di là della sua riuscita, visto che implica l’allentamento almeno parziale della morsa delle sanzioni.

Qualunque sia l’esito della contesa in atto, l’intera vicenda ha fatto già emergere tutte le contraddizioni e l’irrazionalità delle politiche americane in Medio Oriente, basate sull’opposizione irriducibile all’asse della “Resistenza” e sull’arma delle sanzioni da usare unilateralmente contro rivali e nemici, senza preoccuparsi delle conseguenze per le popolazioni.

Questo comportamento, per quanto riguarda il Libano, ha prodotto una situazione insostenibile per la Casa Bianca, che, nel tentativo di tenere il passo con Hezbollah, si ritrova costretta a rivedere la politica delle sanzioni e a dover scegliere, senza la minima garanzia di successo, tra l’allentamento delle pressioni sulla Siria e un ulteriore arretramento della propria posizione nel “paese dei cedri”.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento