di Guido Salerno Aletta
Ci siamo: la situazione è perfettamente ingarbugliata.
La prossima azione speculativa sui mercati avrà motivazioni geopolitiche, ovviamente ben dissimulate: i bersagli sono tanti, tutti pronti ad essere abbattuti con violenza: in Europa, negli Usa, in Asia.
Le condizioni sono ideali: l'inflazione corrode i rendimenti ed il capitale, i tassi di interesse salgono e si incassano le prime perdite sugli investimenti in portafoglio, l'economia rallenta e si temono dividendi magri. Le famiglie sono preoccupate, le imprese sempre più incerte, i governi tentennano.
Le Banche centrali si orientano verso politiche monetarie restrittive, come se dovessero contrastare una economia surriscaldata, aumentando i tassi e riducendo la liquidità, mentre per contrastare la dinamica alle stelle dei prezzi all'importazione delle materie prime e dell'energia non c'è niente da fare. Solo il collasso della domanda induce i cartelli dei venditori e coloro che investono sui mercati all'ingrosso a più miti consigli.
Nel frattempo, le economia rallentano e c'è chi abbandona gli investimenti in euro per portarsi sul dollaro, per approfittare dei tassi di interesse già in rialzo, e così l'euro e lo yen si svalutano. Tutto si complica.
Ma anche a Wall Street le cose non vanno affatto bene, e questo aumenta la confusione.
La speculazione ha pazienza: cuoce a fuoco lento gli investitori, li innervosisce per settimane. Anche per mesi.
Il colpo lo si assesta spesso d'estate, quando gli scambi sono rarefatti. Basta ricordare l'ultima crisi del 2008, con il fallimento della Lehman Brothers dichiarato a settembre. Ma era già tutta l'estate che chi poteva liberarsi dei titoli tossici, quelli che avevano come sottostante i mutui sub-prime, si dava da fare.
E non serve neppure che a saltare debba essere sempre un "pezzo da 90": talora si attacca un comparto, quello immobiliare o quello tecnologico, oppure si prende di mira il debito pubblico di un gruppo di Paesi.
Si deve creare inquietudine ed incertezza: si cavalcano dunque con cura le prospettive economiche, finanziarie e politiche negative per ammorbidire le certezze e far aumentare la preferenza per la liquidità.
E si approfitta della alta inflazione in corso, che ha messo le banche centrali sulla difensiva: alzando i tassi e riducendo la liquidità creano le condizioni per un riaggiustamento. Non solo non c'è più tanto denaro in giro per coprirsi dalle perdite, ma soprattutto costa molto più caro tenere in piedi posizioni a leva.
Quando ci sono tanti elementi concomitanti che virano in negativo, come sta accadendo da fine febbraio scorso, quando è iniziata la guerra in Ucraina, ad ogni brutta notizia si assesta un piccolo colpo ai listini: poca roba, ma sono le manovre di preparazione. E si tasta la reazione dei piccoli, e soprattutto degli istituzionali.
Perché se saranno in tanti a perdere, i piccoli, ci saranno quelli capaci di guadagnare: "si compra da chi piange e si vende a chi ride!". Serve dunque una sorta di complicità occulta di coloro che faranno man bassa nel momento in cui si dà la botta ai listini, vendendo allo scoperto.
La guerra in Ucraina ha creato soprattutto in Europa le condizioni psicologiche giuste di allarme generale, di preoccupazione se non di angoscia tra gli investitori.
In America tutto potrebbe capovolgersi se alle elezioni di mid-term, a novembre, i Democratici dovessero perdere la maggioranza al Congresso.
Se la guerra in Ucraina non cessa, il 2023 potrebbe essere un anno drammatico.
Tutto è pronto per assestare un colpo durissimo.
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