Ha destato scalpore la notizia che la famiglia di Giuliano De Seta, studente veneto di diciotto anni, ucciso da un blocco di acciaio il 16 settembre scorso durante un’attività di alternanza scuola-lavoro, non riceverà alcun indennizzo dall’INAIL.
In effetti, la decisione dell’INAIL segue le disposizioni di legge: Giuliano non era dipendente della ditta BC Service dove avvenne l’incidente, non percepiva né stipendio né alcun altro compenso poiché si trovava in quel luogo solo per studiare e imparare. Inoltre, la sua famiglia non dipendeva economicamente da lui, anzi avveniva il contrario poiché erano i genitori a sostenerlo.
Di fronte a un caso del genere, risulta evidente la colpevole superficialità con cui gli studenti sono avviati ai percorsi di alternanza scuola-lavoro, dal 2019 ribattezzati Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO).
In realtà, i PCTO non “orientano” nessuno e si risolvono in molti casi in un’attività lavorativa non retribuita e pericolosa.
Ricordiamo che nel 2022, oltre a Giuliano, sono morti durante attività di scuola-lavoro Lorenzo Parrelli, in una fabbrica di carpenteria, e Giuseppe Lenoci, in un incidente stradale nei pressi di Fermo.
Oltre a questi incidenti mortali, se ne sono verificati molti altri, che hanno comportato ferite gravi, amputazioni, ustioni e mesi d’ospedale per i giovani coinvolti. Incidenti, questi ultimi, che solo per caso non hanno avuto esiti mortali.
È opportuno ricordare che gli studenti degli istituti professionali sono esposti a tale situazione di sfruttamento e di pericolo per 210 ore l’anno, e quelli dei tecnici per 150, quindi per un monte ore imponente.
Un pericolo peraltro ben noto a chi legge i giornali, in un paese dove si contano tre morti sul lavoro ogni giorno e dove un padrone che non rispetta le regole viene imputato al massimo di omicidio colposo.
I PCTO sono stati istituiti nel 2015 con la legge sulla “Buona Scuola” del governo di centro-sinistra presieduto da Matteo Renzi, seguendo le richieste confindustriali di una maggiore aderenza dei programmi scolastici ai bisogni delle imprese ed anche l’intento di formazione ideologica dei giovani a subire sfruttamento e imposizioni padronali.
Di fronte a quanto accaduto alla famiglia De Seta la CGIL ha parlato di “lacuna normativa” che evidentemente esiste ma il vero obiettivo non può essere quello di regolamentare meglio i PCTO bensì quello di abolirli.
La scuola deve formare, istruire, educare i cittadini e non deve essere sottomessa ai bisogni delle imprese.
Anche negli istituti volti a una formazione professionale, questa deve essere volta a conoscere criticamente il mondo del lavoro e della propria futura professione nei suoi aspetti generali e sociali e non può ridursi a momenti di apprendistato peraltro non retribuiti.
In questo contesto sono ipocrite le twittate di Valditara in cui il ministro dice di voler normare diversamente i PCTO, dopo avere dichiarato che la “formazione al lavoro” deve iniziare già alle scuole elementari (ci sfugge se con “umiliazione” o no).
Egualmente, lo sdegno sollevato dalla notizia di alcune scuole romane che inviano gli studenti a lavorare alla MES, fabbrica di armi, non può essere risolto pensando di mandarli in aziende più “etiche”.
Peraltro, la richiesta studentesca di abolizione dei PCTO si è incontrata sinora solo con una dura repressione, come è capitato a quattro giovani torinesi, incensurati, sottoposti a ben sette mesi di misure preventive di restrizione della libertà (carcere, poi braccialetto elettronico, ora obbligo di firma), per un marginale episodio di scontro con la polizia avvenuto al termine di una manifestazione indetta nel febbraio scorso in seguito alla morte di Lorenzo Parrelli e Giuseppe Lenoci.
Questi studenti saranno processati in febbraio e sarà importante seguire quanto accadrà.
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