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29/01/2023

Quale scenario attende la Meloni in Libia?

La Meloni oggi è in visita in Libia. Dopo la tappa del Presidente del Consiglio in Algeria e la visita di Tajani in Egitto, il governo sta mostrando un certo attivismo verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo. Anche nel dossier libico, come in quello algerino ed egiziano, appare evidente però che la politica estera la stia disegnando più l’Eni che la Farnesina. Ma la Libia per l’Italia è decisamente la realtà più rognosa. Quale situazione troverà sul campo la premier Meloni?

Da anni ormai la Libia è divisa tra due coalizioni politiche e militari rivali: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalle Comunità internazionale e appoggiato dalla Turchia; dall’altra il Governo di stabilità nazionale basato a Tobruk e guidato dal premier designato Bashagha. Di fatto è un esecutivo parallelo basato in Cirenaica, sostenuto inizialmente da Egitto e Russia ma oggi apparentemente abbandonato a sé stesso.

Il leader di Tobruk, Bashaga, recentemente si è scagliato contro l’Eni, l’unica multinazionale a non aver mai abbandonato il Paese (nemmeno durante la guerra), che in più garantisce di fatto l’unica fonte di reddito del Paese, peraltro mentre i prezzi del petrolio sui mercati internazionali sono altissimi, e che si appresta ad investire diverse decine di miliardi di dollari in Libia. In un post su Twitter, Bashagha ha voluto inviare un “messaggio alla leadership di Eni: siamo venuti a conoscenza del fatto che avete iniziato discussioni con l’attuale dirigenza illegittima della Noc e con il passato Governo di unità nazionale, il cui mandato è scaduto lo scorso dicembre”.

Le discussioni, tenutesi nell’ambito Consiglio supremo libico per gli affari energetici convocato a Tripoli dal premier “ufficialmente riconosciuto” Dabaiba, “avevano come scopo la modifica delle quote delle partecipazioni nelle aree offshore libiche, a grave danno degli interessi sovrani della Libia e del suo popolo”, aggiunge Bashagha, chiedendo “di cessare immediatamente di portare avanti queste misure che danneggeranno le comuni e storiche relazioni tra Libia e Italia”.

Inoltre il capo dell’esecutivo parallelo basato a Tobruk ha avvertito che “coloro che rinunciano ai diritti dei libici e sfruttano la nostra grande nazione in un momento di difficoltà ne avranno la responsabilità legale e morale”. Tramite una dichiarazione ripresa dalla stampa libica, Bashagha ha aggiunto che “lo sfruttamento del cosiddetto Consiglio supremo libico per gli affari energetici per stringere accordi sospetti senza uno studio di fattibilità e la conoscenza dei loro benefici per lo Stato libico avrà conseguenze disastrose per tutti”. Il leader libico della Cirenaica ha anche messo in guardia “i partner stranieri dal trattare opportunisticamente le fonti di reddito dei libici sfruttando la divisione politica”.

La dichiarazione di fuoco di Bashagha – fin qui ignorata dall’Eni – ha colto l’occasione da una lettera indirizzata dal ministro del Petrolio e del gas del Governo di unità nazionale (Gun), Mohamed Aoun, al primo ministro Abdulhamid Dabaiba. Nella lettera, il ministro libico – da tempo escluso dai gangli decisionali del comparto energetico in Libia – accusa la National Oil Corporation libica di aver “violato le decisioni e le leggi che disciplinano la questione” per aver “avviato trattative in merito senza l’autorizzazione con decisione del Consiglio dei ministri”. Secondo Aoun, “non c’è necessità per rinegoziare i termini” delle intese con Eni, accusando l’azienda italiana di voler “approfittare delle fragili condizioni che la Libia sta attraversando”, aprendo un “precedente negativo che aprirà la porta ad altre compagnie petrolifere per richiedere la stessa procedura, il che farà perdere stabilità e continuità al modello contrattuale libico”.

L’agenzia Nova riferisce che, secondo il sito web d’informazione libico basato a Tripoli “Sada”, la compagnia italiana Eni avrebbe chiesto alle autorità libiche di modificare alcune importanti disposizioni relative al blocco di gas offshore NC41 (140 chilometri a nord-ovest di Tripoli) e al giacimento onshore a gas di Wafa. Occorre sottolineare che il ministero del Petrolio è stato fortemente depotenziato con l’istituzione del Consiglio libico supremo per gli affari energetici che fa capo al primo ministro Dabaiba in persona.

A dicembre il Consiglio supremo libico per gli affari energetici, ha effettivamente discusso della cooperazione nel settore degli idrocarburi con Eni, in particolare per quanto riguarda le aree esplorative A, B ed E. L’agenzia Nova segnala che l’incontro aveva esaminato anche il dossier delle energie da fonti rinnovabili, nonché le proposte e le raccomandazioni speciali da deferire al Consiglio dei ministri per prendere decisioni al riguardo. Spazio era stato dato anche alla strategia per lo sviluppo della produzione della National Oil Corporation, che per quanto riguarda il petrolio è stabile a 1,2 milioni di barili di petrolio con la prospettiva di raggiungere i livelli antecedenti al 2011 di 1,6 milioni di barili di petrolio nei prossimi mesi.

Nascono da questa situazione le dichiarazioni sempre più ruvide del premier del governo parallelo di Tobruk, Fathi Bashagha. Nei suoi interventi pubblici, l’ex ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale (Gna) utilizza toni sempre più aspri, battendo spesso il tasto sulla difesa della “sovranità” e del “cittadino libico” nel tentativo di recuperare consensi interni dopo alcune uscite a vuoto. Soprattutto dopo il maldestro tentativo di entrare a Tripoli con la forza il 27 agosto scorso, Bashagha ha perso gran parte della sua credibilità. Il tentato golpe, concluso con un tragico bilancio di 32 morti e 159 feriti, ha probabilmente segnato il punto più basso della carriera dell’ex uomo forte di Misurata ed oggi leader del governo parallelo a Tobruk.

Occorre segnalare anche che l’Italia in Libia un piccolo risultato l’ha raggiunto, ma sarebbe meglio dire che lo ha raggiunto Eni attraverso una Ong che ha agito da mediatrice.

A dicembre infatti le delegazioni delle tribù Aheli e Tebu di Murzuq, città situata nel sud-ovest della Libia, si sono riunite a Roma per un incontro definito da esse stesse “storico”. Le due tribù erano in conflitto da tempo e una aveva anche fatto da testa di ponte per l’offensiva del generale Haftar nel sud della Libia. L’obiettivo della riunione a Roma è stato la firma dell’accordo dallo slogan “La pace è buona”, un’intesa mediata dall’Italia e, in particolare, dall’organizzazione non governativa Ara Pacis Initiatives for Peace.

Murzuq e la regione del Fezzan rappresentano “una chiave per la stabilità e il benessere della Libia, che sono stabilità e benessere per l’Italia” ha dichiarato il responsabile della Farnesina per il Mediterraneo e il Medio Oriente Alfredo Conte presente alla firma dell’accordo.

Il sud della Libia e la stessa Murzuq rappresentano uno snodo cruciale per il contrabbando di merci come droga e sigarette, oltre che per il traffico di esseri umani. Ma la rilevanza di Murzuq, sta soprattutto nella sua vicinanza ai giacimenti petroliferi di El Feel e Sharara. Il primo è gestito dalla compagnia petrolifera statale libica National Oil Corporation (Noc) attraverso la società Mellitah Oil and Gas Company, compartecipata paritariamente con Eni.

A luglio proprio a El Feel c’è stata la ripresa delle attività di produzione e pompaggio dell’impianto, con tassi di estrazione previsti in circa 70 mila barili al giorno. Sharara, invece, è il più grande giacimento petrolifero della Libia e da solo vanta una produzione di circa 300 mila barili al giorno. Il giacimento è gestito però da una joint venture (Akakus) che riunisce la libica National Oil Corporation, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil.

A dicembre però il leader libico di Tobruk Bashaga ha preso le distanza da uno dei suoi sponsor più importanti – l’Egitto di Al Sisi – sulla questione decisiva delle ZEE (Zone Economiche Esclusive) nel Mediterraneo. E questa sarà una delle rogne principali della visita di Meloni in Libia e per la politica estera italiana nella regione.

Il ministero degli Affari esteri del Governo di unità nazionale di Tripoli ha infatti respinto ufficialmente la decisione unilaterale dell’Egitto di delimitare i suoi confini marittimi occidentali, considerandola come una violazione delle sue acque territoriali e della piattaforma continentale dello Stato libico. A dicembre il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, ha firmato un decreto presidenziale per definire i confini occidentali della propria Zona economica esclusiva (ZEE) senza però contemplare il parere della parte interessata, ovvero la Libia. La nuova definizione dei confini marittimi occidentali delle acque dell’Egitto si contrappone a tutti gli accordi stipulati dal governo libico di Tripoli con la Turchia: sia al memorandum turco-libico del 2019, sia ai più recenti accordi di ottobre 2022.

Infine ci sono i rapporti delle varie fazioni libiche con Washington che fino ad oggi è rimasto molto sullo sfondo. Il leader del governo parallelo di Tobruk, Bashagha, si è espresso contro l’estradizione negli Stati Uniti dell’ex agente dell’intelligence libica Abu Agila Mohammad Masud Kheir al Marimi, sospettato dell’attentato al volo Pan Am 103 a Lockerbie nel 1988.

Il premier libico del governo parallelo di Tobruk parla di atto “illegale e inaccettabile”. In un post su Facebook, il premier della Cirenaica ha affermato che la consegna di un cittadino libico a una parte straniera “è un processo pericoloso che ha avuto luogo al di fuori del sistema giudiziario e non può essere paragonato al processo che ha avuto luogo durante l’era del colonnello Muammar Gheddafi“, ritenendo quanto accaduto “un rapimento inaccettabile che viola la dignità dei libici e la sovranità del Paese”. Queste dichiarazioni hanno allontanato Bashagha dall’orbita di Washington, che già non vedevano di buon occhio gli ammiccamenti dei politici dell’est alla Russia. Eppure il capo della Cia recentemente si è incontrato proprio con l’uomo forte del governo parallelo di Tobruk: il generale Haftar.

Il direttore della Cia, Burns, oltre al governo di Tripoli, il 13 gennaio scorso, ha infatti incontrato a Bengasi anche l’uomo forte del governo parallelo di Tobruk. Gli Usa sono preoccupati dell’influenza della Russia e della presenza dei contractors della compagnia Wagner in Libia a sostegno del governo parallelo in Cirenaica.

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