Dopo 11 mesi di guerra non c’è bisogno della tv per sapere cosa chiede la junta di Kiev alla Nato: “armi!”. E la Nato riunita a Rammstein ha convenuto ancora una volta di mandargliene in grande quantità, “migliorando” però il livello tecnologico, ossia, la capacità offensiva. Ergo, ammettendo di voler essere parte attiva della guerra anche più esplicitamente di quanto non avesse detto finora.
Ci stiamo abituando ad essere in guerra secondo il principio della “rana bollita”… Ossia abituandoci a considerare “normale” ogni piccolo passo in avanti dell’escalation, fin quando la temperatura dell’acqua – pardon, del clima bellicista – non sarà mortale per tutti noi.
In questo modo non ci rimane nulla in testa, men che mai la capacità di valutare – e dunque capire (di “sapere” è escluso per principio, in guerra) – se e quanto certi annunci sono aderenti alla realtà. Ossia “realistici” in senso stretto.
Eppure quando si parla di armi “pronta cassa” qualche dubbio sarebbe bene tenerlo vivo. Non stiamo infatti parlando di finanza, per cui “basta un click” e voilà, il capitale è spostato da un’altra parte...
Per esempio. Fabbricare certi armamenti o “sistemi d’arma” come carri armati, batterie antimissile o direttamente lanciamissili terra-aria e terra-terra richiede qualche tempo, se non ce ne sono in quantità abbondante nei magazzini.
Usare certi sistemi d’arma non è esattamente come usare fucili o bombe a mano, per cui comunque serve un minimo di addestramento (se vuoi evitare di fare strage nelle tue stesse truppe). E infatti anche i media che mostrano meno consapevolezza di quel che stanno riferendo scrivono che un cerrto numero di soldati ucraini è arrivato negli Usa per imparare ad usare le batterie antimissile Patriot. Serviranno settimane, se non mesi, prima che possano tornare sul campo (insieme alle batterie, naturalmente) e farne un utilizzo appropriato.
Problemi successivi. Certi armamenti sono abbastanza ingombranti, oltre che costosi, e la loro “cura” – occultamento, spostamento, manutenzione, ecc – richiede una logistica e un munizionamento specifico. Farteli distruggere ai primi giorni di utilizzo (quando spari un missile o muovi un gruppo di tank si vede, dai satelliti) non è particolarmente intelligente.
Avere tank o missili, contemporaneamente, ex-sovietici, francesi, inglesi, tedeschi e statunitensi significa poter dedicare ad ognuno di quei sistemi personale militare addestrato specificamente; essere capaci di usare un tank Leopard tedesco non ti dà “la patente” per utilizzare un Challenger inglese o un Leclerc francese.
Potremmo andare avanti a lungo, ma meglio di noi lo ha già fatto il magazine Analisi Difesa, che già prima della riunione Nato di Rammstein si faceva due calcoli – non ideologici, ma proprio “materialistici” – sul rapporto tra dichiarazioni entusiaste (in testa a tutti quella zucca vuota di Soltenberg) e tonnellate reali di acciaio, esplosivo, ecc, declinate tecnologicamente in molti modi diversi.
Tra il dire il fare c’è un bel po’ di distanza, specie in materia di armi. E si sente, in sottofondo, il brontolio che sale dai vertici militari sia italiani che europei…
Buona lettura.
P.s. Di particolare interesse, anche se non molto sviluppata nei dettagli, è la notazione finale di questa analisi di Gianandrea Gaiani: “al di là dell’aiuto alle forze di Kiev la guerra in Ucraina costituisce un prezioso banco di prova per valutare performance ed efficacia dei sistemi d’arma occidentali mai collaudati prima in combattimento o impiegati in contesti a bassa intensità contro nemici poco e male armati ed equipaggiati.”
La differenza tra questa guerra e quelle degli ultimi 30 anni (“asimmetriche” perché condotte contro paesi che non avevano granché con cui opporsi all’attacco militare euro-atlantico) è per l’appunto la “simmetria” tra i due schieramenti (Russia e Nato). Entrambi stanno usando l’Ucraina come laboratorio per “testare” quel che si ha a disposizione e la sua efficacia rispetto a quel che ha il nemico.
Paradossalmente questa “fase di test” potrebbe collocare il momento del confronto diretto vero e proprio un po’ più in là nel tempo. Prima, come sta già avvenendo in tutta Europa e negli Usa, “bisogna” aumentare la spesa militare, fare ordinativi alle industrie del settore, aggiornare i progetti, metterli in produzione, addestrare il personale per ogni “nuovo prodotto”.
Tutte cose che non avranno probabilmente grande effetto sulla guerra in corso (un test…), ma preparano quella “vera”...
Ci stiamo abituando ad essere in guerra secondo il principio della “rana bollita”… Ossia abituandoci a considerare “normale” ogni piccolo passo in avanti dell’escalation, fin quando la temperatura dell’acqua – pardon, del clima bellicista – non sarà mortale per tutti noi.
In questo modo non ci rimane nulla in testa, men che mai la capacità di valutare – e dunque capire (di “sapere” è escluso per principio, in guerra) – se e quanto certi annunci sono aderenti alla realtà. Ossia “realistici” in senso stretto.
Eppure quando si parla di armi “pronta cassa” qualche dubbio sarebbe bene tenerlo vivo. Non stiamo infatti parlando di finanza, per cui “basta un click” e voilà, il capitale è spostato da un’altra parte...
Per esempio. Fabbricare certi armamenti o “sistemi d’arma” come carri armati, batterie antimissile o direttamente lanciamissili terra-aria e terra-terra richiede qualche tempo, se non ce ne sono in quantità abbondante nei magazzini.
Usare certi sistemi d’arma non è esattamente come usare fucili o bombe a mano, per cui comunque serve un minimo di addestramento (se vuoi evitare di fare strage nelle tue stesse truppe). E infatti anche i media che mostrano meno consapevolezza di quel che stanno riferendo scrivono che un cerrto numero di soldati ucraini è arrivato negli Usa per imparare ad usare le batterie antimissile Patriot. Serviranno settimane, se non mesi, prima che possano tornare sul campo (insieme alle batterie, naturalmente) e farne un utilizzo appropriato.
Problemi successivi. Certi armamenti sono abbastanza ingombranti, oltre che costosi, e la loro “cura” – occultamento, spostamento, manutenzione, ecc – richiede una logistica e un munizionamento specifico. Farteli distruggere ai primi giorni di utilizzo (quando spari un missile o muovi un gruppo di tank si vede, dai satelliti) non è particolarmente intelligente.
Avere tank o missili, contemporaneamente, ex-sovietici, francesi, inglesi, tedeschi e statunitensi significa poter dedicare ad ognuno di quei sistemi personale militare addestrato specificamente; essere capaci di usare un tank Leopard tedesco non ti dà “la patente” per utilizzare un Challenger inglese o un Leclerc francese.
Potremmo andare avanti a lungo, ma meglio di noi lo ha già fatto il magazine Analisi Difesa, che già prima della riunione Nato di Rammstein si faceva due calcoli – non ideologici, ma proprio “materialistici” – sul rapporto tra dichiarazioni entusiaste (in testa a tutti quella zucca vuota di Soltenberg) e tonnellate reali di acciaio, esplosivo, ecc, declinate tecnologicamente in molti modi diversi.
Tra il dire il fare c’è un bel po’ di distanza, specie in materia di armi. E si sente, in sottofondo, il brontolio che sale dai vertici militari sia italiani che europei…
Buona lettura.
P.s. Di particolare interesse, anche se non molto sviluppata nei dettagli, è la notazione finale di questa analisi di Gianandrea Gaiani: “al di là dell’aiuto alle forze di Kiev la guerra in Ucraina costituisce un prezioso banco di prova per valutare performance ed efficacia dei sistemi d’arma occidentali mai collaudati prima in combattimento o impiegati in contesti a bassa intensità contro nemici poco e male armati ed equipaggiati.”
La differenza tra questa guerra e quelle degli ultimi 30 anni (“asimmetriche” perché condotte contro paesi che non avevano granché con cui opporsi all’attacco militare euro-atlantico) è per l’appunto la “simmetria” tra i due schieramenti (Russia e Nato). Entrambi stanno usando l’Ucraina come laboratorio per “testare” quel che si ha a disposizione e la sua efficacia rispetto a quel che ha il nemico.
Paradossalmente questa “fase di test” potrebbe collocare il momento del confronto diretto vero e proprio un po’ più in là nel tempo. Prima, come sta già avvenendo in tutta Europa e negli Usa, “bisogna” aumentare la spesa militare, fare ordinativi alle industrie del settore, aggiornare i progetti, metterli in produzione, addestrare il personale per ogni “nuovo prodotto”.
Tutte cose che non avranno probabilmente grande effetto sulla guerra in corso (un test…), ma preparano quella “vera”...
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L’Europa fornirà all’Ucraina carri armati e missili che non ha
L’Europa fornirà all’Ucraina carri armati e missili che non ha
Il dibattito accesosi in Europa sulla fornitura di carri armati (Main Battle Tank) all’Ucraina e che domani sarà al centro dell’incontro di Ramstein tra le nazioni alleate che sostengono Kiev, presenta molti aspetti critici tra i quali spicca innanzitutto il fatto che l’Europa dispone appena dei carri armati sufficienti ad equipaggiare pochi reparti dei propri eserciti.
Se escludiamo la Polonia, che allinea circa 500 carri (per metà Leopard 2 A4 e A5 e per metà T-72/PT 91 Twardy e che ha ordinato negli Stati Uniti 366 Abrams M1A1/A2 e in Corea del Sud ben mille K2 Black Panther), tutti i maggiori eserciti europei dispongono di numeri molto limitati di tank compresi tra i 150 Ariete italiani e i 330 Leopard 2 tedeschi, peraltro non tutti operativi.
Europa senza carri armati
I tedeschi ad esempio dispongono di 260 Leopard 2A7 Plus (nelle due foto sotto) di cui 160 operativi e prevedono di portare il totale a 330 entro il 2025, i francesi hanno 222 Leclerc (200 verranno ammodernati) più altri 186 in riserva, i britannici 227 Challenger 2 dei quali 148 verranno ammodernati allo standard Challenger 3.
Altri eserciti hanno flotte più ridotte: dei circa 150 Ariete italiani (secondo indiscrezioni poche decine quelli operativi) 125 verranno ammodernati nei prossimi anni con una spesa di circa un miliardo di euro, la Spagna dispone di 219 Leopard 2 A6 e di un centinaio di A4 (questi ultimi in pessime condizioni e non utilizzabili), la Grecia ha 350 Leopard 2 A4 e A5 che non intende cedere, la Finlandia ha 160 Leopard 2 A4 e A5, la Danimarca 34 Leopard 2 A5 più altri 20 in riserva, la Svezia 250 Leopard 2A4 e A5, la Norvegia 49 Leopard 2 A4 (in parte in riserva), il Canada una quarantina di Leopard 2A4 e A6 più altrettanti A4 in riserva e per addestramento, il Portogallo dispone di appena 37 Leopard 2 A6, l’Olanda 18 e il Belgio non ha neppure un carro armato. Numeri che vanno tutti decurtati valutando un certo numero di mezzi non più operativi.
Di fatto nessun esercito NATO dispone di flotte di tank in eccesso di cui potersi privare senza azzerare o quasi le rispettive componenti carri continuamente ridotte negli ultimi 20 anni in cui gli europei hanno creduto che avrebbero dovuto combattere solo conflitti a bassa intensità e anti-insurrezionali in cui i carri armati non avrebbero avuto un ruolo rilevante.
Gli unici a poter cedere qualche centinaio di tank senza privarne i reparti sono gli Stati Uniti grazie alle ampie riserve di carri Abrams, ma occorrerebbero anni per riorganizzare l’esercito ucraino su tali mezzi e del resto Washington ha appena annunciato che il nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina non includerà carri armati.
Non a caso molti esponenti militari in Europa (come sempre parlano i generali a riposo, non quelli in servizio) hanno espresso perplessità circa l’efficacia di questi tank nel conflitto contro la Russia, forniti in numero limitato e in mano alle truppe ucraine, evidenziando il rischio di impoverire ulteriormente la componente corazzata degli eserciti NATO la cui ricostituzione richiederebbe anni e molti miliardi.
La questione politica (e strategica)
In questo contesto il dibattito sulla cessione dei carri armati all’Ucraina sembra utile soprattutto ad animare il confronto politico. Al World Economic Forum di Davos il cancelliere tedesco Olaf Scholz non si è espresso circa la fornitura di tank ma citando gli altri aiuti militari all’Ucraina ha dichiarato che “la Russia deve perdere, pertanto, forniamo in larga quantità armi all’Ucraina continuamente, in stretta comunicazione con i nostri partner”.
Nelle stesse ore a Mosca il presidente russo Vladimir Putin definiva la vittoria russa nelle operazioni in Ucraina “inevitabile”. Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha fatto appello al governo tedesco affinché fornisca “ogni genere di armamento” all’Ucraina e anche il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, ha dichiarato che chiederà a Berlino di fornire carri armati Leopard 2 all’Ucraina o “almeno” di autorizzare gli altri Stati che li hanno in dotazione a consegnarli a Kiev.
Il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albaresal, al World Economic Forum di Davos, ha detto che la possibilità di consegnare i Leopard all’Ucraina “non è sul tavolo al momento”, pur non escludendo tuttavia una consegna in un secondo momento. Nell’estate scorsa un analogo dibattito sulla consegna di Leopard 2A4 si chiuse quando il ministro della Difesa, Margarita Robles, rese noto che i tank erano in pessime condizioni e non era possibile ripararli.
Se si escludono le nazioni più bellicose nei confronti della Russia e già oggi molto esposte nel conflitto (come Gran Bretagna, Polonia e repubbliche Baltiche) appare evidente che la Germania e altre nazioni europee non vogliano esporsi a una ulteriore escalation del confronto con Mosca fornendo armi pesanti e “offensive” come i carri armati che l’Ucraina chiede per rinnovare nei prossimi mesi le sue capacità di riconquistare i territori perduti.
Una fonte del governo tedesco ha detto al Wall Street Journal che il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha ribadito più volte, a porte chiuse, che la condizione per dare a Kiev i carri armati Leopard 2 è che vengano inviati in Ucraina anche i carri armati statunitensi Abrams.
Una valutazione che sul piano militare appare illogica: gli ucraini già impiegano diversi tipi di carri russo/sovietici (M-55S/T-55 ex sloveni, T-64BV, T-72 e T-80) a cui dovrebbero aggiungere tre tipi diversi di tank occidentali (Challenger 2, Abrams e Leopard 2) non proprio di facile gestione logistica e operativa.
Sul piano politico però la valutazione del governo tedesco è ben comprensibile poiché implica che gli europei esasperino ulteriormente un confronto con Mosca che ha già indebolito l’Europa sul piano energetico ed economico e in più procedano a passi rapidi a indebolire sempre di più il proprio apparato militare continuando a fornire a Kiev armi e munizioni di cui nessun paese europeo della NATO dispone in quantità sufficiente.
Fonti del Pentagono hanno del resto confermato che il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, a Berlino per incontrare il nuovo omologo ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius e per partecipare domani alla riunione del Gruppo di Contatto Nato sull’Ucraina nella base di Ramstein , “farà pressioni sui tedeschi” affinché acconsentano al trasferimento dei carri armati Leopard a Kiev. “Siamo molto ottimisti sul fatto che faremo progressi su questo requisito entro la fine della settimana”.
Paradossale che gli Stati Uniti, che dispongono di molte centinaia di carri Abrams in riserva, non intendano fornirli all’Ucraina ma premano affinché gli europei si privino delle loro già limitate scorte di carri armati di produzione tedesca. Paradossale anche perché Washington sta per fornire 100 ruotati da combattimento 8×8 Stryker e probabilmente anche razzi di precisione per gli MLRS HIMARS e M270 con raggio d’azione di 150 chilometri del tipo Ground-Launched Small Diameter Bomb, in grado di colpire in profondità la Crimea e il territorio russo.
Con un po’ di malizia, non dovrebbe sfuggire che l’indebolimento delle forze armate europee, corazzate e di altro tipo, favorirà (e di fatto già favorisce in molti paesi dell’est Europa) l’acquisizione di equipaggiamenti statunitensi nuovi o di seconda mano, considerato che l’industria della Difesa europea avrebbe bisogno di ampi investimenti e diversi anni per produrre nuovi mezzi e sistemi d’arma (tank inclusi) in quantità rilevanti.
La guerra in Ucraina continua quindi a ledere gli interessi di un’Europa sempre più debole, più povera, meno competitiva e sempre meno armata, destinata ad essere un alleato sempre più docile degli Stati Uniti.
Quale impatto militare?
Sul piano militare però l’invio di tank europei in Ucraina potrebbe risultare irrilevante o quasi per i numeri limitati, i tempi necessari a renderli operativi e i limiti di addestramento e logistica delle forze di Kiev.
I 14 Challenger 2 che Londra consegnerà agli ucraini potranno equipaggiare una compagnia: i primi 4 carri saranno inviati immediatamente in Europa orientale per addestrare gli equipaggi ucraini mentre gli altri seguiranno poco dopo. Occorrerà addestrare anche il personale logistico e curare le manutenzioni mentre ricambi, proiettili da 120 mm e apparati del carro non sono compatibili con quelli impiegati dai carri utilizzati finora dall’Esercito Ucraino, di tipo russo/sovietico.
Si tratta di uno sforzo notevole per un paese in guerra che ha visto distrutta la gran parte della sua rete di stabilimenti per la manutenzione e la logistica. Uno sforzo che verrà sostenuto per schierare appena 14 Challenger 2?
Peraltro inserire nei ranghi e rendere operativi mezzi simili richiede anni: quindi pensare che reclute ucraine (Kiev sta attuando un ennesimo arruolamento di massa per sopperire alle perdite subite negli ultimi mesi soprattutto sul fronte del Donbass) possano impiegarli efficacemente sul campo di battaglia è un’illusione ,a meno che non si intendano impiegare in battaglia contractors britannici come equipaggi e per la manutenzione.
Londra conta di consegnare a Kiev anche 30 semoventi AS 90 (un terzo di quelli disponibili nel British Army) 4 elicotteri da attacco Boeing Apache e circa 200 veicoli cingolati da combattimento Warrior o Bulldog, presenti complessivamente in circa 1.500 esemplari presso i reparti e in riserva.
Ognuno di questi mezzi richiede un supporto logistico complesso e non compatibile con quello degli altri mezzi di tipo russo/sovietico o occidentale in servizio con l’Esercito Ucraino che allinea già oltre 150 tipi diversi di mezzi corazzati e blindati, ruotati e cingolati, artiglierie, missili antiaerei e anticarro (cui si aggiungeranno presto anche 200 veicoli 4×4 protetti Senator donati dal Canada) come Analisi Difesa ha già evidenziato in un recentemente articolo.
Ad aumentare numero e tipologia di mezzi complessi contribuirà anche la Svezia che ha ricevuto lodi e ringraziamenti dal presidente ucraino Zelensky per la promessa di consegnare veicoli da combattimento CV-90 e obici semoventi ruotati da 155 mm Archer oltre a ulteriori armi anticarro NLAW .
Circa l’impiego operativo di tali mezzi in Ucraina vanno tenute in considerazione altre limitazioni. La rivista americana Military Watch ha espresso molte perplessità circa l’impiego di Challenger 2 e Leopard 2 (nella foto sotto un A7Plus tedesco) che sono più pesanti, hanno maggiori consumi di carburante, richiedono manutenzioni più frequenti e utilizzano cannoni di calibro diverso dai tank russo/sovietici impiegati dagli ucraini.
Pesi e ingombri maggiori (65/70 tonnellate contro 46/50 dei carri russo/sovietici) rendono i tank occidentali meno idonei all’impiego su strade strette e nei centri abitati. La pubblicazione statunitense ricorda inoltre come i Leopard 2 turchi abbiano sofferto perdite elevate in Siria contro le milizie curde: un’esperienza definita “un trauma” dai militari di Ankara.
Inoltre varrebbe forse la pena di valutare la compatibilità di mezzi così pesanti nell’attraversamento di molti ponti sui tanti corsi d’acqua minori dell’Ucraina e nell’imbarco sui vagoni ferroviari ucraini.
Di certo va rilevato, come ha fatto la CNN, che al di là dell’aiuto alle forze di Kiev la guerra in Ucraina costituisce un prezioso banco di prova per valutare performance ed efficacia dei sistemi d’arma occidentali mai collaudati prima in combattimento o impiegati in contesti a bassa intensità contro nemici poco e male armati ed equipaggiati.
“L’Ucraina è il laboratorio di armi assoluto in tutti i sensi, perché nessuno di questi equipaggiamenti è mai stato utilizzato in un conflitto tra due Paesi industrializzati”, scrive il sito dell’emittente televisiva statunitense. La guerra rappresenta per le forze armate statunitensi e per la NATO una “fonte incredibile di dati” in merito al reale valore delle loro armi e di quelle utilizzate dai russi.
In questo senso, come in ogni guerra, l’impiego sul campo di battaglia di sistemi d’arma può decretarne il successo commerciale.
Dai tank ai missili da difesa aerea
Per restare in tema di carri armati Varsavia prevede l’invio di carri Leopard e pure la Finlandia si è detta disposta a contribuire con un numero imprecisato di carri di questo tipo. Anche ammesso che si riescano a mettere insieme alcune decine di Leopard 2 forniti dai paesi europei da mettere in campo in Ucraina i tempi di messa a punto dei mezzi, addestramento del personale ucraino e consegna potrebbero risultare molto lunghi.
L’amministratore delegato di Rheinmetall, Armin Papperger, ha detto nei giorni scorsi al quotidiano Bild am Sonntag che l’azienda tedesca non riuscirebbe a consegnare i carri armati Leopard 2 all’Ucraina prima del 2024, anche se il governo di Berlino dovesse prendere una decisione positiva in tal senso.
Rheinmetall ha attualmente in riparazione nei suoi stabilimenti 22 tank Leopard 2 e 88 Leopard 1 (nella foto sotto). “Ma non possiamo riparare questi carri armati senza un ordine, perché i costi sono di diverse centinaia di milioni di euro. Rheinmetall non può finanziarli in anticipo”, ha detto Papperger precisando che l’ammodernamento dei carri armati dismessi richiede “quasi un anno”.
Inoltre, sul piano logistico, dover gestire Challenger 2, Leopard 1 e Leopard 2 risulterà molto arduo per le forze ucraine.
Valutazioni analoghe valgono anche per i sistemi di difesa aerea che verranno schierati in Ucraina o ai suoi confini. Il 16 gennaio ha preso il via il trasferimento in Polonia di tre sistemi missilistici Patriot tedeschi che verranno schierati vicino al confine per proteggere le infrastrutture critiche ucraine.
Lo stesso giorno un centinaio di militari ucraini è arrivato nella base americana di Fort Still, in Oklahoma, per addestrarsi all’utilizzo del sistema di difesa aerea Patriot che gli Stati Uniti forniranno a Kiev. Anche l’Olanda fornirà sistemi Patriot come ha dichiarato il premier Mark Rutte, mentre rimane in fase di definizione l’invio di una batteria del sistema di difesa aerea SAMP/T congiunto tra Italia e Francia all’interno del sesto pacchetto di aiuti militari che il governo italiano potrebbe presto varare.
Il 16 gennaio il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha ribadito che sulla fornitura di sistemi antiaerei a Kiev “ci sono problemi tecnici perché è un sistema misto italo-francese”. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto ha reso noto che una batteria (un’altra delle 5 disponibili presso l’esercito Italiano è dislocata in Kuwait) verrà schierata in Slovacchia (a difesa degli stati membri della NATO che confinano con l‘Ucraina in guerra) in sostituzione di una batteria di Patriot statunitensi.
Anche per i Patriot e i SAMP/T gli interrogativi riguardano la capacità ucraina di gestirli con efficacia e in autonomia dopo pochi mesi di addestramento, l’integrazione in un sistema di difesa aerea che comprende una vasta tipologia di armi missilistiche di tipo russo/sovietico, europeo, statunitense e presto anche israeliano, dopo la conferma del trasferimento “ufficiale” (entro “un certo periodo”) di non meglio precisate tecnologie israeliane per l’allerta contro gli attacchi di missili e droni.
Inoltre restano le incertezze circa il numero di missili da difesa aerea che verranno messi a disposizione degli ucraini, tenuto conto che le riserve di queste come di altre armi e munizioni sono piuttosto limitate in Europa e cominciano a ridursi in modo preoccupante anche negli Stati Uniti.
Secondo quanto rivelato dal New York Times il Pentagono sta inviando in Ucraina parte delle riserve di munizioni stoccate in Israele e in Corea del Sud in caso di emergenze e conflitti in Medio ed Estremo Oriente. Scorte a cui le forze di Gerusalemme e Seul sono autorizzate ad accedere in caso di guerra e il cui depauperamento non verrà probabilmente gradito dai due “alleati di ferro” di Washington.
La decisione d’emergenza è stata presa perché le riserve di armi e munizioni negli Stati Uniti sono state già sensibilmente intaccate dalle forniture all’Ucraina mentre la produzione industriale, nonostante le nuove commesse d’urgenza del Pentagono non riescono a soddisfare le richieste di Kiev e soprattutto i consumi di munizioni imposti dal conflitto.
I segreti (svelati) delle forniture bulgare
Dibattito acceso sulle forniture militari all’Ucraina anche in Bulgaria dove il ministro della Difesa Nikolai Milkov si è detto all’oscuro della vendita di 14 aerei Su-25 dell’Aeronautica di Sofia che secondo l’agenzia di stampa statunitense Bloomberg sarebbero stato ceduti all’Aeronautica Ucraina attraverso la NATO.
“Tutti gli aerei Su-25 si trovano all’aeroporto militare di Bezmer, nella parte centro-orientale del Paese”, ha dichiarato il generale Konstantin Popov, capo di stato maggiore delle forze aeree bulgare, all’emittente televisiva “bTv”.
Per Popov, le speculazioni sulla questione “possono derivare dal fatto che abbiamo classificato le informazioni sugli aiuti all’Ucraina e non è escluso che problemi simili si ripresentino in futuro”, ha detto il generale, suggerendo al governo ad interim di Sofia di rendere pubblica l’entità e la tipologia delle forniture militari a Kiev.
Il quotidiano tedesco Die Welt ha scritto oggi (ripreso in Italia dall’Agenzia Nova) che nell’aprile scorso Kiev ha chiesto riservatamente aiuto a Sofia per colmare le carenze di munizioni di fabbricazione sovietica e di carburante. L’allora primo ministro bulgaro Kiril Petkov ha acconsentito, sfidando gli alleati del Partito socialista, fermamente contrari alla fornitura diretta di aiuti militari all’Ucraina.
La soluzione sarebbe stata trovata con consegne indirette, mediante società intermediarie in Bulgaria e in altri Paesi. Gli aiuti sono giunti in Ucraina per via terra e aerea attraverso Romania, Ungheria e Polonia. Petkov, oggi all’opposizione, ha confermato. Intervistato da Die Welt, l’ex capo del governo di Sofia ha dichiarato: “Stimiamo che circa un terzo delle munizioni necessarie all’esercito ucraino provenissero dalla Bulgaria nelle prime fasi della guerra”.
Inoltre, la Bulgaria ha inviato all’Ucraina gasolio prodotto da una raffineria allora di proprietà del gruppo russo Lukoil sul proprio territorio. Al riguardo, l’ex ministro delle Finanze bulgaro, Assen Vasilev, ha dichiarato a Die Welt che il suo Paese è diventato “uno dei maggiori esportatori di gasolio” in Ucraina coprendone “talvolta il 40 per cento del fabbisogno”.
Interpellato da Die Welt, il governo di Kiev ha confermato. In particolare, il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, ha rivelato che il suo Paese aveva quasi esaurito le munizioni ad aprile. Kuleba ha aggiunto: “Sapevamo che i magazzini della Bulgaria disponevano in grande quantità delle munizioni necessarie, quindi il presidente Zelensky mi ha incaricato di utilizzare le mie capacità diplomatiche per procurare il materiale necessario”.
Mosca aveva in passato accusato la Bulgaria di avere prove concrete degli aiuti militari bulgari all’Ucraina che il governo di Sofia aveva sempre negato.
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