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21/01/2023

Abbandonare il dollaro?

di Guido Salerno Aletta

Il mercato dei cambi è un termometro sensibilissimo, perché registra i movimenti di capitale soprattutto a breve termine: quando si vende una moneta, il prezzo di questa diminuisce a favore di quelle che vengono acquistate. Se una delle ragioni principali per cui si compra una moneta è il miglior tasso di interesse reale che viene pagato su quel mercato, influiscono parimenti le aspettative: occupazione, crescita economica e stabilità politica.

I tassi americani hanno esercitato un forte appeal sul dollaro, che si è apprezzato sulle altre valute non appena la Fed ha mostrato di voler cambiare atteggiamento, da accomodante a restrittivo. Tutto questo risale alla prima metà del 2021, quando i dati della inflazione si fecero preoccupanti per via dell'aumento dei prezzi internazionali delle materie prime e dei prodotti energetici, principalmente gas e petrolio. La fine dell'emergenza sanitaria, in vista dell'estate, aveva rimesso in moto le economie: così si giustificava l'inflazione che comunque dipendeva dai più alti costi all'importazione.

Il rapporto Euro/Dollaro, che il 1° maggio 2021 era arrivato ad 1,22, ha cominciato a cadere scendendo sotto la parità, fino ad arrivare al cambio di 0,97 il 1° settembre 2022. La velocità con la quale la Fed aveva aumentato i tassi aveva invogliato i capitali ad acquistare dollari. A partire da quella data, il dollaro si è indebolito a favore dell'euro, che in questi giorni ha già recuperato superando quota 1,08.

La valuta giapponese aveva ampiamente anticipato questa tendenza: a partire dal 1° dicembre 2020, quando servivano all'incirca 103 Yen per comprare 1 Dollaro, il 1° ottobre scorso si è arrivati ad oltre 148 Yen. Una svalutazione davvero pesante, su cui ha influito soprattutto la strategia della BoJ, che traguarda come obiettivo il tasso pari a zero sui titoli a 10 anni, che persegue comprando i titoli del debito pubblico giapponese. È ovvio che i rendimenti più elevati pagati sui titoli in dollari abbiano avuto un effetto magnetico sui capitali investiti in Yen. Il fatto è che, nonostante la politica monetaria sempre restrittiva della Fed, a partire dal 1° ottobre lo Yen è tornato a rafforzarsi sul dollaro, passando dal cambio di ben 148 Yen del 1° ottobre 2022 ai soli 129 Yen per 1 Dollaro che si registrano sin dall'inizio del 2023.

Occorre intuire quali fattori possano aver cambiato così nettamente l'orientamento degli investitori.

Visto che le elezioni di Midterm si sono tenute solo il 6 novembre, dovrebbe escludersi che le sole previsioni di un possibile ritorno della maggioranza ai Repubblicani possa aver determinato questo cambio. E poi, i risultati del Senato hanno consentito ai Democratici di mantenere un equilibrio a proprio favore.

Molto più probabilmente può aver influito l'andamento negativo di Wall Street, con l'indice S&P 500 che è sceso repentinamente dai 4300 punti di metà agosto ai 3590 di fine settembre. Il Nasdaq aveva fatto altrettanto, cadendo dal picco di oltre 13.000 punti di metà agosto ai minimi intorno ai 10.400 punti dei primi di ottobre.

Il fatto è che, nonostante l'andamento riflessivo di Wall Street, l'aumento dei tassi avrebbe dovuto mantenere assai elevato l'interesse degli investitori per i titoli del Tesoro americano, che è cresciuto continuamente a partire dal 2020, fino a toccare il picco del 4,050% registrato il 1° ottobre 2022. Da allora il tasso è sceso, fino a toccare in questi giorni il 3,47%.

C'è stato un ritiro degli investimenti stranieri sui titoli del Tesoro americano: rispetto ai 7.546 miliardi di dollari di detenzioni complessive che erano state registrate ad agosto 2022, si è scesi fino a 7.274 miliardi di novembre, con un decremento di 272 miliardi di dollari. Le detenzioni del Giappone sono scese dal picco di 1.236 miliardi di giugno ai 1.082 miliardi di novembre. Quelle della Cina sono continuate a diminuire, scendendo di 100 miliardi secchi tra agosto e novembre 2022, essendo passate da 972 a 870 miliardi di dollari.

C'è da dire che le previsioni economiche per l'Europa non sono affatto rosee, soprattutto a causa dell'andamento del commercio con l'estero, con i saldi virati in negativo per via degli alti costi delle importazioni energetiche.

In Italia, infatti, nel periodo gennaio-novembre 2022, il saldo della bilancia commerciale è stato passivo per 32 miliardi di euro, trainato dai passivi di 39 miliardi per le importazioni di petrolio e di 57 miliardi per quelle di gas, che assommano a 96 miliardi. L'attivo di 92 miliardi di euro delle attività manifatturiere non ha compensato il passivo energetico. È dunque una situazione estremamente preoccupante.

In Giappone, i dati del commercio estero sono ugualmente negativi: il deficit commerciale di dicembre si è attestato a 1,45 trilioni di yen, pari a 11,29 miliardi di dollari, proseguendo la serie di deficit iniziata 17 mesi fa. Per l'intero 2022, il Giappone ha registrato un deficit commerciale di 19,97 trilioni di yen, il secondo deficit annuale consecutivo e il più grande dal 1979.

Non ci sono ragioni economiche sufficienti per ritornare sull'Euro e sullo Yen, ma solo finanziarie: gli investitori sembrano avere fretta di incassare i guadagni fatti in questi anni con la rivalutazione del dollaro. E devono vendere dollari prima che il rallentamento delle principali economie occidentali, americana, europea e giapponese, si manifesti in modo vistoso. Si terranno liquidi.

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