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24/01/2023

Togliete Cospito dal 41bis e aboliamo questo orrore

Lo sciopero della fame in carcere di Alfredo Cospito ha il merito di aver aperto uno squarcio su questioni rimosse dall’agenda politica e democratica di questo paese e di aver posto delle urgenze.

La prima è quella di evitare che Alfredo Cospito, dopo più di tre mesi di sciopero della fame, muoia in carcere. Il rischio – dopo oltre 90 giorni – ormai si palesa concretamente, specie davanti all’assordante silenzio delle istituzioni carcerarie, politiche e giudiziarie.

La seconda è quella di riaprire il dibattito pubblico – e farne derivare scelte concrete – su istituti come il 41bis e l’ergastolo, che rappresentano da sempre una aberrazione agente sul sistema penitenziario e penale in Italia.

In questi anni il furore manettaro ha sempre fatto le barricate contro una discussione seria sul 41bis. Anche a sinistra si è dovuto fare a sportellate per porre una questione che – come tutte le altre – merita di essere valutata nel merito e non in base a ossessioni private del loro contenuto.

La vicenda di Alfredo Cospito ci svela che al 41bis sono stati posti anche prigionieri politici, pochi tra i pochi che sono ancora in carcere. Ma ci sono. E nel loro caso l’utilizzo del 41 bis ha un carattere meramente punitivo e vendicativo, visto che in Italia le organizzazioni armate non agiscono da oltre vent'anni.

La stessa condanna di Alfredo Cospito è stata talmente spropositata (ergastolo ostativo per un quasi-petardo esploso senza fare vittime né feriti) e motivata da attivare la richiesta di un parere alla Corte Costituzionale.

Se le relazioni annuali dei servizi di sicurezza negano – talvolta addirittura ironizzando sull’argomento – che esistano minacce eversive degne di nota, che senso ha tenere da decenni quei pochi prigionieri politici in condizioni detentive che si configurano come una tortura quotidiana?

Non solo. Il 41bis era stato “narrato” come una misura temporanea funzionale alla interruzione dei rapporti tra chi era in carcere e l’esterno. Ma come sempre in Italia solo le cose temporanee diventano eterne.

Anche il più feroce dei boss, dopo qualche anno, cessa di essere tale perché essendo in carcere la sua influenza o capacità di direzione inevitabilmente svanisce. Eppure in Italia i detenuti sottoposti a regime 41 bis in forma permanente sono circa 700 e non tutti condannati all’ergastolo.

Di questi, oltretutto, solo 200 solo ascrivibili alle organizzazioni mafiose. Dunque non è una misura nata e utilizzata per isolare i boss mafiosi. È altro.

Infine, il/la presidente del Consiglio Meloni, ha esordito il suo mandato riaffermando l’intoccabilità dell’istituto dell’ergastolo ostativo. Uno strumento messo sotto accusa anche dall’Unione Europea e dalla civiltà giuridica prevalente in questa parte di mondo che si ritiene “moralmente superiore” a tutti gli altri.

E qui ci sentiamo di affermare che non è solo una barbarie l’ergastolo ostativo, ma anche l’ergastolo in quanto tale. Quel “fine pena: mai” scritto sulla cartella del detenuto, corrisponde nei fatti ad una pena di morte “lenta” che viene però negata ufficialmente dal sistema penale.

C’è qualcuno che pensa che 30 anni di condanna sia poca cosa? O che anche il peggior criminale dopo decenni di carcere possa essere ancora la stessa persona che in lontano passato ha commesso un reato orribile?

Ricordiamo che in Europa praticamente l’ergastolo non esiste in nessun paese. In Germania, dopo 10 anni, anche la pena massima può essere infatti rideterminata in base al percorso del detenuto. E quando Berlino decise di liberare i militanti della RAF fece ricorso proprio a questo istituto “normale”, fin lì mai applicato nei loro confronti.

Si apre dunque una questione di civiltà della pena che in questo paese è stata fatta a pezzi da una logica di emergenza, vendicativa più che securitaria, che in realtà ha reso “l’emergenza” una norma. E che lo colloca fuori persino dalla non eccelsa “civiltà giuridica” continentale.

Qui da noi, invece, provvedimenti varati in condizioni di “emergenza” (terrorismo, mafia, ecc.) sono rimasti tali anche una volta che l’emergenza era finita. Sono diventati e rivendicati come “normali”, “civili”, addirittura “democratici”.

Una conferma che l’intero sistema penale e il sistema politico si sono strutturati sulla logica dell’emergenza, indipendentemente dal fatto che questa ci sia o meno.

Lo sciopero della fame di Alfredo Cospito contro il regime di 41bis a cui è stato arbitrariamente sottoposto, è una dolorosa finestra di opportunità per mettere i piedi nel piatto di contraddizioni che incombono da troppi anni e impongono di essere affrontate e risolte una volta per tutte.

Questa possibilità è venuta fuori con il governo peggiore per discuterne e nel momento in cui l’orgia mediatica sul preannunciato arresto del boss Matteo Messina Denaro (ormai malato terminale) vede riemergere una visione da “Stato penale” invasiva e del tutto acritica.

Ma il problema è stato posto e in termini drammatici da un prigioniero politico anarchico che per portarlo in evidenza sta rischiando la vita.

Rimanere inerti o prudenti non è più possibile.

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