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21/01/2023

Tanta roba, nessuna verità

Gillo Dorfles lo definiva “horror pleni”, (Horror pleni, l’(in)civiltà del rumore, Castelvecchi 2008), per lui era il contrario dell’horror vacui, che invece vorrebbe dettagli molto definiti.

Dunque, siamo nell’epoca dell’attitudine a riempire di rumore di fondo le nostra vite, per creare frastuoni massmediatici, che a loro volta diano vita a incessanti corto-circuiti che ci impediscano di riflettere su ciò che vediamo, leggiamo, ascoltiamo.

Succede che invece che indagare le cause per cui un maledetto elicottero ucraino s’è schiantato su un asilo infantile di Kiev, ammazzando tre bambini, ci raccontano che il ministro dell’Interno che era a bordo con un’altra dozzina di funzionari – tutti morti nell’impatto al suolo – amasse molto l’Italia. Un dettaglio decisivo per ricostruire i fatti.

Sulla cattura di Matteo Messina Denaro ci sono stati riferiti dettagli decisivi per risalire alla rete organizzativa, mafiosa, massonica e politica – tanto che potremmo ribattezzarlo Matteo Massone Denaro – che gli ha permesso di latitare per trent’anni a casa sua: sappiamo tutto del suo costoso guardaroba, e anche del contenuto del cassetto del comodino della sua camera da letto, in cui sono stati ritrovati preservativi e pillole di Viagra, reperti utilissimi alle indagini.

A proposito della bidella che avrebbe fatto avanti e indietro in treno tra la Campania e la Lombardia ogni giorno per risparmiare sul caro-affitti, abbiamo avuto il meglio del giornalismo di inchiesta: orari dei treni, costo dei biglietti, la sveglia mattiniera e l’ora di andare a nanna. Ne è scaturito un ricchissimo dibattito pieno di ipotesi investigative, per intuire se si trattasse o meno di una bufala.

Tanta roba, come si direbbe oggi, tranne una semplice, terribile domanda: ma se fosse vero, non è un bieco sfruttamento del lavoro? Cioè: ma perché una dipendente pubblica – oltretutto nelle condizioni previste dalla legge 104 – per lavorare dovrebbe essere scaraventata a 850 chilometri di distanza da dove vive? Per farla alzare dal divano?

È stato reso noto che OVS – famoso marchio dell’abbigliamento del tanto decantato made in Italy – ha recentemente scelto Bari come sede delle proprie lavorazioni, che prima si facevano in India e in Cina. Pare che in azienda abbiano detto: “In Cina ormai gli stipendi sono come in Italia, delocalizzare non ha più senso”. La domanda cui si sarebbe dovuto dare una risposta è: sono saliti gli stipendi cinesi o quelli italiani sono ormai ai minimi termini?

Ma è la televisione che riesce a superare il muro dell’horror pleni, detonando come fosse il botto di Mach 1: Vespa vola a Kiev a fare l’asta del microfono di Zelensky, che nella sua autointervista dice cose talmente già sentite che andrebbero giù per il buco dell’acquaio se la presenza di Vespa non garantisse che invece si tratta di vere e proprie acque nere, quelle che vanno giù per il cesso: “l’Italia deve fare la guerra europea se no scoppia la guerra mondiale”, conciona Zelensky, che ha imparato a memoria la sceneggiatura scritta al Pentagono.

E Vespa lì, come la sagoma di un poligono di tiro, che si fa volentieri bucherellare dalle raffiche belliciste.

Sembra che a Vespa piacerebbe essere ingaggiato da Canale 5, ma rischia di confrontarsi con lacchè più intraprendenti di lui, a cominciare dal direttore del tg che ha appena trasmesso un’intervista di Veronica Gervaso a Carlo Bonomi, presidente di Confindustria.

Nella “splendida cornice” di Davos, dove uomini potenti di tutto il mondo s’incontrano in quel lembo di svizzera che fu “La montagna incantata” di Thomas Mann, la giornalista fa domande inutili, e lui le restituisce risposte insulse.

Cose che succedono tutti i giorni, in tutti i canali tv italiani, a tutte le ore. Niente di strano se non fosse che i due sono marito e moglie: cioè la signora Veronica Gervaso in Bonomi intervista il dottor Carlo Bonomi, consorte della signora Gervaso Bonomi medesima. Meriterebbero il premio speciale “marchetta d’oro” sia gli addetti all’ufficio stampa di Confindustria che – ex equo – i giornalisti della redazione di Canale 5.

Ecco, allora, che la nostra stampa ha così tanta voglia di regime, che farcisce ma non riferisce; fa sensazione, non informazione; chiacchiera, non racconta.

Tornano alla mente le parole di Giuseppe Antonio Borgese. Nel suo “Golia” (ridato alle stampe da La Nave di Teseo, nel 2022) – saggio giudicato da Leonardo Sciascia “uno dei libri di più intensa passione che siano stati scritti sul fascismo”, scrisse: “Quando le teste sono vuote, qualsiasi genere di superstizione o di autoritarismo è buono per riempirle”.

Correva l’anno 1937, e correva a perdifiato incontro al baratro dello sfruttamento intensivo della manodopera, della repressione e del conformismo, della propaganda e della guerra.

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