La Fondazione Gimbe ha pubblicato un report che ripercorre la storia del regionalismo differenziato e analizza il Disegno di Legge approvato a Palazzo Chigi valutandone l’impatto sul Sistema Sanitario Nazionale (SSN) facendo una desolante fotografia dell’entità delle diseguaglianze regionali sull’adempimento dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) e sulla mobilità sanitaria, che ogni anno drena risorse (e pazienti) dal Centro-Sud alle regioni del Nord.
Il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta non ha dubbi: “l’attuazione delle maggiori autonomie nella tutela della salute darà il colpo di grazia al SSN, aumenterà le diseguaglianze regionali e legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.
Dall’analisi delle richieste di maggiore autonomia avanzate da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto nell’ambito “tutela della salute” emergono alcune considerazioni generali, suffragate da quasi 2.000 stakeholder (ovvero i “portatori di interessi”) della sanità in occasione della indagine promossa dalla Fondazione.
Alcune forme di autonomia rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del SSN aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi: sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, sistema di governance delle aziende e degli enti del Servizio Sanitario Regionale, determinazione del numero di borse di studio per specialisti e medici di famiglia.
L’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di famiglia rappresentano oggi strumenti fondamentali per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario che andrebbero estesi a tutte le Regioni, sostiene Fondazione Gimbe nel suo rapporto.
Non solo. Una maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi “darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale. Inoltre, la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con “migrazione” di personale dal Sud al Nord, ponendo una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati”.
“La richiesta di maggiori autonomie – continua Nino Cartabellotta – viene proprio dalle Regioni che fanno registrare le migliori performance nazionali in sanità”. Lo mostra la “fotografia” sugli adempimenti al mantenimento dei Lea relative al decennio 2010-2019.
Le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano infatti nei primi 5 posti della classifica, rispettivamente Emilia Romagna (1a), Veneto (3a) e Lombardia (5a), mentre nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e solo 2 del Centro (Umbria e Marche).
L’analisi della mobilità sanitaria conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord (il famoso “turismo sanitario”) dove la gente va a farsi operare provenendo dal resto del paese. A questa asimmetria corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, visto che nel decennio 2010-2019, ben tredici Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi di euro.
Tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+€ 6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+€ 3,35 miliardi), Toscana (+€ 1,34 miliardi), Veneto (+€ 1,14 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a € 1 miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (-€ 2,94 miliardi), Calabria (-€ 2,71 miliardi), Lazio (-€ 2,19 miliardi), Sicilia (-€ 2 miliardi) e Puglia (-€ 1,84 miliardi).
Cresceranno le disuguaglianze già esistenti
“Questi dati – continua Cartabellotta – confermano che persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali, in particolare un gap strutturale Nord-Sud che compromette l’equità di accesso ai servizi e alimenta un’imponente mobilità sanitaria in direzione Sud-Nord”. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze.
Per queste ragioni la Fondazione Gimbe propone in primo luogo “di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. In subordine, chiede che l’eventuale attuazione del regionalismo differenziato in sanità venga gestita con estremo equilibrio, colmando innanzitutto il gap strutturale tra Nord e Sud del Paese, modificando i criteri di riparto del Fabbisogno Sanitario Nazionale e aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni”.
Il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta non ha dubbi: “l’attuazione delle maggiori autonomie nella tutela della salute darà il colpo di grazia al SSN, aumenterà le diseguaglianze regionali e legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”.
Dall’analisi delle richieste di maggiore autonomia avanzate da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto nell’ambito “tutela della salute” emergono alcune considerazioni generali, suffragate da quasi 2.000 stakeholder (ovvero i “portatori di interessi”) della sanità in occasione della indagine promossa dalla Fondazione.
Alcune forme di autonomia rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del SSN aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi: sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, sistema di governance delle aziende e degli enti del Servizio Sanitario Regionale, determinazione del numero di borse di studio per specialisti e medici di famiglia.
L’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di famiglia rappresentano oggi strumenti fondamentali per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario che andrebbero estesi a tutte le Regioni, sostiene Fondazione Gimbe nel suo rapporto.
Non solo. Una maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi “darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale. Inoltre, la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con “migrazione” di personale dal Sud al Nord, ponendo una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati”.
“La richiesta di maggiori autonomie – continua Nino Cartabellotta – viene proprio dalle Regioni che fanno registrare le migliori performance nazionali in sanità”. Lo mostra la “fotografia” sugli adempimenti al mantenimento dei Lea relative al decennio 2010-2019.
Le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano infatti nei primi 5 posti della classifica, rispettivamente Emilia Romagna (1a), Veneto (3a) e Lombardia (5a), mentre nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e solo 2 del Centro (Umbria e Marche).
L’analisi della mobilità sanitaria conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord (il famoso “turismo sanitario”) dove la gente va a farsi operare provenendo dal resto del paese. A questa asimmetria corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, visto che nel decennio 2010-2019, ben tredici Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi di euro.
Tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia (+€ 6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+€ 3,35 miliardi), Toscana (+€ 1,34 miliardi), Veneto (+€ 1,14 miliardi). Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a € 1 miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (-€ 2,94 miliardi), Calabria (-€ 2,71 miliardi), Lazio (-€ 2,19 miliardi), Sicilia (-€ 2 miliardi) e Puglia (-€ 1,84 miliardi).
Cresceranno le disuguaglianze già esistenti
“Questi dati – continua Cartabellotta – confermano che persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali, in particolare un gap strutturale Nord-Sud che compromette l’equità di accesso ai servizi e alimenta un’imponente mobilità sanitaria in direzione Sud-Nord”. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze.
Per queste ragioni la Fondazione Gimbe propone in primo luogo “di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. In subordine, chiede che l’eventuale attuazione del regionalismo differenziato in sanità venga gestita con estremo equilibrio, colmando innanzitutto il gap strutturale tra Nord e Sud del Paese, modificando i criteri di riparto del Fabbisogno Sanitario Nazionale e aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni”.
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L’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di ieri del DDL sull’Autonomia differenziata segna un salto di qualità concreto mai visto sulla strada della divisione del Paese, della rimessa in causa dei diritti universali uguali per tutti e tutte, dell’esistenza della Repubblica per come è uscita dalla Liberazione e per come è definita nei principi fondamentali della Costituzione.
Dopo anni di discussioni, ipotesi, pre-intese, progetti messi avanti ma mai realizzati, siamo ora di fronte ad un’accelerazione che pone tutte le forze politiche e sindacali che hanno a cuore l’unità della Repubblica e la difesa dei valori costituzionali di fronte ad una nuova responsabilità.
La Meloni e Fratelli d’Italia – la forza politica che, a partire dal suo stesso nome, basa la propria esistenza e il proprio programma su precise rivendicazioni di carattere nazionalistico – hanno abbassato la testa e, pur di mantenere integri gli equilibri del Governo e procedere, con tutti gli alleati, verso il proprio progetto di presidenzialismo – hanno consentito Il passaggio del ddl Calderoli, tenendo così fede allo scambio concordato in campagna elettorale.
Da parte sua, il ministro Calderoli ha portato avanti una questione delicatissima – che riguarda l’attribuzione della potestà legislativa esclusiva alle regioni su ben 23 materie, e quindi la violazione palese del principio di uguaglianza tra cittadine e cittadini di questo Paese sulla base del certificato di residenza, e quindi l’aumento esponenziale delle diseguaglianze – in tempi rapidissimi, per tirare la volata al proprio partito – la Lega – alle imminenti elezioni regionali della Lombardia.
Fratelli d’Italia, la Lega, Forza Italia, per calcoli politici elettoralistici e per convinzione, hanno dunque oggi detto chiaramente che intendono andare fino in fondo.
Se qualcuno si illudeva fino a ieri che attraverso il dialogo, facendo leva sulle contraddizioni delle forze di governo, cercando di “limitare i danni”, il governo si potesse fermare, oggi ha la risposta.
E tuttavia, questo governo osa approvare il DDL proprio mentre nel Paese, finalmente, le voci si levano contro l’AD, la gente comincia a prendere coscienza del pericolo – anche se in modo ancora insufficiente – mentre diversi costituzionalisti, esponenti del mondo dell’economia, della cultura, della scienza, dell’arte, del giornalismo lanciano l’allarme.
Benché possa contare sui voti della maggioranza, questo scellerato progetto può essere fermato, ma non certo solo in Parlamento: solo una mobilitazione di massa, che porti in piazza centinaia di migliaia di cittadine e cittadini, può imporre il ritiro di questo DDL, lo stop al governo.
Noi che fin dal 2019 abbiamo lanciato l’allarme, ribadiamo con forza ciò che ci ha portato ad unirci a tante forze associative, politiche e sindacali nel Tavolo NOAD: è responsabilità delle organizzazioni sindacali e politiche, ognuno per la forza che ha e può mettere in campo, unirsi e organizzare questa mobilitazione, fare di tutto per il ritiro del DDL, prima che sia troppo tardi.
Noi ci appelliamo a tutti e tutte: il dibattito che finalmente si è aperto nel Paese crea le condizioni per costruire questa mobilitazione, ma non c’è un minuto da perdere: uniamoci per costruirla, organizziamoci affinché sia la più forte possibile!
Comitati per il ritiro di ogni Autonomia differenziata, 2 febbraio 2023
Nota. Sorprendentemente oggi, Stefano Bonaccini, dopo aver per quattro anni richiesto a gran voce (unendosi al coro di Zaia e Fontana) autonomia su 16 materie per la propria regione; dopo aver concordato intese sostanzialmente sovrapponibili insieme alle regioni leghiste; dopo aver rifiutato di esaminare in commissione consiliare ER la petizione popolare firmata da 3500 cittadine/i, con la quale si chiedeva il ritiro della pre-intesa; essendo quindi ancora oggi il firmatario di una delle tre preintese già concordate e pur rivendicando tuttora la validità di quelle preintese, si è scoperto improvvisamente contrario, dichiarando il ddl Calderoli: “Irricevibile. Pronti alla mobilitazione”.
Noi diciamo a Stefano Bonaccini: non è tardi per cambiare idea, persino per chiedere scusa, anche per le responsabilità enormi che il PD ha, dalla riforma del Titolo V ad oggi. Ma dopo quanto è successo oggi in Consiglio dei ministri, non è più il momento delle parole, né si può continuare a parlare di una presunta “altra AD possibile”, la cui evocazione continua non ha fatto altro che contribuire a portarci al punto gravissimo di oggi.
L’Ad che abbiamo di fronte è questa, quella di Calderoli: si può solo dire sì o no e organizzarsi di conseguenza. Tertium non datur.
Esecutivo nazionale NO AD
dei Comitati contro qualunque autonomia differenziata,
per l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti.
Web: perilritirodiqualunqueautonomi
email: comitatinoad@gmail.com
Fb: ControOgniAutonomiaDifferenzia
ADERISCONO AL TAVOLO NOAD:
Associazioni Anpi area Sud – Associazione Beni Comuni Stefano Rodotà – Associazione Diritti in Comune a Ciampino – Associazione Indipendenza – Associazione Le Lampare basso Jonio cosentino – Associazione Mondragone Bene Comune –– Associazione Solidarietà cittadina – Attac Italia – Carta di Venosa – Carteinregola – Casa Internazionale delle Donne – Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata – Coordinamento 2050 – Coordinamento donne italiane di Francoforte – Coordinamento metropolitano no Autonomia Differenziata Napoli – Donne in nero UD – Forum per il diritto alla salute – Forum Italiano Movimenti per l’Acqua – Giuristi Democratici – Liberacittadinanza – Libertà e Giustizia – Medicina democratica – Non una di meno RC – Osservatorio Unione Europea – Parma Città Pubblica APS – Priorità alla scuola – Rete Recovery Sud – Rete dei Numeri Pari – Rete Città in Comune – Rete Rosa – Roma XII Beni Comuni – Sardine di Francoforte – Società della Cura – Spazio donna di RC Riviste Lavoro e Salute – Left – Su la testa – transform! Italia – Volere la Luna
Sindacati
CGIL Democrazia e Lavoro – CGIL Riconquistiamo Tutto – COBAS – FLC CGIL – SGB – USB
Formazioni politiche
Confederazione Sinistre Italiane – demA Democrazia e Autonomia – Democrazia Atea – Dipende da noi Marche – Europa Verde – Futuro Meridiano – Giuristi Democratici – LabSud La riscossa del Sud Laboratorio permanente – ManifestA – Milano in Comune – Movimento Equità territoriale – Partito Comunista Italiano – Partito della Rifondazione Comunista – Partito del Sud – Possibile – Potere al Popolo! – Primavera Democratica – Rete Città in Comune – Risorgimento Socialista – Sinistra Italiana – Unione Popolare
Fonte
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