Alla fine, persino Mario Monti è costretto ad ammettere che “il nuovo Patto di Stabilità” – nella forma che va prendendo nelle riunioni dei mnistri finanziari dell’Unione Europea – “non è all’altezza delle sfide che la UE deve affrontare”.
E lo fa, come sempre, dalle colonne del Corriere della Sera, che certo non è una testata “sovranista”.
Dopo questa prima mazzata – piuttosto inattesa da chi era stato innalzato in appena 24 ore al soglio di senatore a vita e primo ministro, al grido di “lo vuole l’Europa” – l’ex Commissario cerca di attenuare la durezza del giudizio, almeno nelle formule verbali.
E non è dunque affatto necessario seguirlo nelle barocche distinzioni tra il “vecchio” patto (“comprensibile”, secondo lui, alle opinioni pubbliche europee) e quello nuovo, che difetterebbe proprio dal punto di vista della “leggibilità”.
Quello antico – ammette anche lui – “era scritto con l’accetta”, ad ogni prescrizione corrispondeva una sanzione, grosso modo, ma aveva tra l’altro il difetto di non essere davvero applicabile, perché i “parametri di Maastricht” assunti come obiettivi “virtuosi” erano, sì, numericamente semplici, ma economicamente “stupidi” (parola di Romano Prodi!).
In altri termini, quel patto obbediva formalmente ad una teoria economica allora dominante – il neoliberismo, che imponeva la distruzione del “modello sociale europeo”, tra privatizzazioni e liberalizzazioni, riduzione del debito pubblico e del ruolo dello Stato nell’economia – ma non ha mai avuto nessuna capacità di “stimolare la crescita” di un intero continente.
Quel patto, così come scritto, favoriva molto i paesi più forti (la Germania, in testa, e quelli del Nord in genere), ma distruggeva quelli già deboli. Senza peraltro migliorare “l’integrazione europea”.
Mario Monti, questa cosa, non l’ammetterebbe neanche sotto tortura. Dunque è costretto a un’arrampicata sugli specchi che lo porta a ricordare il “diverso contesto” economico e politico, evocando le speranze (e la propaganda fatta di promesse: “lavoreremo un giorno in meno guadagnando come se lavorassimo un giorno in più”, arrivò a dire Prodi per benedire l’euro), l’”egemonia positiva” della Germania di Merkel, ecc.
Sorprendente, per uno che ha massacrato insieme a Mario Draghi il patrimonio di imprese pubbliche, è la critica postuma al “vecchio patto” che “era certamente troppo parco nel dare spazio agli investimenti pubblici, con conseguenze che hanno pesato a lungo sulla crescita e l’ammodernamento strutturale delle economie europee”.
Roma da togliergli tutte le lauree honoris causa assegnategli nel corso del tempo... Ma come: sei tra quelli che più hanno detto, scritto, fatto per eliminare la possibilità di “investimenti pubblici” ed adesso – solo adesso – scopri che era una stronzata suicida? Ma torna a studiare... E soprattutto smettila di elargire pareri sul “che fare”.
Soprattutto perché, proprio alla fine del suo editoriale, il pentito Monti arriva a criticare il “nuovo patto” quasi con gli stessi argomenti che su questo giornale abbiamo avuto modo di illustrare.
Leggiamolo: “Il nuovo patto risente dell’influenza della Germania, tuttora forte, ma che da qualche tempo si è appannata, ha perso in autorità morale, a volte esporta instabilità o ricorre ad artifici contabili”.
Peggio ancora, “Il negoziato negli ultimi mesi ne ha reso ancor più impervia la comprensione ai non tecnici, da ultimo per le esigenze reclamate con forza dal ministro tedesco Lindner. Il combinato disposto dell’esigenza sua di apparire in Germania come rigoroso – soprattutto dopo la pesante sentenza della Corte Costituzionale [che ha dichiarato illegale uno dei 29 “veicoli” fuori bilancio, aprendo così un buco da 60 miliardi nel bilancio federale, ndr] – senza esserlo però troppo nei confronti delle esigenze altrui, pur esse di politica interna (soprattutto del governo italiano […] e del governo francese”.
Detto papale papale: il “nuovo patto” è un pasticcio immondo di regole inventate per consentire a tutti i governi dei paesi più grandi di non avere problemi elettorali gravi alle oramai prossime scadenze nazionali. Ma c’entrano poco con l’economia e persino con la necessità “strategica” di creare una Unione solida e non raccogliticcia.
A questo punto non sorprende più neanche l’ultima chicca che il vecchio Mario si lascia scappare, e che contraddice tutto quel che lui ha rappresentato negli ultimi venti anni in Europa e in Italia.
“Si dovrebbe mettere forte pressione su di loro [Scholz e Lindner, ndr] per convincerli che la Germania in primo luogo, e con essa tutta l’Europa, non possono avere una crescita adeguata finché nel loro paese si mantiene lo Schuldenbremse, freno sul debito, come regola istituzionale (che peraltro ora hanno eluso) invece di qualcosa di simile a una Golden rule che era nella Costituzione tedesca nei decenni del miracolo economico”.
Insomma: basta con il freno sul debito pubblico, avanti con gli investimenti pubblici, la Germania la faccia finita di recitare la parte della “virtuosa” e vedrete come si torna a crescere...
La crisi fa davvero male, se Mario Monti diventa quasi keynesiano...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento