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26/12/2023

Niente Mes, per ora. Ma forse non hanno capito perché

Dai media mainstream più “europeisti” è impossibile capire il legame tra riforma del Patto di Stabilità e Mes, e quindi anche le ragioni per cui il governo Meloni ha ritenuto possibile calare le braghe sul primo trattato e affidare al Parlamento il compito di rifiutare il secondo.

Dai media giù “governisti”, al contrario ma non troppo, è impossibile capire le ragioni concrete (affidate a Salvini, figuriamoci un po’...) di entrambe le mosse.

Abbiamo perciò messo insieme due pezzi molto informativi tratti da testate specializzate in materia economica e finanziaria (TeleBorsa e MilanoFinanza), che insieme raccontano una storia più comprensibile e meno “ideologica”.

Sulle maggiori restrizioni previste dai nuovi parametri del Patto di Stabilità il giudizio è unanime: sono peggio di prima. L’unica “novità positiva” viene individuata in una flessibilità transitoria pari a tre anni (a partire dal 2025), passati i quali sarà notte fonda per la capacità di manovra indipendente di qualsiasi governo europeo. Ma a quel punto il governo Meloni non ci sarà sicuramente più e quindi, avranno pensato, se la veda a chi tocca.

Sul Mes, invece, l’insistenza di Francia e Germania – sposata appieno dai pasdaran “europeisti” – è più comprensibile se si guarda, come MilanoFinanza fa, allo stato di salute delle maggiori banche europee. Perché il “nuovo Mes”, comunemente chiamato “fondo salva-stati”, è tecnicamente un fondo salva-banche, perché di fatto inapplicabile per gli Stati a causa delle condizionalità incrociate con quelle del Patto di Stabilità

E qui si scopre che la Bce – non certo il Soviet supremo dei nemici del capitalismo – ha alzato i requisiti (leverage ratio) per sei banche “sistemiche”: Bnp Paribas, Commerzbank, Deutsche Bank, Société Générale, Kbc Group e Barclays Bank Ireland.

Due francesi, due tedesche, due anglosassoni (ci perdonino gli irlandesi...). E non certo le più piccole.

Perché sono decisamente troppo esposte verso i crediti derivati funzionanti “a leva” – gli stessi che furono il carburante per la grande crisi post-Lehmann Brothers – al punto da far sorgere il sospetto che facciano window dressing, ovvero si liberino degli “eccessi di rischio” nei giorni precedenti “gli esami di valutazione” dei vari enti di controllo, per poi ritornare ai giochi più speculativi subito dopo.

Messa così si capisce che le banche indicate sono quelle da considerare prime candidate ad operazioni di salvataggio in caso di tempesta sui mercati. Ma i costi, se si applica il “nuovo Mes”, dovranno essere condivisi da tutti i paesi dell’eurozona.

Quasi senza volerlo, insomma, questo Parlamento – hanno votato contro l’approvazione anche i Cinque Stelle, ma non i berlusconiani – ha fatto una cosa non stupida.

Politicamente rischiosa, certo, perché a Bruxelles (Parigi e Berlino) su certe cose non si scherza. E, palesemente, questo Parlamento italico non ha un “piano B” diverso dal seguire il carro euro-atlantico.

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