Il 30 novembre scorso è iniziata, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, la 28esima conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico, (COP28), riunione internazionale che si tiene ogni anno in un paese diverso e che ha quale obiettivo dichiarato quello di “cercare di contrastare gli effetti del riscaldamento globale“.
Tra i vari temi all’ordine del giorno c’è quello relativo ai sussidi pubblici per la ricerca, la produzione e il consumo dei combustibili fossili, quelli che causano le emissioni di gas serra, ovvero, la causa principale del riscaldamento climatico in corso: petrolio, gas e carbone.
In barba a tutti gli impegni formali presi, in tal senso, nelle scorse riunioni, molti paesi, grandi e piccoli, continuano a finanziare il consumo e la produzione di energia da fonti fossili. Secondo un rapporto del FMI, nel 2022, i sussidi ai combustibili fossili hanno raggiunto i 7mila miliardi di dollari, pari al 7,1 per cento del PIL mondiale.
Tra questi spicca proprio l’Italia che spende tantissimo per i combustibili fossili: solo quest’anno dovrebbe superare i 42 miliardi di euro, ovvero, il 2,2% del PIL.
E per quanto posssa apparire incredibile, quest’anno, alla presidenza della #COP28, c’è un petroliere degli Emirati Arabi Uniti: Sultan al-Jaber, capo della Abu Dhabi National Oil Company, il quale, tanto per chiarire, durante un evento online, ha affermato: “Non esiste alcuna scienza che indichi sia necessario limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali”.
Anzi, l'eliminazione degli idrocarburi – anche graduale – non consentirebbe lo sviluppo sostenibile “a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne”.
Ovvero, l’esatto contrario, di ciò che sostengono, da anni, gli scienziati del Panel intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) nonché tutti i massimi esperti mondiali di scienza del clima. A rivelarlo il Guardian e il Center for Climate Reporting.
È successo poche ore prima dell’annuncio fatto proprio da al-Jaber, sull'”impegno” delle 50 principali compagnie petrolifere globali, che rappresentano quasi la metà della produzione mondiale, a raggiungere emissioni di metano prossime allo zero, a porre fine al flaring di routine nelle loro operazioni entro il 2030 e a raggiungere le emissioni nette zero (quindi con l’utilizzo di tecnologie di assorbimento di gas serra) entro il 2050.
Ma la così detta ‘Carta globale della decarbonizzazione’ è un colossale pacco perché non è in linea con l’obiettivo di restare sotto 1,5° Celsius non ponendo alcun vincolo allo sviluppo di nuovo petrolio e gas e prevedendo obiettivi di emissione esclusivamente volontari e non prescrittivi.
Dettaglio non trascurabile di questa edizione: rispetto all’anno scorso è quadruplicata la presenza di lobbisti legati ai produttori di combustibili fossili. Lo ha calcolato Kick Big Polluters Out indicando che almeno 2.456 lobbisti dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) hanno avuto accesso alla Cop28.
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