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12/07/2024

La “nuova guerra fredda” della NATO contro la Russia ed il mondo multipolare

“È iniziata una nuova era: l’era prebellica. Non sto esagerando”, Donald Tusk, primo ministro polacco

L’escalation bellica in Ucraina nel febbraio 2022 ha accelerato la ri-militarizzazione del fianco orientale della NATO, iniziata nel 2014 con il colpo di stato a Kiev. L’Alleanza Atlantica, che dal 9 all’11 luglio ha celebrato a Washington il suo 75° anniversario, si sta preparando a un eventuale conflitto tra NATO e Federazione Russa lungo una linea che va dal Mar Baltico al Mar Nero.

È un tendenza lenta, graduale ma sempre più visibile che comporta l’ampliamento delle strutture per ospitare sempre più uomini e mezzi, la creazione di strutture militari ex novo (talvolta in ex basi sovietiche) e la riorganizzazione delle catene logistiche per cui l’Unione Europea si sta particolarmente prodigando. A due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, nel febbraio 2022, il rafforzamento militare del fianco orientale della NATO è ora una realtà sempre più tangibile, dalla Finlandia alle coste del Mar Nero in Bulgaria.

Senza considerare la militarizzazione dell’Artico e la preparazione di quella che viene chiamata “guerra bianca” a quelle latitudini.

Se gli anni della Guerra Fredda, quando diverse centinaia di migliaia di soldati, soprattutto americani, erano ammassati ai confini orientali dell’Europa per fronteggiare le forze sovietiche, sono ancora lontani, la Nuova Guerra Fredda si sta consolidando, alimentata dall’avventurismo bellico trasversale delle classi dirigenti e delle loro filiere politiche dai neo-fascisti agli “ecologisti”, passando per la sinistra imperialista del laburista Stamer o del socialdemocratico Scholz.

All’epoca erano schierati in Europa più di 350.000 soldati americani, contro i 100.000 di oggi. Ma i rinforzi di truppe, la costruzione di basi militari e campi di addestramento e il pre-posizionamento di sistemi di difesa aerea stanno già portando a un flusso quotidiano di truppe lungo i 2.500 chilometri di confine tra l’Alleanza Atlantica e la Russia.

Questo rafforzamento militare del fianco orientale della NATO è iniziato nel 2014, ma il processo è stato accelerato al vertice annuale della NATO a Madrid nel giugno 2022, quando è stato chiaro a tutti che l’Alleanza Atlantica aspirava ad essere il maggiore baluardo della dominazione del blocco occidentale di fronte alla formazione di un mondo multipolare.

Naturalmente ha ricevuto un ulteriore impulso al vertice a Washington dal 9 all’11 luglio. Mentre l’Alleanza celebrava il suo 75° anniversario – su cui torneremo nei prossimi giorni – sarebbe dovuta essere finalizzata tra l’altro una nuova organizzazione dell’alto comando militare, al fine di coordinare tutte le forze.

L’assurda convinzione che la Russia alla fine cercherà di spingere il suo espansionismo a ovest dell’Ucraina è ormai condivisa all’interno della NATO per cui è iniziata una sorta di corsa contro il tempo. “Per il momento, non c’è un vero confronto faccia a faccia con i russi. Quasi tutte le loro forze di terra sono mobilitate in Ucraina”, spiega a Le Monde Joris Van Bladel, specialista di questioni militari russe e senior associate presso l’Egmont Institute, l’Istituto reale per le relazioni internazionali in Belgio. “Ma non appena Mosca ne avrà i mezzi, probabilmente entro due-cinque anni, mentre la sua industria della difesa si riorganizza, passerà all’offensiva”. Quello a cui stiamo “assistendo in questo momento, sul fianco orientale, è davvero una corsa contro il tempo“, aggiunge Van Bladel.

La NATO prepara una guerra contro la Russia che per ora non è in grado di scatenare in forma compiuta se non dentro il conflitto ucraino, dando di fatto il nulla osta alla possibilità di colpire fin dentro il territorio russo con proprie armi e non attraverso operazione più o meno “sotto copertura”.

L’ultimo ad unirsi al coro della follia bellicista contro Mosca è stato il neo-eletto primo ministro britannico.

La fase che stiamo attraversando è simile a quella legata alla vicenda degli “Euro-missili” che si inseriva in una offensiva – travestita da una scelta difensiva dai circoli atlantisti – degli Stati Uniti contro l’Unione Sovietica attuata tra la fine degli Anni Settanta e l’inizio degli Anni Ottanta.

Ci siamo avvalsi di una lunga inchiesta scritta a più mani da differenti corrispondenti di Le Monde – “Sur le flan est de l’Otan, à la frontiere avec la Russie, «l’ère de l’avana-guerre» a commencé”, prima del recente summit della NATO, per aggiornare il quadro su una delle principali linee di faglia della cosiddetta “guerra mondiale a pezzi”.

È chiaro che il posizionamento di fronte alla NATO, per tutte le formazioni della “sinistra radicale” europea – specie di quelle i cui paesi sono maggiormente impegnati nella Nuova Guerra Fredda contro il mondo multipolare – risulta la principale linea di demarcazione tra “sinistra imperialista” e “sinistra di rottura”.

Corsa al riarmo: Polonia, Svezia, Finlandia e Stati Baltici

“È iniziata una nuova era: l’era prebellica. Non sto esagerando”, ha dichiarato il primo ministro polacco Donald Tusk in un’intervista rilasciata a marzo. In questa corsa al riarmo, la Polonia è il Paese in cui il processo è più significativo. Oltre a un massiccio reinvestimento nell’apparato di difesa – 4,1% del PIL nel 2024, ovvero una spesa quadruplicata dal 2014 – Varsavia ha autorizzato il dispiegamento di truppe NATO in ben otto siti sul suo territorio. Dai 2.800 militari alleati mobilitati dalla NATO nel marzo 2018 si è passati agli attuali 12.000, di cui una buona parte americani.

Un villaggio come Bemowo Piskie, nel nord-est della Polonia, situato a 100 chilometri dalla Russia e a 250 chilometri dal corridoio di Suwalki – la stretta striscia di terra che separa l’enclave russa di Kaliningrad dalla Bielorussia – conta oggi più di 1.000 soldati ogni 1.100 abitanti, secondo un rapporto del sito web di notizie Wirtualna Polska, pubblicato il 19 giugno. Vi sono dispiegati soldati americani, britannici, croati e rumeni, con tutto l’equipaggiamento pesante possibile: carri armati, obici e sistemi antiaerei.

In Polonia, oltre alla presenza di forze sotto il comando della NATO, ci sono militari americani distribuiti in una decina di siti. Secondo l’agenzia di stampa polacca PAP, oggi sono circa 10.000, rispetto ai 4.500 di poco prima dell’inizio della guerra nel 2022. Dall’estate del 2022, gli Stati Uniti hanno infatti stabilito il loro primo presidio permanente a Poznan, nella Polonia centro-occidentale, dove ha sede il comando del V Corpo dell’esercito americano, responsabile di tutte le forze statunitensi in Europa. A Redzikowo, a 30 chilometri dalle rive del Baltico, gli americani gestiscono anche uno dei siti chiave dello scudo missilistico della NATO, che sarà operativo entro la fine del 2023. A maggio, anche le forze speciali statunitensi hanno aperto una base a Cracovia, con circa 200 effettivi.

La rimilitarizzazione del fianco orientale è una delle principali preoccupazioni anche per i nuovi membri della NATO, Svezia e Finlandia. Tuttavia, a differenza della Polonia, in questi due Paesi non ci sono attualmente basi dell’Alleanza Atlantica, anche se la Finlandia condivide un confine di 1.300 chilometri con la Russia. I finlandesi restano divisi sull’eventuale creazione di un “battaglione NATO” permanente (battle group, secondo la nomenclatura NATO), come avviene dal 2022 negli altri otto Paesi del fianco orientale (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria).

Tuttavia, negli ultimi due anni, Stoccolma e Helsinki hanno beneficiato di un aumento dei pattugliamenti marittimi, in particolare da parte delle navi francesi, e di un netto incremento delle esercitazioni militari su larga scala intorno al loro territorio: quasi venti dal febbraio 2022, che hanno reso la presenza delle forze NATO quasi costante. “Abbiamo proposto un modello su misura [per una base militare] per la Finlandia, che consentirebbe di aumentare la presenza della NATO a seconda della situazione”, ha dichiarato cautamente il 14 giugno il ministro della Difesa Antti Häkkänen.

Negli Stati baltici, dove il livello di preoccupazione per la Russia è uno dei più alti d’Europa, la militarizzazione degli ultimi due anni è stata ottenuta in gran parte ampliando i campi di addestramento e rafforzando le basi esistenti, oltre che inviando nuove attrezzature. Sebbene si siano visti qua e là rinforzi di qualche centinaio di uomini, il dispiegamento dei principali contingenti alleati risale principalmente al 2014. Estonia, Lituania e Lettonia sono stati i primi Paesi a beneficiare dell’installazione sul loro territorio di battaglioni permanenti della NATO, composti da 1.000-2.000 soldati a rotazione.

Il ritorno dei bunker

In Estonia, ad esempio, dove sono schierati 1.500 soldati alleati – tra cui diverse centinaia di francesi – è in costruzione una quarta serie di caserme nella base di Tapa, a est della capitale Tallinn. Allo stesso modo, la pista dell’unica base aerea militare del Paese, situata ad Amari, a sud-ovest di Tallinn, da cui partono i jet da combattimento utilizzati per monitorare lo spazio aereo in questa zona NATO, è attualmente in fase di ristrutturazione per ospitare gli F-35 inviati dai Paesi Bassi. Infine, nell’estremo sud-est del Paese, un vasto campo di addestramento utilizzato in passato dalle forze aeree sovietiche, chiamato Nursipalu, vedrà la sua superficie triplicata nei prossimi mesi fino a raggiungere i 9.000 ettari. Il campo si trova non lontano da Taara, una base in cui un anno fa sono state dislocate diverse centinaia di soldati americani della 101esimaDivisione Aviotrasportata, che stanno tornando in Europa per la prima volta dalla battaglia di Normandia del giugno 1944.

In Lituania, il previsto arrivo di una brigata di 5.000 soldati tedeschi da qui al 2027 sta determinando grandi lavori. Il sito scelto per questi soldati è, ancora una volta, un’ex base sovietica. Conosciuto come Rudninkai, il sito alla fine coprirà un’area di quasi 25.000 ettari a sud di Vilnius, vicino al confine bielorusso. Ma tutto deve ancora essere costruito e i costi saranno probabilmente elevati. La Lituania sarà responsabile dei lavori di costruzione, stimati in circa 800 milioni di euro, mentre la Germania pagherà la manutenzione e l’equipaggiamento militare, il cui costo totale potrebbe raggiungere tra i 6 e i 9 miliardi di euro, secondo le autorità tedesche.

La Lettonia, da parte sua, è il primo Paese in Europa ad aver reintrodotto il servizio militare per i giovani tra i 18 e i 27 anni dopo la guerra in Ucraina. Il primo gruppo di coscritti ha completato il proprio addestramento a maggio.

Che si tratti degli Stati baltici, della Finlandia o della Polonia, il rafforzamento delle frontiere con la Russia e la Bielorussia è una delle principali preoccupazioni da diversi mesi.

Tutti questi Paesi hanno in programma la costruzione di barriere “anti-migranti”. Tutti temono un’offensiva militare russa sulla terraferma a più o meno lungo termine. A gennaio, Estonia, Lettonia e Lituania hanno annunciato l’intenzione di costruire una “linea di difesa baltica“ entro il 2025, con la costruzione di numerosi bunker – 600 solo in Estonia – lungo il confine con la Russia. Dal settembre 2023, anche in Lettonia è iniziata l’installazione di quasi venti siti di stoccaggio per le attrezzature anti-attraversamento – progettate per ostacolare l’eventuale avanzata delle forze russe. Questo progetto sarà seguito in Lettonia dalla costruzione di circa 3.000 rifugi antiaerei a partire dal 2025.

La prudenza di Ungheria, Slovacchia e Bulgaria

L‘Ungheria e la Slovacchia, sono i paesi che tirano maggiormente il “freno a mano” rispetto a questa crociata anti-russa. L’Ungheria, dove Viktor Orban è al potere dal 2010, il giorno dopo l’inizio della guerra in Ucraina ha accettato di ospitare un battaglione di truppe NATO. Composto da truppe croate, italiane, turche e americane, è di gran lunga il più piccolo dell’Alleanza, con 900 soldati schierati.

Anche in Slovacchia la posizione dell’esecutivo è molto prudente. Dall’autunno del 2023, il capo del governo Robert Fico ha posto bruscamente fine ai trasferimenti di armi all’Ucraina, ma sono state create diverse joint venture tra l’industria bellica slovacca e quella ucraina.

Da parte sua, la Bulgaria, sebbene più moderata nelle sue posizioni di politica estera, è uno dei Paesi dell’Alleanza che investe meno nella modernizzazione del proprio apparato di difesa. Sofia cerca di limitare il confronto con la Russia.

Tutti questi rinforzi di truppe e installazioni militari sul fianco orientale hanno reso “carta straccia” gli ultimi trattati, che avevano cercato di dare una parvenza di controllo degli armamenti in Europa. A partire dall’Atto di fondazione, firmato dalla NATO e dalla Russia nel 1997. Alla fine della Guerra Fredda, questo testo fu concepito come un primo gesto di cooperazione tra i due blocchi. Uno dei suoi obiettivi era quello di impedire l’accumulo di truppe “permanenti” in Europa, limitando ogni dispiegamento militare al di sopra del livello di brigata – circa 3.000-5.000 uomini. Questo impegno è stato rispettato fino al 2014.

Da allora, l’Occidente si è gradualmente ritirato. “Ci sono voluti due anni prima che emergesse una risposta militare accettata dagli alleati come conforme allo spirito dell’Atto di fondazione”, ricorda Elie Tenenbaum, ricercatore dell’Istituto francese di relazioni internazionali (IFRI) e autore di una nota sulla difesa del fianco orientale dell’Europa, pubblicata all’inizio di giugno. L’escalation bellica del febbraio 2022 ha mandato in frantumi tutto questo. “Oggi non c’è più nessuno che si aggrappa troppo a questo trattato, anche se la Francia è uno dei Paesi che non ha riconosciuto ufficialmente che è decaduto”, sottolinea Tenenbaum.

L’impegno francese nella nuova guerra fredda contro la Federazione Russa (Estonia e Romania)

Dopo un lungo periodo di esitazione nell’impegnarsi a Est, anche a causa dell’entità delle sue truppe mobilitate nel Sahel fino al novembre 2022 nell’ambito dell’operazione “Barkhane” (circa 5.000 soldati), la Francia è oggi uno dei Paesi più mobilitati lungo il confine con la Russia. La Francia è presente in Estonia dal 2017, con circa 300 soldati nell’ambito della missione denominata “Lynx”, ed è ora particolarmente impegnata anche in Romania, con la missione denominata “Aigle”, dove la militarizzazione è stata la più forte e rapida dal 2022. Il battaglione NATO guidato dalla Francia comprende 1.500 soldati – di cui 400 provenienti da Belgio e Lussemburgo – a cui dovrebbe aggiungersi in autunno un distaccamento di 250 soldati spagnoli.

“Tutti questi soldati sono attualmente di base a Cincu, nel cuore dei Carpazi rumeni. Tuttavia, a due anni dal loro primo impiego, vivono ancora in un gigantesco cantiere in continua evoluzione. Qui, carri armati e veicoli corazzati condividono il terreno con scavatrici e camion, impegnati a realizzare le migliorie essenziali. All’inizio di giugno, diverse aree erano appena state scavate, in attesa della costruzione di alloggi, hangar, magazzini e officine di riparazione, con l’obiettivo di ospitare fino a 2.000 soldati entro la fine dell’anno” riporta l’inchiesta a più mani pubblicata da Le Monde.

In Romania, la Francia ha ottenuto lo status di “nazione quadro”, ossia un ruolo di coordinamento delle operazioni per tutti gli alleati, affidato dalla NATO ai principali eserciti del continente. Gli inglesi hanno questo ruolo in Estonia, i tedeschi in Lituania e gli americani in Polonia. Si tratta di una responsabilità importante per Parigi, poiché la Romania confina con la Moldavia, fortemente esposta agli urti del conflitto in Ucraina. Dal punto di vista di Bucarest, la Moldavia (che non è membro della NATO) è l’ultimo bastione contro l’espansionismo russo, mentre un numero imprecisato di soldati russi è di stanza in Transnistria.

”Mosca continua a esercitare pressioni sulla Repubblica di Moldova, (...) anche attraverso il ricatto energetico e la disinformazione”, ha deplorato il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg nell’ottobre 2023, gettando benzina sul fuoco.

Tuttavia, l’esercito rumeno soffre attualmente di decenni di sottoinvestimenti: è impossibile per esso affrontare la minaccia senza il sostegno di potenti alleati. “L’aeronautica, che dispone di un’unica flotta di 17 aerei F-16 acquistati dal Portogallo [nel 2016], non tutti operativi, non è in grado di garantire la sicurezza dei cieli”, sottolinea un osservatore. L’esercito e la marina non sono messi molto meglio: il primo è dotato di carri armati TR-85 ormai obsoleti, mentre la seconda ha solo tre fregate ancorate nel porto di Costanza. Tuttavia, dal 2018 sono stati rilanciati importanti investimenti per dotare le forze armate di oltre 200 veicoli blindati di ultima generazione.

Gli Stati Uniti tessono la loro rete

Parallelamente all’ascesa della NATO, gli americani hanno rafforzato la loro presenza militare sulle coste del Mar Nero. “Hanno la loro terra, le loro risorse, i loro uomini e i loro piani”, dice un soldato francese. Su questa enorme base di 3.000 ettari, nota come Mihail Kogalniceanu (MK), l’esercito americano sta sviluppando, dal 2022, l’equivalente del sito che ha a Ramstein, in Germania. Ramstein è attualmente il centro di smistamento di tutte le attrezzature inviate in Ucraina e la più grande base statunitense in Europa, con oltre 10.000 effettivi. Nei prossimi mesi, MK ospiterà uno squadrone di F-16 romeni acquistati dalla Norvegia, oltre a droni da combattimento.

Più in generale, in risposta alle pressioni russe, gli americani stanno aumentando il numero di accordi bilaterali di cooperazione e difesa con i Paesi del loro fianco orientale. Nel 2023, Estonia, Svezia, Finlandia e Danimarca hanno firmato accordi che daranno agli Stati Uniti accesso a una vasta rete di basi militari in questi Paesi. L’esercito statunitense potrà immagazzinare lì attrezzature, armi e munizioni.

“Ogni decisione della NATO può richiedere molto tempo e, in ultima analisi, non c’è alcuna garanzia che l’articolo 5 funzioni. Con questo accordo, dovremmo essere in grado di ottenere rapidamente rinforzi dagli Stati Uniti nella nostra regione”, spiega Joakim Paasikivi, esperto dell’Università della Difesa svedese, riferendosi all’articolo del trattato NATO che definisce la solidarietà tra alleati in caso di attacco contro uno di essi. “Gli americani stanno costruendo una forza di dispiegamento rapido, per lasciarsi la possibilità di intervenire da soli”, spiega Elie Tenenbaum dell’IFRI, sottolineando che il Comando europeo degli Stati Uniti (Eucom) è anche il Comandante delle Forze NATO in Europa (Saceur).

Un grattacapo logistico

Tutta questa rimilitarizzazione del fianco orientale rimane un problema per gli alleati. Gli eserciti si scontrano con numerosi limiti tecnici e amministrativi. “Non esiste uno spazio Schengen per i militari“, dice un ufficiale francese esasperato. “Per ogni treno che parte, sono necessarie decine di autorizzazioni e, a ogni frontiera, devono essere forniti metri cubi di documentazione prima che l’equipaggiamento possa passare”. Lo stesso vale per il trasporto dei soldati, che non sono ufficialmente schierati come parte di un’operazione esterna e devono rispettare numerose formalità.

La maggior parte dei ponti rumeni, ad esempio, non potrebbe sopportare il passaggio di carri armati francesi. In Germania, nell’autunno del 2022, a questi carri armati è stato negato l’accesso alle autostrade a causa dei limiti amministrativi di tonnellaggio, costringendo l’esercito a trasportarle in treno. Recentemente, i francesi hanno dovuto fare i conti anche con la mancanza di disponibilità di aerei cargo militari, inviati d’urgenza in Nuova Caledonia. La spedizione di equipaggiamenti via mare offre poche garanzie in più, poiché i vicini porti greci sono già pesantemente utilizzati dagli alleati.

“Il ridispiegamento sul fianco orientale della NATO è un compito monumentale”, ha dichiarato recentemente a Le Monde un ex diplomatico americano dell’Alleanza. A gennaio, la Commissione europea ha sbloccato un budget di 807 milioni di euro per finanziare una quarantina di progetti di “mobilità militare”, tra cui la ristrutturazione di impianti ferroviari. Inoltre, alla fine di gennaio, Germania, Paesi Bassi e Polonia hanno firmato un accordo per la creazione di un “corridoio militare” per facilitare il movimento di truppe ed equipaggiamenti dai porti in acque profonde del Mare del Nord ai confini orientali dell’Europa. L’argomento sarà discusso nuovamente al vertice NATO di Washington.

Per aggirare questo ostacolo, alcuni Paesi alleati si sono impegnati a preposizionare veicoli e scorte più a ovest, in Europa centrale. In Francia, questa strada è attualmente esplorata dal nuovo Quartier Generale delle Operazioni Europee con sede a Lille. Come altri governi occidentali, Parigi ha scelto di limitare il numero di soldati dispiegati a est, ma si è impegnata con la NATO a inviare fino a 4.000 soldati con brevissimo preavviso se le circostanze lo richiedessero.

Per raggiungere il livello di brigata, la Francia intende avvalersi di un avamposto logistico rumeno a Lugoj, a tre ore e mezza di macchina a ovest di Cincu, vicino alla rete stradale ungherese. Lo stesso vale per Caslav, nella Repubblica Ceca, che è ora un hub logistico aereo per le missioni di pattugliamento sul fianco orientale verso l’Estonia, comprese le operazioni Lynx e Aigle. “La Francia si impegna a essere in grado di aumentare rapidamente la capacità se necessario, ma non vuole vincolare le sue forze a un unico punto”, aggiunge Tenenbaum.

Un sistema ampliato in mare e in aria

In questo settore, tuttavia, gli americani sono i più avanzati. Il loro esercito dispone già di hub logistici in Germania, Polonia, Belgio e Paesi Bassi, mentre la loro marina ha punti di supporto in Norvegia. Altri siti sono attualmente in costruzione o in ampliamento in Polonia, con nuove forniture di carri armati, veicoli blindati, artiglieria e varie attrezzature per i soldati. L’obiettivo degli Stati Uniti è quello di poter schierare senza indugio due brigate complete sul suolo europeo, se necessario. Solo per il 2023 sono stati stanziati quasi 1,3 miliardi di dollari (1,2 miliardi di euro) per questo sforzo.

Per sorvegliare i propri confini, tuttavia, l’Alleanza non si affida solo a questa presenza terrestre sempre più visibile. Ha anche ampliato il suo pattugliamento marittimo, con quattro gruppi permanenti: due nell’Atlantico settentrionale e nel Baltico, e due nel Mediterraneo. Ognuno di essi è composto da diverse fregate e cacciatorpediniere di diverse marine europee. La NATO ha anche intensificato i pattugliamenti aerei lungo il confine con la Russia. Mentre prima della guerra in Ucraina gli alleati non si affrettavano sempre a prendere il loro posto di guardia, ora la rotazione è organizzata in modo metodico.

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