Partendo dalla privatizzazione dei Capitani coraggiosi di D’Alema-Prodi e arrivando al Made in Italy della Meloni si è concluso il 1° luglio il viaggio della gloriosa azienda TIM.
Il 1° luglio, infatti, si è perfezionato l’accordo che sancisce lo smembramento di TIM in un’azienda di servizi, la TIM, e un’azienda che gestirà una porzione della rete, Fibercop, venduta agli americani del fondo speculativo KKR.
Notiamo con rammarico come la stampa si sia accorta ora, a giochi fatti, dell’operazione di separazione, con un susseguirsi di articoli, servizi radiotelevisivi, podcast. Addirittura, vediamo che qualche osservatore comincia a sollevare qualche dubbio sull’efficacia dell’iniziativa, sull’opportunità di cedere una risorsa strategica come la rete ad un paese straniero, sulle minacce occupazionali all’orizzonte.
Lo troviamo strano, se non ipocrita, perché sono almeno dieci anni che USB denuncia lo stato comatoso di TIM. Dimenandosi nelle secche di una concorrenza senza scrupoli incoraggiata dai Governi di turno, TIM non ha attuato alcun piano industriale di rilancio, se non inseguire la concorrenza sul ribasso dei prezzi, ricorrere sempre di più all’appalto e al subappalto, tagliare unilateralmente le commesse ai fornitori e sperperare soldi pubblici mettendo i propri lavoratori in cassa integrazione fin dal 2010.
Dov’erano questi solerti giornalisti quando i lavoratori facevano manifestazioni, presidi, scioperi, comunicati che denunciavano il pericolo imminente?
Dal punto di vista industriale il rischio reale è che il futuro industriale sia di FiberCop sia di TIM, considerata l’incertezza sul fronte della sostenibilità del debito di entrambe le società, in vista di una concorrenza sempre più serrata sui processi di digitalizzazione, abbia vita breve.
In FiberCop, sarà probabile un “dimagrimento” dei circa 20mila dipendenti, dato che dovrà gestire la porzione di rete che richiede più investimenti, gravata da un debito enorme e che non potrà gestire liberamente i prezzi dei servizi che continueranno ad essere regolati dall’Autorità di Governo AGCOM.
Si potrebbe inoltre determinare un meccanismo di sganciamento da parte del fondo KKR, una volta terminata la speculazione finanziaria. A quel punto rimarrebbe in vita un cadavere industriale di cui lo Stato, attraverso il finanziamento del MEF, dovrebbe gestire il debito, il personale e un sistema tecnologico in via di superamento.
Pericolosa sarà anche la situazione di TIM, o società di servizi. Attraverso questa operazione, infatti, vede sicuramente diminuire il debito, accumulato negli anni dalle scalate dei vari gruppi finanziari, ma si troverebbe a giocare un ruolo secondario in un mercato ormai in crisi e con concorrenti più forti e minore personale a carico. Probabile a quel punto l’ulteriore “alleggerimento” di TIM con la vendita del Customer Care e del segmento Consumer.
Secondo USB, c’è quindi il rischio concreto che siano state costituite due BAD COMPANY con il risultato di una perdita occupazionale e senza prospettive industriali serie per il settore delle TLC.
In questa situazione determinante è stato il ruolo del Governo che ha finanziato una operazione in perdita a tutto vantaggio del fondo americano KKR il cui vero obiettivo, secondo USB, è quello di massimizzare l’investimento e operare anche una speculazione immobiliare sugli edifici acquisiti.
In conclusione, ci auguriamo che stampa e TV mantengano la stessa attenzione in futuro sulle conseguenze di questa scelta.
Come USB saremo come sempre tra i lavoratori, ad organizzare le lotte, unica arma contro l’attacco al lavoro, ai diritti, ai salari.
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