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22/12/2024

Serie perplessità sul “miracolo argentino”

Un’analisi scientifica del presunto “miracolo economico” dovuto alla “motosega” di Milei, che tanto viene strombazzato nei media liberal-fascisti di casa nostra.

Tutto dipende da cosa si enfatizza e cosa si nasconde, da quali dati vengono ritenuti fondamentali e quali irrilevanti. Come se ogni dato non esprimesse un trasferimento di ricchezza sociale e di potere da certi settori ad altri.

Per esempio, se si considerano i dati percentuali sulla povertà come “fisiologici”, e non come un problema sociale devastante (anche in termini di “mercato”, visto che i consumi si fermano), tutto può sembrare più roseo per chi immagina che l’economia sia come l’astronomia. Ossia un meccanismo da guardare, piuttosto che il modo in cui una popolazione vive, si riproduce, si sviluppa o crepa.

Di fatto, per la “ricetta Milei” si potrebbe dire che “l'intervento è perfettamente riuscito, ma il paziente è morto”. Quando qualcuno – Giorgetti, Salvini, Meloni, Marattin, ecc. – propone di applicarla anche qui sta in realtà progettando la vostra sciagura.

È il punto di arrivo, in concreto, della “svolta neoliberista” della Thatcher e di Reagan, che ormai quasi dieci fa abbiamo sintetizzato nel programma “dovete morire prima“.

Buona lettura.

*****

di Atilio Boron

Il governo di Javier Milei ha compiuto un anno e il bilancio difficilmente potrebbe essere più desolante. Il “più grande aggiustamento che l’umanità abbia mai visto”, così come definito con grande orgoglio dal presidente nel suo discorso, ha ridotto il PIL di almeno il quattro per cento; fatto precipitare i consumi delle classi popolari; impoverito ampi segmenti della classe media; provocato la scomparsa di quasi 300 mila posti di lavoro e la chiusura di 16.500 piccole e medie imprese e 10 mila chioschi.

La gente consuma molta meno carne, i bambini bevono molto meno latte: un milione di loro va a dormire senza cenare e, secondo l’UNICEF, la cifra sale a quattro milioni e mezzo di persone se si includono anche gli adulti.

Con entrate sempre più ridotte, le famiglie sono costrette a spendere molto più di prima per acqua, gas, elettricità, telefonia e trasporti. Chi ha la sfortuna di ammalarsi avrà grandi difficoltà a ricevere assistenza negli ospedali pubblici, i cui bilanci sono stati drasticamente tagliati e il cui personale lotta da anni per un imprescindibile adeguamento salariale.

A ciò si aggiunge che le quote della sanità privata sono salite alle stelle, motivo per cui sempre più famiglie della classe media, che prima potevano permettersela, ora non più, si rivolgono senza successo agli ospedali pubblici.

Questo senza menzionare il prezzo dei farmaci richiesti dalla popolazione, soprattutto dagli anziani, un tempo distribuiti gratuitamente dal PAMI e ora ridotti al minimo. L’immagine di anziani che pregano in farmacia affinché gli venga venduto un blister o regalato un campione gratuito perché non possono permettersi di pagare il farmaco è diventata un classico del panorama sociale dell’Argentina ‘libertaria’.

Malati bisognosi di farmaci oncologici si scontrano con l’indifferenza di un governo che ha fatto della crudeltà uno dei suoi tratti distintivi.

In ambito educativo, il governo ha portato a livelli sconosciuti il definanziamento dell’istruzione pubblica a tutti i livelli, con l’attacco alle università nazionali come uno dei suoi obiettivi più accanitamente perseguiti.

La situazione è altrettanto allarmante per quanto riguarda l’istruzione scolastica e le scuole secondarie, anch’esse colpite da un definanziamento che dura da anni. Come è possibile che nel distretto più ricco dell’Argentina, la Città Autonoma di Buenos Aires, le scuole pubbliche non abbiano sufficienti posti per accogliere i bambini?

Di fronte a una situazione del genere, in cui lo Stato si disinteressa delle funzioni essenziali che garantiscono il benessere della popolazione (cosa che non accade nei capitalismi metropolitani), non smette di sorprendere l’indifferenza ufficiale di fronte a tanta sofferenza.

Ma basta ricordare che l’emblema che sintetizza l’ideologia di questo governo è “dove c’è un bisogno c’è un mercato”, frase che la Casa Rosada contrappone al supposto “eccesso populista” di Evita, quando giustamente affermava che “dove c’è un bisogno nasce un diritto”, un’autentica rivendicazione democratica.

Quel motto, che lega il bisogno al mercato, dimostra l’ignoranza che prevale tra le file dell’ufficialismo, la sua fenomenale mancanza di conoscenza della storia del capitalismo “realmente esistente”, che nulla ha a che vedere con le immagini idilliache di imprenditori privati diligenti che rispondono agli stimoli dei mercati, promuovono il benessere generale e agiscono senza interventi statali.

L’idea che il bisogno generi un mercato non è solo empiricamente errata, ma è anche moralmente imperdonabile.

La lista degli orrori prodotti in questo primo anno di governo libertario sarebbe interminabile. Mi astengo dal parlare della politica estera, perché in questo caso il catalogo di aberrazioni e goffaggini sarebbe ancora più lungo.

A livello sociale, questo esperimento ha prodotto ricchi più ricchi, grazie alla dedizione con cui Milei ha lottato per “aumentare i loro guadagni”; e poveri molto più numerosi (almeno metà della popolazione, secondo metodologie che sottostimano le dimensioni reali della povertà) e anche più poveri di prima.

Non è il socialismo, ma l’“anarco-capitalismo” al governo che merita l’aggettivo di “impoverente”, che Milei attribuisce a ogni governo progressista o di sinistra. O c’è forse qualche dubbio che la grande maggioranza degli argentini sia stata impoverita da questo governo?

Come qualificare poi la distruzione del sistema scientifico, l’attacco alle arti e alla cinematografia, il disprezzo per tutto ciò che si allontana dalla logica mercantile che riduce le creazioni più elevate dell’umanità alla condizione di merce, oggetti di valore solo in quanto fonti di profitto? Questo è il vero significato della battaglia culturale proposta dai ‘libertari’.

Non smette di essere sorprendente che questo vero disastro economico, sociale, culturale e politico, prodotto in appena un anno, sia stato definito dal presidente come “il miracolo argentino”. Una frase che, senza dubbio, passerà alla storia, ma certamente non per buone ragioni.

Infine, permettetemi di dire qualche parola sulle cifre che il presidente ha menzionato a caso nel suo discorso. Soffermiamoci solo su quelle relative all’inflazione, dove il terribile numero di 17 mila per cento appare per l’ennesima volta come uno spettro agghiacciante.

È evidente che Milei cerchi di rafforzarsi appellandosi al “successo” della sua lotta contro l’inflazione. L’ultima cifra, di novembre, è stata del 2,4 per cento, celebrata alla Casa Rosada come un risultato storico.

Ma un rapido sguardo al vicinato offre un bagno di sobrietà: a ottobre quel valore è stato dello 0,33 per cento in Uruguay, dello 0,56 per cento in Brasile e dell’uno per cento in Cile, mentre in Colombia l’indicatore è stato negativo: -0,13 per cento.

È comprensibile che questo governo abbia bisogno di convincere l’opinione pubblica di aver controllato l’inflazione, dato che la sua vittoria al ballottaggio dell’anno scorso si spiega in gran parte con l’incapacità del governo del Frente de Todos di contenere quel flagello.

Ma presentare come positivo un indice di inflazione mensile otto volte superiore a quello dell’Uruguay e quasi cinque a quello del Brasile appare quantomeno eccessivo.

Inoltre, Milei e i suoi numerosi portavoce nei media, così come i politici che sostengono i suoi progetti in Parlamento e nelle province, si guardano bene dal dire che il relativo controllo dell’inflazione è il risultato di una terapia d’urto che penalizza l’intera economia.

La caduta dei livelli di consumo, a causa del deterioramento dei salari nel settore formale e informale e delle pensioni, ha ridotto i consumi, “calmierando” così i prezzi e creando l’illusione che l’inflazione – che ha cause strutturali e non è un tema di eccesso di emissione monetaria, come dice il governo – sia stata sconfitta.

Che ci sia un cambiamento di tendenza negli indici di inflazione è indubbio; ma non è stata sconfitta, né c’è nulla che autorizzi a pensare che, una volta superata l’attuale recessione, l’inflazione non possa tornare con rinnovato vigore.

I fattori strutturali che la spiegano non sono stati minimamente affrontati da un governo che concepisce la sua missione come “distruggere lo Stato dall’interno” e che si affanna per eliminare tutte le restrizioni che le autorità dovrebbero imporre per evitare il darwinismo sociale di mercato, una delle cui conseguenze è proprio l’inflazione.

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