Appena un mese fa due cavi sottomarini della rete internet erano stati danneggiati nel Mar Baltico, e proprio pochi giorni fa scrivevamo di come l’incontro avuto da Giorgia Meloni in Lapponia potesse trovare tra queste infrastrutture dei fondali un elemento di collaborazione col Nord Europa sul tema sicurezza.
Ieri, sempre nel mare racchiuso tra paesi scandinavi, baltici e Russia, è avvenuta una precipitazione degli eventi che, seppur non avrà un effetto immediato, è la dimostrazione di come la tensione in quell’area si stia alzando sempre di più. E di come la guerra è sempre più combattuta in forme “ibride”.
Tra Natale e Santo Stefano, infatti, tre cavi per le telecomunicazioni e l’energia che collegano Finlandia ed Estonia e uno che unisce il primo dei due paesi con la Germania hanno subito dei danneggiamenti, a poche ore l’uno dall’altro. Subito le attenzioni si sono rivolte alle imbarcazioni in qualche modo collegate a Mosca.
Immediatamente le autorità finlandesi hanno aperto delle indagini per sabotaggio aggravato, e si sono focalizzate verso la petroliera Eagle S. Questa, pur battente bandiere delle Isole Cook, viene infatti considerata una delle imbarcazioni di una “flotta fantasma” usata dai russi per aggirare le sanzioni occidentali.
Il direttore generale delle dogane finlandesi ha infatti affermato che la petroliera stava trasportando benzina caricata in un porto russo. Nell’arco di poche ore è diventata il principale sospettato, e così la guardia costiera di Helsinki ha agganciato la Eagle S e l’ha costretta a recarsi in acque finlandesi, prima di procedere a un’ispezione.
Secondo alcune analisi, la nave aveva una àncora, o forse più di una, calata e in fase di trascinamento. Robin Lardot, a capo dell’ufficio investigativo nazionale, ha detto: “siamo saliti a bordo, abbiamo parlato con diverse persone che lavorano sulla nave e abbiamo raccolto prove. L’inchiesta è in corso e continuerà per diversi giorni”.
L’accusa è stata sostanziata da alcuni movimenti strani che la Eagle S avrebbe fatto proprio nei pressi dell’avvenuto danneggiamento. Ma è certo che un’azione del genere, con la già annessa individuazione della responsabilità di Mosca, non può che dare una spinta all’escalation già in atto, tanto più se i sospetti si rivelassero infondati.
Quello che è senza dubbio certo è proprio il fatto che casi del genere vengano immediatamente inscritti dentro una logica di guerra: prima della Eagle S, era stata la Yi Peng 3 ad essere posta sotto sorveglianza. Quest’ultima nave è cinese, ed è stata considerata responsabile proprio dei danneggiamenti ai cavi baltici dello scorso novembre.
Che questi eventi vadano inseriti nel più ampio scenario della competizione globale lo ribadiscono in pratica anche da Bruxelles. In una dichiarazione congiunta della Commissione UE e di Kaja Kallas, Alto rappresentante per gli esteri, è stato scritto che “l’incidente che ha coinvolto i cavi sottomarini nel Mar Baltico è l’ultimo di una serie di sospetti attacchi alle infrastrutture critiche”.
Si parla di attacchi, e si parla di infrastrutture strategiche, e viene poi promesso che “in risposta a questi incidenti stiamo potenziando gli sforzi per proteggere i cavi sottomarini, incluso uno scambio di informazioni rafforzato, nuove tecnologie per individuare i responsabili e capacità di riparazione sottomarina e cooperazione internazionale”.
È ancora più esplicito il fatto che nella vicenda abbia messo bocca anche Mark Rutte. Il politico olandese ha prima avuto un colloquio telefonico in merito col primo ministro estone, e poi ha scritto su X che la NATO “è solidale con gli alleati e condanna qualsiasi attacco alle infrastrutture critiche”, per poi dichiarare che i membri dell’alleanza atlantica sono “pronti a fornire ulteriore supporto”.
Il supporto che un gruppo di paesi uniti nell’ambito bellico non può che essere una maggiore militarizzazione del Mar Baltico stesso. Non ci troviamo di fronte a un nuovo Nord Stream, ma a tanti piccoli casi che sono tuttavia il segnale di come le tensioni continuano ad aumentare.
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