Nelle ultime due settimane nel mondo è successo di tutto.
Una volta, anni fa, Papa Bergoglio ebbe a dire che eravamo già nella Terza Guerra Mondiale, però “a pezzi”.
Non sono un credente e tuttavia non mi sfugge che i papi di solito sono bene informati sui fatti che accadono e non dicono certe cose a caso.
Mai come ai tempi nostri la guerra ha assunto aspetti molteplici e si gioca su ambiti assai svariati: dalle guerre commerciali – a suon di sanzioni o dazi – a quelle diplomatiche, a quelle mediatiche, ai colpi di Stato, nella forma classica o nella versione più moderna delle “rivoluzioni colorate”.
Poi purtroppo ci sono anche quelle militari.
Nello spazio di una decina di giorni abbiamo avuto un tentativo fallito di colpo di Stato nella Corea del Sud da parte del presidente Yoon. Poi un altro quasi colpo di Stato – con esiti ancora da vedere – in Georgia, dove la presidente uscita sconfitta alle ultime elezioni, Zourabichvili non ne riconosce la validità e non intende dimettersi per far posto al vincitore di Sogno Georgiano, Mikheil Kavelashvili, scatenando delle rivolte di piazza. Un terzo c’è stato in Romania – sì nell’Europa democratica – in cui la Corte annulla la prima tornata elettorale, perché “forse condizionata da influenze russe” (sic!).
In Francia assistiamo inoltre alla caduta del Governo Barnier, peraltro in carica da pochi mesi, con Macron che, nonostante abbia perso notevoli consensi, non intende dimettersi. Ciò fa il paio con la caduta, accaduta solo un mese fa, del Governo Scholz in Germania. Un vero e proprio terremoto politico, prodotto di una forte crisi economica che sta imperversando in entrambi i paesi, che da sempre costituiscono il nucleo centrale dell’Unione Europea.
Ma l’evento più eclatante e imprevisto, almeno dai più, è stato sicuramente la fulminea invasione della Siria da parte di formazioni terroriste, le quali nel giro di solo una settimana sono riuscite incredibilmente a conquistare una città dopo l’altra, fino ad arrivare alla capitale Damasco, facendo cadere il Governo di Assad, il quale pure era riuscito a resistere a ben sette anni di guerra civile.
Non mi addentro in un’analisi approfondita su ciò che è accaduto e che sta accadendo in Siria, dal momento che lì le vicende sono oltremodo complesse e ci mancano numerose informazioni.
E infatti rispetto agli eventi in Siria rimangono non poche incognite e domande. La prima e significativa riguarda il motivo per cui l’esercito siriano ha, di fatto, rinunciato a difendere il paese, lasciando che le formazioni jihadiste dilagassero, senza contrastarle in modo adeguato. Tra l’altro sembra che non erano mancate segnalazioni dei rischi da parte di paesi alleati o comunque vicini a Damasco, però queste sembra siano state bellamente ignorate.
In attesa che gli eventi in Siria si sviluppino e che si capisca meglio dove si andrà a parare, quello che però al momento appare evidente è che a rafforzarsi sono stati senza dubbio Israele e gli USA, che da sempre osteggiavano il governo siriano e il partito di Baath. Tra l’altro Tel Aviv sta invadendo una parte della Siria vicino alle alture del Golan, senza che il nuovo governo di Jolani abbia nulla da ridire.
Anche la Turchia è uscita chiaramente vincitrice dagli eventi e si sta rafforzando notevolmente nel nord del paese.
Viceversa, chi si è chiaramente indebolito è Hezbollah, che d’ora in poi non potrà più contare sul corridoio siriano per gli aiuti da parte dell’Iran.
Anche la causa palestinese nel complesso si è palesemente indebolita, nonostante i festeggiamenti di Hamas.
Non è affatto chiaro, invece, come ne sono uscite fuori la Russia e l’Iran. Per il momento non sembra che le due basi russe nel paese siano a rischio. Poi, certo, Mosca ha perso quello che da decenni era un alleato apparentemente di ferro, però è anche vero che negli ultimi anni Assad si stava muovendo parecchio per conto suo, avvicinandosi ai paesi del golfo arabo e forse anche all’Occidente. In ogni caso per Putin la partita più grossa si sta giocando senza dubbio in Ucraina, dato che è lì che è in atto uno scontro quasi diretto con la NATO, e quella partita la sta vincendo. Senza contare poi i successi raggiunti nell’altra “partita”, quella del BRICS.
Ritornando al discorso di sopra, tutti gli eventi accaduti nelle ultime settimane nei vari angoli del mondo e la velocità crescente con la quale si stanno verificando tensioni, colpi di mano, guerre, attentati, elezioni soppresse, ecc., sono a dir poco inquietanti.
Anche perché, oltre agli eventi citati, ce ne sono molti altri che, seppur in modo meno eclatante – almeno per il momento – covano e potrebbero esplodere da un momento all’altro, oppure sono già in atto, ma non se ne parla o quasi. Due esempi per tutti: Taiwan e lo Yemen.
Al di là delle singole specificità, questa accelerazione delle dinamiche conflittuali, anche locali, ma che sta avvenendo a livello globale è chiaramente il sintomo di uno scontro generale, che vede sicuramente molti attori, numerosi fattori e dinamiche contraddittorie, non sempre facilmente comprensibili, schematizzabili e riducibili a due fronti contrapposti, ma che tuttavia avvengono nel contesto di uno scontro più ampio e globale, che è quello tra mondo unipolare – con in testa gli USA e sostenuto da un po’ tutto il mondo occidentale, e basato sul dominio del grande capitale finanziario – e mondo multipolare, i cui principali artefici sono senza dubbio la Cina e la Russia, ma con numerosi altri paesi che svolgono un ruolo importante (India, Brasile, ecc.) e che vede nel BRICS un potente strumento di propagazione e consenso a livello mondiale.
A scanso di equivoci, andrebbe specificato che tra i variegati sostenitori del mondo multipolare vi è, sì, una componente che si può definire antimperialista, ma vi sono anche altri soggetti che non lo sono affatto e che intendono solo difendere il loro capitalismo dallo strapotere del grande capitale finanziario occidentale.
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