Dopo Gaza, Cisgiordania, Libano e Siria, si va aprendo il quinto fronte della guerra senza limiti di Israele in Medio Oriente nello Yemen.
Poco dopo che un razzo lanciato dallo Yemen è stato parzialmente intercettato sui cieli di Tel Aviv (dove i detriti hanno fatto alcuni danni ma non vittime), è partito un attacco israeliano senza precedenti per forza, contro il nord dello Yemen. Il bilancio è di 9 persone uccise: 7 sono morte in un attacco al porto di Salif, le altre in due attacchi all‘impianto petrolifero di Ras Issa – afferma il canale tv Al Masirah – nella provincia occidentale di Hodeidah.
Secondo Haaretz il razzo yemenita ha lasciato un cratere profondo diversi metri nel luogo della sua caduta a Tel Aviv, causando ingenti danni a dozzine di appartamenti. La radio dell’esercito israeliano ha detto che due missili intercettori si sono diretti verso il razzo proveniente dallo Yemen ma non sono riusciti ad abbatterlo e si sono autodistrutti in aria.
Gli attacchi israeliani hanno preso di mira anche due centrali elettriche a sud e a nord della capitale yemenita, Sanaa. I raid israeliani nello Yemen erano volti a colpire tutti e tre i porti utilizzati dalle forze di Ansarallah (più noti come gli Houthi) sulla costa del paese. Tutti i rimorchiatori utilizzati per portare le navi nei porti sono stati colpiti, così come – nel precedente attacco al porto yemenita di Hodeidah – erano state distrutte le gru per scaricare le spedizioni.
Quest’ultimo fronte di guerra nello Yemen va tenuto sotto stretta osservazione perché il controllo del Mar Rosso appare decisivo per diversi progetti strategici israeliani – e non solo – che partono dal porto israeliano di Eilat, il quale a causa dell’azione di interdizione del traffico marittimo da parte del movimento yemenita Ansarallah ha visto crollare dell’85% la propria attività economica e logistica.
In campo come progetto strategico non c’è solo il Canale Ben Gurion verso il Mediterraneo, inteso come alternativo al Canale di Suez controllato dall’Egitto, ma anche altri corridoi logistici terrestri che partono sempre da Eilat e che vedono coinvolte società facenti capo all’impero economico dello stesso Trump. La via del Mar Rosso deve quindi essere riportata sotto controllo, anche con il ricorso alla guerra.
Il contesto nell’area del Mar Rosso è quello dell’aperta competizione tra i corridoi infrastrutturali della Via della Seta cinese con l’IMEC – o via del Cotone – statunitense. In pratica è terreno della competizione frontale tra i BRICS e il blocco Euroatlantico nei luoghi strategici del Medio Oriente.
I primi ritengono che la pace e la stabilità siano decisivi per il proprio sviluppo economico, il secondo non esclude affatto che la guerra e l’instabilità siano strumenti utili per complicare le cose, avvelenare i pozzi e fare arretrare le prospettive di crescita e di indipendenza dei BRICS.
In questa area del mondo, il blocco euroatlantico ha a disposizione solo Israele – e in parte la costosa rete di basi militari statunitensi in Medio Oriente – come emanazione diretta dei propri interessi. Per cui se la guerra e l’instabilità regionale sono una priorità o una necessità dell’Occidente collettivo, Israele è la potenza adibita a fare il lavoro sporco per tutti.
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