di Francesco Dall'Aglio
Si è da poco concluso l'incontro a Mosca tra Putin e il capo del Governo slovacco Robert Fico. Mistero sui temi del colloquio: i due non hanno rilasciato dichiarazioni e anche Peskov non ha voluto dire nulla, limitandosi a fare la faccia vaga. Sembra abbastanza ovvio che i due abbiano discusso di questioni energetiche, vista la polemica abbastanza accesa che si è scatenata tra Fico e Zelensky a proposito della decisione ucraina di sospendere dal 1 gennaio 2025 ogni transito di gas russo sul suo territorio (transito per il quale riceve tra gli 800 milioni e il miliardo di dollari l'anno, a fronte di un guadagno per la Russia di 3 miliardi. Nell'articolo Reuters alcune cifre. Per quanto riguarda il petrolio invece il transito dovrebbe essere garantito fino alla scadenza del contratto nel 2029).
L'interruzione delle forniture sarebbe un problema abbastanza grave per la Slovacchia, che dalla Russia riceve 2/3 del suo fabbisogno di gas, oltre che per l'Ungheria la quale, sebbene sia riuscita ad ottenere dagli USA una proroga di tre mesi per poter continuare a versare soldi sul conto della Gazprombank, non potrà versare nulla se il gas sarà interrotto tra pochi giorni.
La Commissione Europea non pare interessata al problema (e questo anche se l'ultima volta che ho controllato sia la Slovacchia che l'Ungheria facevano ancora parte dell'UE) e se ne lava le mani, dicendo che possono comprare gas altrove: il che è certamente vero, ma lo pagherebbero molto di più di quanto lo pagano ora, sia perché quello trasportato per nave ha un costo sensibilmente maggiore sia perché i paesi che lo trasferirebbero, tipo la Croazia, hanno immediatamente alzato le tariffe del transito in un'alto slancio di commovente solidarietà. Inoltre Fico è abbastanza preoccupato che il gasdotto possa essere considerato un obiettivo militare una volta che avrà esaurito la sua funzione ed essere distrutto, non tornando in funzione nemmeno dopo la fine della guerra.
Né la questione del gas è l'unico problema per l'Europa centro-orientale. Continua infatti a tenere banco la questione agricola, di cui ha parlato Orbán sabato mattina, nella conferenza stampa di fine anno: oltre a lamentarsi anche lui della situazione del gas, ha detto che l'importazione di prodotti agricoli ucraini deve essere regolamentata o il settore agricolo ungherese ed europeo verrebbe distrutto, e che l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione "farebbe chiudere il negozio" (qui tutta la conferenza stampa, e un ringraziamento al mio agente a Budapest, Davide Galluzzi).
Dell'agricoltura si preoccupano anche Moldavia, Polonia, Romania e Bulgaria, e quest'ultima anche del destino della Lukoil che a Varna ha la più grande raffineria al di fuori del territorio russo e tra assunti, indotto e rete di distribuzione dà lavoro a qualche migliaio di persone. E infatti qualcosa si muove anche sul fianco sud: al di là del circo a tre piste romeno, dove si è scoperto che la maligna rete di influencer russi che hanno portato alla vittoria di Georgescu al primo turno è stata in realtà pagata dai liberali per colpire i socialdemocratici e che poi, quando la cosa gli è esplosa in mano, si sono affrettati a buttarla in caciara dando la colpa ai russi che tanto così non sbagli mai, un po' a sorpresa (viste le dichiarazioni sempre iper-atlantiste dei partiti di governo, se la Bulgaria avesse un governo) Dimităr Glavčev, primo ministro a interim in attesa delle ennesime elezioni anticipate, non ha firmato l'accordo decennale di sicurezza con l'Ucraina che era stato annunciato con grande entusiasmo qualche tempo fa, dal quale si era già sfilato Boyko Borisov, capo del partito di maggioranza relativa GERB.
Per chiudere in bellezza, pare che anche Scholz e Duda abbiano litigato per bene, con Scholz che ha accusato il presidente polacco di non capire che la decisione, sostenuta dalla Polonia, di impiegare a favore dell'Ucraina i famosi quasi 300 miliardi di euro di fondi russi congelati in Europa devasterebbe i mercati finanziari europei e che sarebbe appunto un problema nostro, visto che in Polonia l'euro non è in uso (e non è forse un caso che i paesi più disinvolti sulla questione siano appunto quelli che l'Euro non ce l'hanno, tipo appunto la Polonia o la Gran Bretagna, tanto che un sospetto, diciamo, uno se lo potrebbe anche far venire).
Pare insomma evidente che un bel po' di paesi del "fronte orientale" della NATO/UE, che tanto non c'è più alcuna differenza, si stanno sganciando o stanno almeno provando a farlo. Ora è molto facile, come fa la nostra stampa, dire che lo fanno perché sono preda della propaganda russa, oppure perché amano i modi dittatoriali di Putin – in fondo questi popoli sono a noi inferiori, forse solo culturalmente o forse proprio geneticamente, e hanno dunque un deficit di democrazia che non si è ancora riuscito a colmare.
La realtà è molto più semplice, e la vediamo anche col caso della Georgia, paese che solo uno sciocco potrebbe definire "filorusso": a differenza nostra qualche ragioniere da quelle parti è evidentemente rimasto, e passata la sbornia due conti hanno iniziato a farseli. Senza la Russia le loro economie collasseranno, con l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione peggio ancora, visto che lì finirebbero anche tutti i fondi di sviluppo, e l'unico meccanismo di solidarietà europeo è la concessione di comprare altrove a prezzi maggiorati. Che ricorda un po' le brioches di Maria Antonietta.
Fonte
23/12/2024
Fico e Putin a colloquio, cartina tornasole delle contraddizioni UE sull'Ucraina
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