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22/12/2024

Siria - I giochi di potere israelo-turco-americani

Tutti gioiscono per la caduta del regime di Assad, oppressivo e sanguinario, pochi si chiedono se ciò che verrà dopo non sarà paradossalmente più “problematico”. Siria, la prossima Libia del Medio Oriente. O il prossimo Libano. Una intesa di potenza tra Israele e Turchia, ma prima di tutti statunitense. Il colpo di coda del duo Biden-Blinken in attesa tremante della nuova America che avanza.

Monte Hermon, Israele si prende l’acqua

Gli israeliani hanno occupato la vetta del Monte Hermon, il “serbatoio d’acqua” di tutta la regione, e non la molleranno più. Le loro truppe, inoltre, hanno invaso tutto il Golan siriano fino alla pianura e guardano verso Quneitra. ‘Autodifesa’, dice Netanyahu. Ma di questo passo arriveranno fino a Damasco, tra l’assordante silenzio di un servile Occidente, complice nell’assistere al massacro del diritto internazionale. Perché, se tutti gioiscono per la caduta del regime di Assad, oppressivo e sanguinario, pochi si chiedono se ciò che verrà dopo non sarà paradossalmente più ‘problematico’. In futuro, potrebbero esplodere definitivamente i fragili equilibri di una vasta area di formidabile importanza strategica, che lega il Mediterraneo al Golfo Persico. In questo caso, le onde d’urto geopolitiche affosserebbero mezzo pianeta, perché sarebbero foriere di conflitti più estesi.

La prossima Libia mediorientale, o Libano

Attenzione dunque, perché proprio la Siria può essere (anzi, lo è già) la prossima ‘Libia’ del Medio Oriente. O il prossimo ‘Libano’; fate voi. Insomma, una regione ad altissimo instabilità, dove con la scusa di una rivoluzione-flash posticcia, organizzata a tavolino, in molti ingenuamente pensano che possa essere arrivato un refolo di libertà, accompagnato da un periodo di stabilità. Invece, è meglio dirlo subito per non crearsi facili illusioni, la situazione si presenta come assolutamente indecifrabile. E decisamente preoccupante. Dietro il crollo di schianto del regime di Bashar al-Assad non c’è certo una napoleonica offensiva dei fondamentalisti islamici dell’HTS. No, c’è molto di più: esiste una cointeressenza di obiettivi che ha messo sullo stesso binario potenze diverse, le quali hanno raggiunto un’intesa di massima.

Obiettivi comuni di potenze diverse

Fatto sta che a ‘benedire’ l’HTS di al-Jolani, oltre alla Turchia, sembra sempre più evidente il coinvolgimento (a posteriori?) degli israeliani e, per la proprietà transitiva, del binomio Biden-Blinken, che stanno avvelenando i pozzi prima che arrivi Trump. O che forse non sono capaci di mantenerli ‘potabili’. Comunque sia, i forti sospetti che la longa manus di Netanyahu sia arrivata fino a Damasco sono confermati dalle vicende sul campo di battaglia e dalle analisi che della crisi fanno gli stessi giornali israeliani. Patrick Kingsley, di Haaretz, dice che “Israele rivendica il merito della cacciata di Assad”. La continua guerra di logoramento contro le milizie sciite che appoggiavano il regime. Haaretz fa notare anche la soddisfazione del governo Netanyahu per il successo dell’HTS islamista, perché la sua caratterizzazione sunnita costituisce un argine eccellente all’espansione iraniana.

Rivelazioni eclatanti

In due giorni gli aerei israeliani “hanno distrutto almeno il 70% di tutta la forza militare governativa siriana”. Ci si riferisce, in particolare, a basi, infrastrutture e armi di qualsiasi tipo. Impressionante e soprattutto fatto in modalità ‘silenziosa’. Certo, a Tel Aviv non sono ingenui come gli americani che hanno sdoganato un ex tagliagole di al-Nusra come al-Jolani, pur di fare un dispetto a Putin. Ma Netanyahu, che già ha stracciato tutti i trattati sottoscritti nel 1974 e ha occupato militarmente parti della Siria, vuole entrare pure lui nella spartizione del bottino. Sono già stati avviati contatti con i ribelli curdi che controllano la Siria nord-orientale, scrive Haaretz, citando il Ministro degli Esteri Gideon Sa’ar. “Il signor Sa’ar ha rifiutato di fornire maggiori dettagli – prosegue il giornale – ma gli analisti affermano che si è trattato molto probabilmente di un tentativo per aumentare l’influenza di Israele nella Siria del dopoguerra. Le forze guidate dai curdi formano un’alleanza laica, sostenuta dagli Stati Uniti, che ha svolto un ruolo di primo piano nella sconfitta dei gruppi jihadisti in Siria nell’ultimo decennio”.

Ambizioni turco-israeliane e frustrazioni americane

Haaretz rivela quello che già si sospettava: l’eterogenea e multicolore controffensiva ‘rivoluzionaria’ scatenata da un mix di ambizioni turco-israeliane e dal solito bagaglio di frustrazioni americane. Non badate, per essere chiari, a ciò che dice ufficialmente l’attuale inquilino della Casa Bianca, perché Biden in Siria c’è dentro fino al collo. Il Daily Telegraph ha intervistato Bashar al-Mashadani, capo del Comando Rivoluzionario (RCA), il quale ha rivelato che gli americani lo hanno avvisato con largo anticipo dell’attacco ribelle. “Ci hanno riuniti nella loro base di al-Tanf, al confine con l’Iraq – ha ribadito il capo jihadista – dicendoci di stare pronti”. Non solo. Gli alti ufficiali Usa hanno fatto in modo che la brigata Abu Kathab aumentasse i suoi effettivi fino a 3000 uomini. “E poi l’hanno fatta collegare – aggiunge al-Mashadani – al grosso delle forze HTS (Hayat Tahrir al-Sham), il gruppo del nuovo ‘leader supremo’ al-Jolani”.

‘Complotto’ a lunga gestazione e corsa a chi arriva prima

I fondamentalisti dell’HTS “complottavano da lungo tempo”, sostiene il britannico “Guardian” in un’intervista esclusiva concessa dal capo politico del gruppo islamico, Abu Hassan al-Hamwi. Dunque, il leader arabo, già seguace di bin Laden (e ora ‘protetto’ dagli americani), rivela alcuni particolari della rivolta che dimostrano, abbastanza chiaramente, il coinvolgimento di Washington. Al-Hamwi dice che l’attacco è stato coordinato con le forze rivoltose che agiscono in tutto il meridione della Siria, a partire dall’area di Daraa.

Solo che aggiunge un dettaglio cruciale: la maggior parte di quei gruppi ribelli siriani era stanziata in Giordania, un posto cioè dove gli Stati Uniti controllano tutto quello che si muove. Quindi, l’attacco a sud ha avuto un’altra paternità, rispetto a quello HTS a nord, sponsorizzato dai turchi. Una prova? Al-Hamwi si lascia sfuggire un’autocritica. Qualcosa è andato storto, perché i gruppi a sud (quelli che venivano dalla Giordania) non hanno rispettato i patti e hanno accelerato, per entrare velocemente a Damasco. È stata una corsa sfrenata a chi arrivava prima, vinta dagli “amici” di Biden. Per ora.

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