Nelle occasioni in cui la BCE ha deciso di tagliare i tassi di interesse, la notizia è sempre stata accompagnata da comunicati che specificavano come fosse necessario non fare il passo più lungo della gamba, per evitare effetti indesiderati. Anche se l’inflazione si è effettivamente ridotta, è la BCE che non riesce a raggiungere l’unico effetto desiderato.
L’Istat rende infatti noto che, secondo le stime preliminari per il mese di novembre, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, presenta una variazione mensile nulla, ma su base annua aumenta dell’1,4%, rispetto al +0,9% del mese precedente.
A dare la spinta principale sono ancora una volta i beni energetici e il carrello della spesa. I prezzi dei beni energetici regolamentati sono quasi raddoppiati, da +3,9% a +7,5%. Allo stesso tempo, l’andamento discendente del costo di quelli non regolamentati (da -10,2% a -6,6%) è andato pesantemente in flessione.
I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona accelerano su base tendenziale, passando da +2,0% a +2,6%. Anche i prezzi dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto passano da +1,0% a +1,8%: in entrambi i casi, incidono maggiormente sui redditi più bassi.
Perciò, anche se l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, rimane entro l’obiettivo del 2% (di appena un decimo di punto percentuale), e quella al netto dei soli beni energetici lo risupera di poco (2,2%), è chiaro che le dinamiche di mercato ancora non si siano stabilizzate. E come al solito, stanno colpendo in particolar modo le fasce più deboli della popolazione.
Anche l’Eurostat, nel diffondere i dati preliminari per tutta l’Eurozona, si attende per il mese di novembre un’inflazione in salita rispetto a ottobre, che passerà dal 2% al 2,3%. A livello di paese, mentre Germania e Francia rimangono stabili, sia in Italia sia in Spagna c’è un incremento del dato di 0,6 punti percentuali.
I dati consolidati verranno pubblicati dall’Eurostat il 18 dicembre, ma il board della BCE si riunirà il prossimo 12 dicembre, e dovrà decidere come procedere sulla base di queste informazioni. L’atteggiamento di estrema cautela usato fino a oggi fa intendere che il taglio dei tassi potrebbe fermarsi qui, per ora.
Isabel Schnabel, membro tedesco del Comitato Esecutivo della Banca, pochi giorni fa ha rilasciato un’intervista a Bloomberg, nella quale ha appunto detto che non c’è necessità di correre verso ulteriori riduzioni. E più o meno tutto il board sembra d’accordo con lei, a differenza del governatore di Bankitalia, Fabio Panetta.
Ora che anche Parigi è malata dal punto di vista dei conti pubblici, pure lì fanno pressione per ridurre i tassi (cosa che aiuterebbe nelle prossime emissioni di titoli di stato). Il governatore della Banca di Francia, Francois Villeroy de Galhau, in un evento pubblico ha affermato che “ci sono tutte le ragioni” per un ulteriore taglio il 12 dicembre.
Un elemento di verità nelle parole della Schnabel però c’è di sicuro: la stagnazione che viviamo è fortemente legata alle incertezze del mercato dovute alla situazione geopolitica. Non c’è dunque una panacea di politica monetaria che possa risolvere qualcosa che è in capo alle diplomazie o, secondo la visione guerrafonaia occidentale, alle armi.
Il quadro si presenta più vicino a quello delineato a inizio ottobre da Mario Draghi, che di certo su questi temi non è uno sprovveduto. Vivremo un periodo “con livelli d’inflazione più alti e tassi più alti”, aveva detto, e le due cose andranno a braccetto.
Non un’impennata da riassorbire, ma una fase stabile dovuta alla commistione di crisi economica e dei suoi effetti a livello di inasprimento della competizione globale. A pagarne i costi sappiamo già chi sarà.
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