Il governo del Burkina Faso ha ufficializzato il trasferimento in mani statali di due miniere d’oro e di tre licenze di esplorazione per la ricerca del metallo prezioso. Una notizia che fa seguito a quelle di inizio maggio, che avevano già preannunciato l’intenzione della giunta guidata da Ibrahim Traoré di togliere ulteriore spazio alle compagnie minerarie occidentali nel proprio paese.
Al potere dalla fine del 2022, il nuovo governo, dopo aver rivisto il codice minerario e aver istituito la Société de Participation Minière du Burkina (SOPAMIB), un ente statale investito del compito di gestire e sviluppare le risorse strategiche, aveva già ritirato i permessi per le miniere d’oro di Inata e di manganese di Tambaoil nel marzo 2024.
La giunta burkinabè aveva poi nazionalizzato anche altre due miniere d’oro, quella di Boungou e quella di Wangnon, con un accordo dal valore di circa 80 milioni di dollari. Il primo sito era della britannica Endeavour Mining, mentre il secondo era affidato alla statunitense Burkina Lilium Mining. Ora, dunque, il paese africano fa un passo ulteriore su questo percorso.
La SOPAMIB, dal momento della sua fondazione, ha raccolto più di 8 tonnellate di oro nel 2024, e più di 11 solo nel primo trimestre del 2025, creando una vera e propria riserva aurea nazionale. Bisogna inoltre considerare l’importanza che il metallo ha riassunto negli ultimi mesi come bene rifugio, con i prezzi che sono aumentati in maniera sostenuta.
Va ricordato che il Burkina Faso è il quarto produttore africano d’oro, ed esso rappresenta anche il principale prodotto d’esportazione del paese. Tra il 2016 e il 2021 la quantità del metallo estratto era già aumentata del 74%, ed ora la giunta burkinabè vuole ridefinire i rapporti di potere nel settore, rispetto alle multinazionali occidentali, per assicurare benefici maggiori alla sua popolazione.
È la logica che hanno seguito le altre realtà che si sono ribellate al neocolonialismo occidentale e hanno formato l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES). Il Niger ha tagliato le fondamentali forniture di uranio di Parigi, mentre il Mali si è concentrato, anch’esso, sulle sue miniere d’oro. Tutti insieme, hanno assestato un duro colpo alla penetrazione occidentale nell’Africa sub-sahariana.
Forse anche per questo il tentativo di rovesciare il governo di Traoré è sempre in agguato. Ma bisogna anche dire che, seppur le ultime informazioni abbiano suscitato ulteriore preoccupazione negli investitori occidentali, nelle ultime settimane si è parlato di un accordo minerario tra i vertici burkinabè e l’australiana West African Resources Ltd, purché i termini siano favorevoli alla popolazione africana.
È questo il nodo. I processi politici di marcata impronta anticoloniale innescatisi negli ultimi anni dall’inasprirsi delle contraddizioni nella cintura del Sahel, ai margini dell’area che l’Unione Europea – in particolare attraverso la presenza francese – vorrebbe dichiarare come propria sfera di influenza, accanto al Mediterraneo allargato, continuano a mettere in crisi le mire imperialistiche unioneuropeiste.
Il Burkina Faso e i suoi alleati regionali vogliono evitare di tornare nella morsa dei vecchi padroni coloniali.
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