di Michele Paris
Il procedimento
fallimentare avviato il 18 luglio scorso dalla città di Detroit ha
superato una serie di ostacoli legali negli ultimi giorni e sembra
essere destinato ad una soluzione che finirà per devastare ulteriormente
le condizioni di vita di decine di migliaia di dipendenti ed ex
dipendenti municipali, così come della maggior parte degli abitanti
della metropoli del Michigan che vedranno sparire i servizi pubblici
essenziali rimasti finora in vita.
Con un indebitamento di oltre
18 miliardi di dollari, la situazione di Detroit continua
incessantemente ad essere presentata da politici e media ufficiali come
il risultato di politiche di spesa irresponsabili, a cominciare dal
mantenimento di pensioni e programmi di assistenza sanitaria troppo
“generosi” per coloro che lavorano o hanno lavorato per la città. Questo
genere di propaganda serve sostanzialmente a giustificare gli attacchi
senza precedenti che verranno portati ai “benefit” conquistati dai
dipendenti pubblici di Detroit, così da garantire il pagamento dei bond
municipali detenuti in gran parte da banche e fondi di investimento.
Sull’istanza
di fallimento, in ogni caso, nonostante il via libera dei tribunali
continuano a pesare forti riserve legali. La stessa presentazione dei
documenti necessari per avviare il procedimento è stata segnata dal
comportamento a dir poco scorretto dell’amministratore straordinario
della città, Kevyn Orr, e del governatore del Michigan, Rick Snyder.
Quando
era apparsa chiara l’intenzione di presentare domanda di fallimento, i
legali dei fondi pensione dei dipendenti municipali avevano
immediatamente preparato una richiesta all’apposito tribunale per
bloccare un procedimento ritenuto incostituzionale. La Costituzione
dello stato del Michigan, infatti, protegge questo genere di pensioni,
chiaramente nel mirino della ristrutturazione di Detroit. Per superare
questo primo ostacolo, Orr e Snyder avevano allora chiesto ai legali dei
fondi di attendere qualche minuto prima di presentare la loro richiesta
e proprio in questo breve periodo di tempo l’amministratore
straordinario e il governatore hanno potuto procedere indisturbati con
la loro istanza di fallimento.
Il giorno successivo, poi, un
giudice statale aveva giudicato effettivamente incostituzionale la
domanda di fallimento della città di Detroit ma Orr e Snyder si sono
subito rivolti alla Corte d’Appello del Michigan che ha a sua volta
sospeso il primo verdetto. Alla fine, la settimana scorsa il giudice
fallimentare Steven Rhodes ha di fatto respinto qualsiasi richiesta
preventiva di congelare il procedimento avviato il 18 luglio, stabilendo
che ogni controversia legale verrà affrontata durante il dibattimento
in aula.
Quest’ultima
decisione ha così rappresentato una vittoria fondamentale per Orr e
Snyder, i quali avevano più volte affermato che le leggi federali sui
fallimenti devono prevalere anche sulle Costituzioni dei singoli stati.
Il giudice Rhodes, inoltre, finirà con ogni probabilità per dare il via
libera agli assalti alle pensioni, alla luce anche dei suoi precedenti
che nell’ultimo decennio lo hanno visto presiedere a procedimenti
fallimentari di svariate aziende del Michigan risolti nell’imposizione
di tagli a posti di lavoro e “benefit” vari dei loro dipendenti.
La
prima udienza è fissata ora per il 2 agosto, quando il giudice Rhodes
sarà chiamato a decidere sulla legittimità della richiesta di fallimento
di Detroit. Successivamente, i legali della città dovranno dimostrare
l’effettiva insolvenza e l’impossibilità di negoziare una
ristrutturazione del proprio debito con i creditori.
Chi sarà a
dover subire le conseguenze più pesanti del procedimento di fallimento è
facile da prevedere, visto che circa la metà dell’indebitamento di
Detroit deriva da fondi per le pensioni e l’assistenza sanitaria dei
dipendenti municipali privi di copertura finanziaria.
La promessa
fatta dalle autorità cittadine e dello stato del Michigan di volere
trattare allo stesso modo i pensionati e gli investitori che detengono
il debito di Detroit, imponendo tagli e perdite in maniera equa sembra
essere di poco conforto. Innanzitutto, anche se questo impegno venisse
rispettato, è evidente che gli effetti risulterebbero ben diversi per
pensionati che vivono con poco più di mille dollari al mese e per banche
che raccolgono profitti miliardari.
Inoltre, molti precedenti
indicano come i possessori di bond municipali potrebbero ricevere un
trattamento preferenziale, come accadde ad esempio nel caso del
fallimento della città di Central Falls, nel Rhode Island, dove nel 2011
gli “investitori“ vennero in sostanza protetti dalle perdite mentre gli
ex dipendenti municipali si videro ridurre le pensioni fino al 55%.
A
fare le spese della ristrutturazione di Detroit saranno anche molti
altri beni e servizi pubblici. L’intenzione dell’amministratore
straordinario Orr è quella di privatizzare il più possibile, dal sistema
di illuminazione cittadina ai trasporti pubblici, dalla raccolta
rifiuti alla rete idrica. I parchi della città potrebbero inoltre finire
in mano ai privati, così come gli animali dello zoo di Detroit.
Particolarmente
inquietanti appaiono anche i piani che prospettano una svendita delle
opere d’arte conservate al Detroit Institute of Art (DIA), una delle più
grandi e meglio fornite gallerie municipali degli Stati Uniti. Tra le
oltre 65 mila opere del museo spiccano lavori di Caravaggio, Picasso,
Renoir e Van Gogh e la loro eventuale vendita sembra essere presa
seriamente in considerazione.
A confermarlo è stata la notizia
che la nota casa d’aste Christie’s già nel mese di giugno aveva
effettuato una perizia sulla collezione del DIA, stimando un valore
complessivo di parecchi miliardi di dollari. Pur avendo smentito di
avere chiesto la valutazione, Orr ha lasciato intendere che a farlo
potrebbe essere stato uno dei creditori della città e, comunque, lo
stesso amministratore straordinario non ha escluso una futura vendita
delle opere in dotazione del museo.
Ben
lontano dall’essere stato causato da quella che lo stesso Orr - già
rappresentante legale di Chrysler durante la bancarotta pilotata del
2009, nonché membro di uno studio legale che rappresenta svariate banche
di Wall Street creditrici di Detroit - ha definito “dipendenza da
debito”, il fallimento della città dell’automobile e, ancor prima, la
devastazione sociale che essa ha patito negli ultimi decenni, così come
il crollo demografico e l’impoverimento di massa hanno in realtà origini
ben diverse.
Questa traiettoria verso il baratro, condivisa da
molte altre città del Midwest americano, è infatti principalmente il
risultato del processo di de-industrializzazione attraversato
dall’economia americana che ha colpito in maniera durissima il cuore
produttivo d’America. Ciò si è accompagnato alla finanziarizzazione
dell’economia e al drenaggio delle risorse pubbliche, dirottate sempre
più verso l’arricchimento di una ristretta élite parassitaria al vertice
della piramide sociale, con il conseguente allargamento a dismisura
delle diseguaglianze di reddito nel paese e la pauperizzazione di intere
città.
Il tracollo finanziario dell’autunno 2008 ha poi
determinato un’ulteriore svolta, gettando in crisi compagnie private ed
enti pubblici che, quando necessario, hanno avviato un processo di
ristrutturazione che ha colpito nuovamente le fasce più deboli della
popolazione. In questo scenario, nei casi più complicati e a maggiore
rischio di scontro sociale sono stati i procedimenti fallimentari a
rappresentare lo strumento per l’imposizione di misure che hanno
conseguenze gravissime sulle condizioni di vita di milioni di persone.
In
questa prospettiva, è semplice dedurre come il caso di Detroit
rappresenti una sorta di modello da applicare a numerose altre grandi
città americane in affanno per ridimensionare in maniera drammatica i
rimanenti benefici e servizi pubblici garantiti alla popolazione. Come
hanno riportato i media d’oltreoceano, perciò, su Detroit stanno tenendo
gli occhi i leader di città come Chicago, Los Angeles, Cincinnati e
molte altre ancora, tutte gravate da pericolosi livelli di indebitamento
e con fondi pensione in rosso.
La devastazione che si prospetta
per gli abitanti di Detroit avverrà infine senza che il governo federale
muova un dito in loro soccorso. Se il governatore del Michigan ha
deciso di non chiedere alcun piano di salvataggio a Washington,
l’amministrazione Obama ha allo stesso modo escluso qualsiasi intervento
per evitare il fallimento e le sofferenze di massa che seguiranno.
A
ribadire la posizione intransigente della Casa Bianca sono stati alcuni
esponenti di spicco del governo apparsi lo scorso fine settimana nei
talk show americani, a cominciare dal segretario al Tesoro, Jack Lew.
Quest’ultimo, in diretta su ABC News e CNN ha sostenuto che “le questioni tra Detroit e i suoi creditori” dovranno essere risolte esclusivamente tra le due parti.
Lo
stesso presidente Obama, in una recente apparizione in Illinois per
promuovere la propria immagine di difensore della classe media ha
significativamente evitato qualsiasi riferimento alla situazione di
Detroit, avallando di fatto l’istanza di fallimento avviata dalle
autorità locali ed escludendo un possibile “bailout” per rimettere in
sesto le finanze della città.
Malgrado l’estrema improbabilità di
un piano di salvataggio per Detroit, in questi giorni alcuni membri del
Congresso repubblicani hanno addirittura presentato proposte di legge
per vietare in maniera esplicita un intervento del governo federale
volto a sostenere municipalità sull’orlo del fallimento o semplicemente
in difficoltà a causa di elevati livelli di indebitamento.
La
fermezza con cui la classe politica americana mostra la propria
insensibilità nei confronti della maggioranza della popolazione di
Detroit si scontra clamorosamente con l’infinita disponibilità a
soccorrere e assistere i grandi istituti finanziari. Questi ultimi,
infatti, a differenza di lavoratori e pensionati a rischio povertà non
solo hanno ottenuto un immediato pacchetto di emergenza pari a 700
miliardi di dollari dopo l’esplosione della crisi del 2008, ma godono
anche di linee di credito super-agevolate e virtualmente illimitate,
come il programma della Fed tuttora in vigore che, a fronte della
presunta mancanza di denaro per i bisogni più urgenti della popolazione,
continua ogni mese a mettere a disposizione della speculazione
finanziaria qualcosa come 85 miliardi di dollari.
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