Non bastassero le grane berlusconiane, nel governo-mostro si aprono ora anche delle differenziazioni "tecniche". O meglio: tra tecnici puri e politici che fanno mostra di avere grandi competenze.
Il recente accordo tra la Confindustria e i sindacati divide infatti il presidente del Consiglio Enrico Letta, favorevole, e il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, scettico. Il primo guarda evidentemente all'apertura politica che la "sintonia" tra imprese e sindacati complici offre a un governo senz'anima. Il secondo, più attento ai conti, calcola i costi per le casse pubbliche. Anche di un "accordo" che non prevede nulla per i lavoratori e molto soltanto per le imprese.
Al workshop Ambrosetti, a distanza di due ore, i presenti - la solita selezionata platea di imprenditori, politici nazionali e internazionali, economisti e finanzieri - hanno visto prima l'ex-numero due di Bankitalia criticare un'intesa fatta a carico di un soggetto terzo, lo Stato con il suo bilancio, poi il premier Letta che in nome della pace sociale, propedeutica a un'economia senza attriti, si è detto soddisfatto dell'intesa.
"Il programma presentato da Confindustria e sindacati va nella direzione che abbiamo indicato ma è un po' scarso sul contributo che possono dare il mondo delle imprese e quello dei lavoratori. Se lo si legge in filigrana emerge un conto della spesa alto, a carico del bilancio dello Stato, che non è sostenibile", ha detto per primo Saccomanni in un intervento in cui pure ha rivendicato l'impegno del governo per creare le migliori condizioni a favore del mondo imprenditoriale.
Letta, invece, ha salutato "positivamente l'accordo" in quanto è "fatto importante e positivo che le parti sociali lavorino per contrastare le tensioni e per la pace sociale". E basta.
Il politico Letta, altrettanto interessato al rispetto dei vincoli europei, preferisce invece evidenziare la bontà di relazioni industriali coese e "non conflittuali".
L'apparente paradosso sta nel fatto che la contraddizione tutta interna alla "parte europea" del governo (i berluschini, per definizione, badano soltanto agli affari del Capo) è stata esplicita, e di certo non involontariamente, nell'ambito di due discorsi con il medesimo obiettivo - rivendicare la bontà di quanto fatto sinora e assicurare il proprio impegno per far ritrovare lo sviluppo perduto - davanti a una platea che chiede di avere indicazioni precise sul futuro dell'Italia.
Una prova, più che un segno, che questo governo non ha spazio davanti a sé. O cerca una "pace sociale" - per quanto ristretta ai soliti "complici" - oppure mira soltanto alla "solidità dei conti". Coperta stretta e lisa, da qualche parte si dovrà strappare.
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