Sono arrivate ieri, a distanza di quasi tre mesi dalla sentenza emessa dalla corte lo scorso 5 giugno, le motivazioni dei giudici incaricati di far luce sulla morte del giovane romano, arrestato il 15 ottobre del 2009 e morto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini. Per i magistrati, confermano le 187 pagine, Stefano Cucchi sarebbe morto per malnutrizione, abbandonato di fatto a sè stesso dai medici del reparto penitenziario del nosocomio romano, ma senza che vi sia stato dolo.
Scrivono i giudici, e questa in parte è una novità, che seppure a causare la morte “di fame” del ragioniere romano fu l’imperizia dei sanitari, forse la vittima fu pestata da chi lo aveva in custodia, probabilmente dai Carabinieri. Sarebbe «legittimo il dubbio che Stefano Cucchi, arrestato con gli occhi lividi e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri», scrive la Corte che però non decide di rispedire gli atti in procura affinché il sospetto venga confermato o fugato da una nuova e approfondita inchiesta. D’altronde la sentenza evita di prendere in considerazione le tesi proposte dagli avvocati e dai consulenti della famiglia Cucchi, giudicandoli ‘non attendibili scientificamente’ ma senza prendersi il disturbo di spiegare perché.
Sul resto niente di nuovo dalla sentenza del 5 giugno, che trasformando una vicenda di Malapolizia in una di Malasanità aveva portato alla condanna – lieve, per carità – di Aldo Fierro – primario del reparto incriminato - e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Silvia Di Carlo e Rosita Caponetti, assolvendo invece gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, oltre naturalmente agli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici. I condannati sono stati giudicati colpevoli di aver provocato alla vittima una ''sindrome da inanizione'' mentre i giudici hanno respinto la tesi delle difese degli imputati, secondo le quali invece il ragazzo era morto a causa di una improvvisa crisi cardiaca.
La famiglia si dice indignata di una sentenza omissiva e che non prende in considerazione una gran quantità di elementi della vicenda, trasformandola in una banale vicenda di malasanità e salvando non solo i Carabinieri che pure sospetta di aver pestato Stefano Cucchi, ma soprattutto la Polizia Penitenziaria.
Di seguito il commento di Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano.
Proviamo in questi momenti tanta speranza quanta, altrettanta, amarezza.
Speranza perché se avessimo voluto immaginare una sentenza debole e carente non avremmo potuto arrivare a tanto.
La sentenza riconosce il pestaggio ma lo attribuisce ai carabinieri con tanto di movente.
Quella mattina Stefano è stato oltre tre ore in attesa di essere giudicato. La Corte dice che si lamentava per la mancanza del rivotril, o del metadone.
Ma non per la dolorosissima frattura al sacro o per le lesioni al viso, alla testa, e su tutto il corpo.
La Corte sostiene che le aveva già ma, stranamente, Stefano inizia a lamentarsi solo dopo l'udienza di convalida. Si vede che prima non si era accorto di avere la schiena rotta.
La Corte omette di prendere in considerazione temi sui quali il processo si è a lungo soffermato e dice di fidarsi dei Periti senza usare un solo argomento scientifico per superare le numerose critiche loro rivolte da tutti i consulenti delle parti.
È una dichiarazione di fede. Di principio.
La Corte dice che lo hanno picchiato i carabinieri.
Ma il sangue trovato sui pantaloni ha data certa, era fresco.
Ma la Corte si dimentica comunque di restituire gli atti alla procura per procedere contro di loro. Così la prescrizione avanza.
La Corte demolisce la Procura di Roma sul pestaggio affermandolo a dispetto di arbarello e c. La Corte demolisce la procura attribuendo il pestaggio ai CC e non agli agenti.
La Corte demolisce la Procura smantellando ogni idea di complotto.
La Corte demolisce la Procura affermando gravi carenze di indagini come per esempio il non aver consentito a Samura Yaya di effettuare una ricognizione formale davanti ai tre imputati.
La Corte demolisce la Procura smantellando ogni idea di omicidio come conseguenza del grave reato di abbandono di incapace.
Si è trattato, insomma di una banalissima colpa medica. Questa è la nostra grande amarezza. Tre anni di processo spesi per questo.
Siamo indignati.
Non molleremo andremo avanti.
Ilaria Cucchi
Di seguito invece un articolo di Popoff sul coinvolgimento nella vicenda dei Carabinieri:
Cucchi, i dubbi della Corte sui Carabinieri
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