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09/09/2013

Siria, guerra alle porte tra diplomazia e manovre militari

Il segretario di Stato Usa John Kerry (a sinistra) con il ministro degli Esteri britannico William Hague

È iniziata una settimana decisiva per il presidente degli Stati Uniti che si sta giocando credibilità e reputazione sulla Siria, dopo il nulla di fatto al summit del G20. E mentre Barack Obama è a caccia di voti al Congresso, ma anche di sostegno internazionale al suo piano di attacco contro Damasco, il segretario di Stato John Kerry cerca consensi in Europa: nell'incontro con il ministro degli esteri britannico William Hague oggi a Londra, Kerry ha ricordato che "la soluzione politica resta la soluzione ultima per la fine del conflitto in Siria", sottolineando - quasi a dire che ormai è troppo tardi - che "è stata seguita per anni". "Assad potrebbe evitare l'attacco - ha aggiunto il Segretario di Stato Usa - consegnando le armi chimiche alla comunità internazionale entro la prossima settimana, ma non sembra sul punto di farlo".

Si muove anche la diplomazia siriana: è in corso un incontro tra il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e il suo omologo siriano, Walid Muallem, che ha portato i ringraziamenti di Assad all'amico Putin, ottenendo rassicurazioni sul sostegno economico e militare di Mosca al governo di Damasco in caso di attacco. E sono attese anche le dichiarazioni del presidente siriano stesso: oggi, alla vigilia del discorso di Obama, sarà infatti trasmessa l'intervista alla Cbs in cui Assad ha ribadito che "non ci sono prove" che il suo esercito abbia usato armi chimiche contro i civili lo scorso 21 agosto e ha avvertito che in caso di attacco "ci saranno ritorsioni dai nostri amici".

Il Cremlino chiede "prove convincenti" da portare alle Nazioni Unite sull'uso di armi chimiche da parte del suo alleato. E proprio il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, continua ad auspicare una soluzione diplomatica alla crisi siriana, che ha fatto circa centomila morti e centinaia di migliaia di sfollati negli ultimi due e mezzo.

Ma la guerra sembra ormai alle porte e mentre nei palazzi del potere si fa la conta dei favorevoli e dei contrari, sul terreno sono iniziate le manovre militari. Fonti dell'opposizione siriana hanno riferito che il governo avrebbe dispiegato missili terra-aria nei dintorni della capitale, nella zona dell'aeroporto militare di Almaza e in quella dell'aeroporto internazionale di Damasco. Anche la Turchia, sostenitrice dell'intervento, si prepara a un conflitto che pare ormai inevitabile, nonostante un'opinione pubblica internazionale contraria, fatta eccezione per quella israeliana. Ankara ha rafforzato le sue difese militari ai confini meridionali con la Siria: negli ultimi giorni sono state inviate altre truppe, sulle colline che si affacciano sul mar Mediterraneo è stata posizionata le difesa antiaeree armata con missili Stinger a corto raggio, il sistema di difesa radar è attivo e, ha riferito l'agenzia Reuters, lungo il confine si muovono convogli militari che trasportano equipaggiamenti e uomini. Inoltre, il quotidiano turco Hurriyet ha dato notizia di caccia da combattimento levatisi in volo dalle basi aeree sud-occidentali.

Sul confine orientale, invece, non c'è il pressing dell'Iraq. Il governo di Baghdad continua a chiedere una soluzione diplomatica. "Non saremo una base di lancio per i raid sulla Siria", ha detto il ministri degli Esteri, Hoshyar Zebari, ricordando l'ormai apparentemente accantonata Ginevra 2 durante un incontro nella capitale irachena con il suo omologo iraniano, Mohammad Javad Zarif. Anche Teheran, alleata di Assad, ha espresso più volte la sua contrarietà. D'altronde, un attacco alla Siria mette a rischio anche il negoziato sul programma nucleare iraniano, che sembrava poter riprendere in maniera più distesa dopo l'elezione alla presidenza della Repubblica islamica di Hassan Rowhani, un moderato rispetto a Mahmoud Ahmadinejad.

Intanto, un timido movimento pacifista si è fatto vivo nelle piazze di tutto il mondo, ma in Italia è stata quella di San Pietro, a Roma, a riempirsi su appello del papa. Sabato, invece, erano in circa duecento a manifestare davanti alla Casa Bianca, dove nei prossimi giorni si deciderà il destino della Siria, dove c'è già una guerra. Due anni e mezzo durante i quali una rivolta contro un regime è diventata una guerra civile, in cui si sono inseriti gruppi jihadisti che fanno dire ai marines di non voler combattere per al Qaida. Un groviglio di interessi geopolitici che fanno pianificare un intervento armato a un presidente insignito del premio Nobel per la Pace. Per trenta mesi i morti siriani non sono valsi la pena degli sforzi diplomatici - finalizzati esclusivamente a un attacco - profusi nelle ultime tre settimane.

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