Il report non attribuisce responsabilità repressive all’esercito e qui, secondo gli attivisti, c’è la mano diretta del ministro della Difesa Al Sisi impegnato ad allontanare ogni ombra dai suoi uomini. Non fa altresì menzione di cecchini piazzati sui palazzi che sparavano sulla folla con armi di precisione (com’era già accaduto nel novembre 2011 attorno al viale Muhammad Mahmood). Né dei bulldozer che ammassavano a mucchi i cadaveri impedendo che venissero identificati e pietosamente accuditi dai parenti per l’estremo saluto. Da ciò l’accusa d’una parzialità mascherata da presunto lavoro di controinformazione, basato invece esclusivamente sui filmati di Ontv di proprietà di Naguib Sawiris (uno degli uomini d’oro d’Egitto con un patrimonio calcolato da Forbes attorno al 3 miliardi di dollari, quello del fratello Nassef s’aggira sui 7) escludendo altre registrazioni di quelle drammatiche ore. Né è stata raccolta la testimonianza di alcun reduce delle tre giornate di sangue. Dunque un’operazione volta a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica, interna e straniera, la repressione come una necessità. La stessa con cui adesso che le proteste sono proibite per garantire la sicurezza nazionale, costringe gli uomini in nero a far fuoco strizzando sul mirino uno di quegli occhi da giovane povero che diventa carnefice per il bene della patria.
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