Sin dagli anni sessanta, chi si è trovato in condizioni di inferiorità, nel confronto in mare con una task force ostile presente in acque che ritiene di propria influenza e non ritenga sufficienti i suoi sottomarini ed aerei per riequilibrare il rapporto di forze, ha pensato di trovare una soluzione nei Missili balistici anti nave (in gergo Absm). Questa è la condizione classica delle grandi potenze continentali (come Russia e Cina) nei confronti di quelle che dispiegano una marina particolarmente potente (come gli Usa).
Il problema si è posto in particolare dagli anni sessanta, con l’aumento della presenza di portaerei nella flotta americana, che ne è arrivata a contare ben 13. Ma, un sistema Absm è un apparato piuttosto complesso che necessita di un efficiente sistema di avvistamento satellitare in grado di segnalare tempestivamente la posizione delle unità nemiche e di trasmettere immediatamente i dati a terra. Ovviamente, occorre anche un efficace sistema di protezione del proprio sistema satellitare. Peraltro, tale apparato deve essere in condizione di funzionare 24 ore su 24, con qualsiasi condizione atmosferica e con piani di emergenza in grado di funzionare anche in caso di abbattimento o “accecamento” dei satelliti.
Poi ci sono difficoltà legate ai tempi di reazione ed al rischio di errori, che potrebbero innescare conseguenze incalcolabili; e ci sono complicazioni legate al potenziale esplosivo che, se eccessivo, rischierebbe di creare problemi di peso, se scarso, di non essere efficace.
Ma, il problema maggiore è legato al fatto che i missili balistici descrivono una parabola, per cui, una volta lanciati, cadono in un punto determinato il che va bene con i bersagli fissi, ma le unità navali non lo sono e, una nave lanciata a 30 nodi (un nodo equivale ad un miglio nautico all’ora, pari, a sua volta a 1,852 Km/h) e che può procedere in ogni direzione, è un bersaglio quasi impossibile da centrare, anche in tempi assai brevi e con la migliore accuratezza sulla definizione della sua posizione di partenza. Si potrebbero usare missili con una testata capace di manovrare durante la traiettoria (Manowering Re-entry Vehicle MaRV), quindi non balistici ed in grado di riorientarsi.
Il che, però, pone altri due tipi di problemi: l’identificazione, nell’ultimo tratto, del bersaglio da colpire (il che esige sistemi sofisticatissimi di avvistamento e di trasmissione dei dati) ed, in secondo luogo, come evitare che il missile si disintegri per effetto degli stress aerodinamici determinati dalle correzioni di rotta. Il punto va spiegato: in campo aeronautico ed aerodinamico, il “mach” designa l’unità di misura della velocità di un corpo immerso in un fluido che offre una sua resistenza (nello specifico, in aria), in rapporto alla velocità del suono in quello stesso fluido. In condizioni normali e ad una temperatura di 20°, un mach corrisponde a 1.242 km/h. Ovviamente, più è elevata la velocità del corpo in movimento, maggiore è la resistenza dell’aria e l’attrito cresce al massimo in caso di variazioni di rotta. Si consideri che un missile del genere viaggia a velocità superiori a 10 mach, cioè oltre i 12.000 km/h.
Sin qui, l’unico missile del genere è stato il Pershing che, però, poteva operare solo piccole rettifiche di traiettoria, utile quindi a correggere molto limitatamente il punto di impatto, il che, nel caso del Pershing era un problema relativo, perché si trattava di un missile a testata nucleare. Ma con la potenza limitata di un esplosivo convenzionale, questo non ha alcuna efficacia pratica.
I cinesi si cimentano con il problema sin dagli anni sessanta ed hanno prodotto missili Absm di varia generazione, poeticamente chiamati Dong Feng (“vento dell’est”), l’ultimo della serie, il 21, attraverso una accorta combinazione delle caratteristiche di un missile balistico e di uno manovrato, otterrebbe l’effetto di una ben maggiore capacità di modellare la traiettoria nella sua fase finale. E questo attenuerebbe il rischio di disintegrazione. Attenuerebbe, ma non eliminerebbe. Va detto che lo studio dei nuovi materiali (dal grafene ai nuovi polimeri, dalle ceramiche speciali ai derivati dei lantanoidi) sta avendo sviluppi velocissimi, ma non sembra che i cinesi siano in testa alla corsa. Per quanto, mai dire mai.
Ovviamente, i dati tecnici a disposizione sono scarsi: non si sa quasi nulla del sistema di guida, ben poco sui materiali impiegati per reggere gli stress determinati dalle correzioni di rotta e neppure si sa bene quale sia il potenziale esplosivo, se è tale da danneggiare fortemente una portaerei o se solo di metterla fuori combattimento per qualche tempo.
Ovviamente, potrebbe anche trattarsi di un bluff propagandistico e le uniche foto satellitari che si conoscono mostrano un’esercitazione nel deserto del Gobi, conclusa con successo, ma su una piattaforma fissa, il che non vuol dire molto.
L’unico modo per sapere quale sia l’effettiva pericolosità del missile sarebbe quello di dargli a distanza di tiro una portaerei americana in movimento e vedere cosa sanno fare i cinesi. Dubito, però, che gli americani si presterebbero all’esperimento ed è plausibile che cerchino altre strade più tradizionali e meno costose per ottenere i dati mancanti e simulare al computer un attacco del Df21. In ogni caso, gli americani sembrano molto preoccupati e non sono tipi da impressionarsi facilmente. Anche la stampa militare occidentale, anche se con varietà di toni e di accenti, sembra dell’avviso che la cosa vada presa molto sul serio, anche se l’ipotesi del bluff non è del tutto esclusa da nessuno. Ma forse la verità sta nel mezzo: ad esempio la capacità di aggiustamento del tiro potrebbe essere maggiore di quella dei Pershing, ma minore di quella che si lascia intendere o, forse, la gittata essere ben più ridotta di quella vantata, o altro ancora. In ogni caso, se l’arma dovesse essere anche solo in parte all’altezza delle aspettative, le conseguenze geopolitiche non sarebbero piccole.
Circa la gittata massima, le valutazioni oscillano fra i 1.500 ed i 2.700 Km. La valutazione più realistica sembra essere verso il basso, ma, anche se si trattasse di 1.500 km, non sarebbe poco ed assicurerebbe il controllo di un braccio di mare ben più vasto della stretta difesa costiera o poco più.
Questa arma si integrerebbe poi con un dispositivo di tutto rispetto che include una portaerei in servizio ed una in costruzione, una discreta schiera di incrociatori di ultima generazione ed una squadra aerea crescente sia in numero che in qualità di combattimento. Di fatto, l’inviolabilità delle acque di influenza cinese appare un traguardo non più remotissimo, a meno di forti investimenti americani per ricostituire il differenziale dei rapporti di forze che sta velocemente calando.
E le conseguenze regionali sarebbero ancora più rilevanti: Taiwan, Vietnam e Giappone avrebbero di che preoccuparsi, dato che, in circostanze particolari, nelle quali gli Usa fossero seriamente impegnati altrove e non in grado di prestare efficace contrasto con le forze di scenario presenti, una rapida azione cinese verso Taiwan, le Paracel o le Senkaku, diventa una ipotesi da valutare realisticamente.
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