Altri 68 esponenti dei Fratelli Musulmani sono stati condannati a
pene detentive che vanno dai 10 ai 15 anni per le violenze esplose dopo
il golpe del 3 luglio 2013, quando l’ex presidente Mohamed Morsi,
membro della Fratellanza, fu cacciato dal potere dai militari che
adesso governano l’Egitto, e ne seguirono settimane di scontri con
decine di vittime e arresti. Una dura repressione messo in atto
attraverso la magistratura, che ha scatenato la condanna di diversi
gruppi per la tutela dei diritti umani, preoccupati per l’oppressione
del dissenso in atto nel Paese.
I 68 condannati sono stati ritenuti responsabili della morte di 30
persone durante gli scontri tra sostenitori e oppositori di Morsi in cui
morirono in tutto 50 persone. È l’ennesima condanna comminata a esponenti della
Fratellanza, processati in centinaia negli ultimi anni e condannati a
pene durissime, anche a sentenze capitali.
Nelle carceri egiziane sono finite circa 15mila persone tra esponenti e simpatizzanti della Fratellanza,
tra cui lo stesso ex presidente Morsi. È di pochi giorni fa la notizia
della condanna a pene fino a 25 anni di altri cento membri di Fratelli
Musulmani.
In galera ci sono anche attivisti che nel 2011 scesero in piazza per
protestare contro l’allora presidente Hosni Mubarak, deposto
nell’inverno di quello stesso anno. Il pugno duro del presidente Al Sisi
si è abbattuto su ogni forma di dissenso del Paese e ha scatenato le
critiche delle Ong e delle associazioni per i diritti umani. Nelle
ultime settimane, in 140, dentro e fuori le carceri, hanno iniziato uno
sciopero della fame (“la battaglia degli stomaci vuoti”) per riportare
l’attenzione sui prigionieri politici egiziani e sulla legge dello
scorso novembre che vieta le proteste di piazza spontanee, cioè senza la previa autorizzazione della polizia e delle autorità, che ha portato in carcere altre decine di persone.
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