Inutile trovare sul mainstream qualche critica all'accordo che consegna l'acciaieria di Piombino agli algerini della Cevital. D'altronde i numeri nell'immediato, e di questi tempi, sono di quelli che non trovano quasi nessuno disposto ad accollarsi le critiche. La Cevital, che forse nel secondo comune della provincia si chiamerà "Piombino siderurgica", assumerà tutti i 1860 lavoratori rimasti sul luogo. Mentre si impegna ad investire, e qui la tempistica è tutta da capire, 400 milioni di euro.
La giustificazione produttiva dell'impegno è piuttosto chiara: la necessità di acciaio per il crescente mercato interno algerino. Proprio questa necessità spingerebbe, a quanto si comprende, anche alla trasformazione del porto di Piombino nel senso di un processo di ristrutturazione per servizi logistici più avanzati. Specializzazione che non è certo aliena per una multinazionale che importa Fiat, Volvo e Hyunadi in Algeria. Ma è l'assenza, fino a questo momento, di una vera specializzazione siderurgica, da parte della Cevital, a costituire la scommessa più grossa dell'operazione.
Cevital infatti è una multinazionale che si occupa di industria ma, fino a questo momento, non ci risulta siderurgica (o perlomeno con la siderurgia come specializzazione la troviamo nell'automotive e nell'agroalimentare). Piuttosto rileviamo la presenza della multinazionale nel vetro e nella produzione di patate, zucchero, margarina e acqua minerale. Come nella gestione dei centri commerciali più importanti di Algeria.
Il segretario della Fiom Landini ha definito quello di Piombino "un signor accordo". Noi diciamo così: il mercato c'è (quello interno algerino), la scommessa pure (il fatto che Cevital non abbia mai veramente fatto siderurgia) gli investimenti forse (i 400 milioni sparati dai giornali non hanno un tempistica chiara e non si sa come siano composti e se sufficienti). Di sicuro c'è la riassunzione di tutti i lavoratori e questo è un fatto indubbiamente positivo che sta ai sindacati locali valorizzare. Resta il fatto che lo schema Rossi, accordo su aree di crisi con tutta la filiera delle istituzioni locali, serve per cosa vuol servire: attirare privati dall'estero. La stessa Piombino, che fu comprata dai russi anni addietro, nonché Livorno (caso Trw e non solo) sanno cosa significa. Non è poi un caso infatti che il governo Renzi, attirando investimenti privati (volatili come in ogni periodo di globalizzazione), rinunci all'investimento pubblico.
Non solo, con le richieste di Padoan di potenziamento della Banca Europea degli Investimenti (BEI) si attrezza per deperire la cassa depositi e prestiti italiana, possibile volano nazionale per l'investimento pubblico. Il modello Rossi-Renzi riguarda quindi la consegna della Toscana alla globalizzazione liberista nel momento in cui questa si fa più dura. Con un Jobs Act per garantire il ribasso dei salari in questo modello e un occhio alla collocazione bancaria-finanziaria di questi capitali. Già perché, in materia, ci sono segnali sul cambiamento della composizione del capitale bancario toscano.
Mps, da settimane se non mesi, è sotto interesse cinese. Il tentativo di collocarlo a qualche multinazionale francese della moneta per ora langue. Ed ecco allora che spuntano di nuovo i cinesi. Maestri del sistema bancario ombra e della bolla immobiliare. Come dire, a Siena si troverebbero presto a casa. Il punto vero però è che, così procedendo, la Toscana somiglia un pò di più al modello Singapore predetto dal premier inglese Cameron per il capitalismo del suo paese. Capitali dal tutto il mondo, adattabilità completa di lavoratori, suolo, tessuto urbano e sociale a qualsiasi strategia, anche sballata, di impresa.
Benvenuti nel modello Rossi e nel magico mondo dei suoi accordi istituzionali che tutti applaudono.
Redazione, 4 dicembre 2014
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