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04/12/2014

Iraq-Siria - Coalizione anti-Isis: i raid aumenteranno

Quattro mesi di bombardamenti non hanno fermato l’avanzata dell’autoproclamato Stato Islamico, ma per la coalizione anti-Isis i risultati ci sono: le forze irachene e i peshmerga curdi hanno ripreso il controllo di alcuni territori in Iraq. In Siria, però, la situazione è diversa, i jihadisti dominano vaste zone del Paese, quelle dove si trovano le risorse energetiche. Tuttavia, il bilancio appare abbastanza positivo ai 60 Stati che compongono la coalizione e che oggi a Bruxelles hanno deciso di incrementare i raid su Iraq e Siria.

Saranno intensificati i bombardamenti nei due Paesi minacciati (e in parte occupati) dai miliziani di al-Baghdadi; sarà incrementato l’addestramento dei combattenti dell’opposizione siriana, quelli che da oltre tre anni cercano di rovesciare il presidente Bashar al Assad che resta sempre nel mirino di Stati Uniti e Turchia; si interverrà per ostacolare il flusso di stranieri nelle file del cosiddetto califfato e di denaro nelle sue già pienissime casse. Nessuna indicazione, invece, sulla possibilità di inviare truppe di terra in Siria e in Iraq, ipotesi che alcuni governi della coalizione caldeggiano.

Tutto questo rinnovato impegno, ha precisato la coalizione, prenderà però molto tempo. Più raid non significherà che il conflitto finirà a breve. D’altronde, nonostante i “buoni risultati” vantati al termine del meeting di Bruxelles, sul terreno le cose non vanno affatto bene. E soprattutto per la popolazione la situazione resta drammatica.

Sul fatto che ci vorrà tempo è d’accordo anche Assad, ma soltanto su questo, ovviamente. Il presidente, in un’intervista al giornale francese Paris Match, ha definito i raid americani in Siria “illegali” e ha detto che non lascerà il potere, proprio come un capitano non abbandona la propria nave.

Assad ha insistito sull’inefficacia dell’intervento dell’aviazione Usa - “non sta facendo la differenza” nel conflitto tra Forze armate siriane e Isis - e ha respinto al mittente le accuse che gli sono state mosse in questi anni. Ha spiegato che sarà una guerra lunga e difficile, perché si combatte villaggio per villaggio: “L’esercito siriano non può essere ovunque contemporaneamente. Dove non c’è, si infiltrano i terroristi”.

Il presidente siriano ha anche contestato le cifre delle Nazioni Unite sulle vittime del conflitto (quasi 200.000), definendole un’esagerazione mediatica, e ha puntato il dito contro Washington che lo ha accusato di avere permesso ai jihadisti di entrare in Siria in funzione anti-ribelli. “Lo Stato Islamico (Isis) è nato in Iraq nel 2006. Gli Usa occupavano l’Iraq, non la Siria”, aggiungendo che il leader al-Baghdadi fu detenuto in una prigione Usa in quel periodo.

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