Siria, Iraq, Gaza: i giornalisti indipendenti sono testimoni scomodi da eliminare. La morte sospetta della giornalista Serena Shim a Kobane
Domenica 19 ottobre: la giornalista Serena Shim e l’operatrice Judy Irish, provenienti da Kobane, stanno tornando al loro albergo nella città turca di Suruc, al confine con la Siria, quando la loro auto a noleggio si schianta per ragioni imprecisate contro un camion betoniera. La Shim muore sul colpo, mentre l’operatrice e l’autista rimangono feriti.
Secondo alcune fonti l’autista del camion sarebbe stato arrestato, mentre altre parlano di un incidente dovuto all’eccessiva velocità dell’auto.
Serena Shim, 30 anni, due figli, era una cittadina statunitense di origine libanese e lavorava per la catena informativa iraniana in lingua inglese Press TV. Si trovava a Suruc per seguire gli sviluppi della guerra a Kobane, la città kurda in territorio siriano assediata dall’ISIS, e aveva documentato il passaggio di armi e di guerriglieri islamici attraverso la frontiera turca con la Siria a bordo di camion con le insegne del programma alimentare delle Nazioni Unite e di diverse ONG.
Tutto ciò mentre le truppe turche impedivano l’accesso a Kobane degli aiuti umanitari per la popolazione e dei volontari accorsi in difesa della città.
Uno scoop importante perché smaschera il doppio gioco del governo turco (ma anche di Arabia Saudita, Qatar, USA e Israele): a parole contro il terrorismo ma dietro le quinte sponsor del cosiddetto califfato islamico.
Appena due giorni prima dell’incidente la Shim aveva comunicato di essere stata accusata dai servizi segreti turchi (MIT) di essere una spia. “Non ho niente da nascondere e non ho mai fatto niente di diverso dal mio lavoro” aveva dichiarato in un video, manifestando la preoccupazione di essere arrestata visto che la Turchia è considerata la più grande prigione per giornalisti del mondo.
Sia la famiglia di Serena che la stampa hanno espresso forti dubbi sulla dinamica dell’incidente e chiesto trasparenza alle autorità di Ankara. Molti media definiscono l’incidente “sospetto”, il Daily Mail parla di “mistero”, mentre Shabir Hassan Ali, un analista indipendente, ha dichiarato esplicitamente a Press TV che a suo giudizio Serena è stata “assassinata dal governo di Erdogan” per aver rivelato le relazioni occulte tra la Turchia e i terroristi dell’ISIS.
Due anni fa un’altra giornalista di Press TV, la 33enne siriana Maya Nasser, era stata colpita a morte a Damasco da un cecchino appartenente alle forze ribelli. E anche Maya Nasser indagava sugli inconfessabili legami tra il servizio segreto turco e il terrorismo islamico.
Ad oggi sono circa 70 i giornalisti uccisi e 80 quelli rapiti nella guerra civile in Siria, cifre che dimostrano quanto sia rischioso cercare di raccontare gli avvenimenti in prima persona anziché copiare le veline che passano militari e politici.
La Siria è in questo momento il posto più “caldo”, ma nell’intero Medio Oriente ormai i giornalisti, soprattutto quelli indipendenti, sono diventati un bersaglio “privilegiato”: in Iraq dal ’92 ad oggi i morti sono stati 165, mentre l’estate scorsa a Gaza nel corso dell’operazione Protective Edge le forze armate israeliane ne hanno uccisi almeno otto (ma altre fonti parlano di 17).
Nello stesso periodo nell’Ucraina dell’Est numerosi giornalisti russi venivano aggrediti, rapiti, torturati e uccisi dalle truppe del regime filo-occidentale di Kiev.
Il messaggio è chiaro: “vietato l’accesso ai non addetti ai lavori”. I giornalisti che cercano una verità diversa da quella ufficiale sono testimoni scomodi da eliminare, primi fra tutti quelli che non fanno da megafono alla propaganda occidentale e alle bufale sulla guerra al terrorismo. Non è un caso che alla morte di Serena Shim e a quella di tanti altri suoi colleghi i media ufficiali non abbiano dedicato grande spazio.
Per Senza Soste, Nello Gradirà
4 dicembre 2014
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