La giornata del 3 Dicembre resterà memorabile nell’ambito di quella crisi della democrazia italiana che si sta trascinando ormai da molto tempo.
Due fatti hanno dominato la scena:
- l’emergere, per opera della Magistratura, di una gigantesca connessione criminale tra mafia, malavita comune e politica che ha gestito buona parte delle attività più delicate del Comune di Roma (il fedele Orfini, per altro uno dei massimi esponenti che proviene proprio da quelle stesse fila, è stato chiamato da Renzi a commissariare il PD romano ...);
- il selvaggio manganellamento delle cittadine e dei cittadini che protestavano contro il cosiddetto “jobs act” in discussione al Senato e sul quale il Governo, in maniera del tutto odiosa, è arrivato a porre la questione di fiducia, a cui ovviamente il PD ha risposto in modo compatto.
Siamo giunti a un punto di grave criticità: siamo di fronte alla rappresentazione reale della vera e propria rottura nel rapporto tra la politica, le istituzioni, la realtà sociale e un minimo di residuo e larvato concetto di moralità pubblica.
Non elenchiamo, ancora una volta, gli effetti drammatici che questa concezione degenerata e perversa della politica ha scatenato sulla realtà della vita quotidiana: impoverimento generale, crescita della disoccupazione, innalzamento della curva delle diseguaglianze, dissolvimento dello stato sociale, sono gli elementi caratterizzanti di questa situazione alla quale si risponde con isolate insorgenze sociali subito represse, l’allontanamento dalla politica anche nella forma "semplice" dell’espressione di voto, il rischio di una caduta da una parte verso le derive del ribellismo inefficace e dall'altra del corporativismo alimentato da forze politiche che pescano volutamente nel torbido.
Il PD ha responsabilità enormi nella determinazione di questo drammatico stato di cose avendo alimentato quel modello personalistico, di riduzione del rapporto tra politica e società che aveva caratterizzato il cosiddetto “ventennio berlusconiano” (inteso come momento di vera e propria caduta nel rapporto tra cultura e politica).
Un modello, quello del cosiddetto “ventennio”, assunto a paradigma vincente, a modello da imitare e perfezionare nella logica di un decisionismo che, più che dell’apparire - come si sarebbe potuto anche affermare - appare orientato decisamente in una sola direzione: quella di accrescere il potere di chi già lo detiene schiacciando tutto ciò che potrebbe opporsi e alimentandosi, come nel caso romano ma anche di tanti altri casi, a piene mani nella corruzione più sfacciata.
Questo è il quadro che ci ritroviamo di fronte al riguardo del quale esiste, dal nostro punto di vista, soltanto una via: quella di una forte risposta sul piano del conflitto sociale che coincida con un’opposizione strutturata dal punto di vista politico, concretamente orientata, riconoscibile perchè produce e induce identità di classe, recuperando così il ruolo perduto della rappresentanza politica, dell’aggregazione, della progettualità alternativa.
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