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04/12/2014

Di ritorno da Kobane

della Staffetta romana per Kobane*

Di ritorno dal Kurdistan, dal confine turco-siriano a una manciata di terra da Kobane, dal suo assedio e dalla sua eroica resistenza, è difficile rimettere insieme le tante emozioni che la lotta del popolo curdo è capace di regalarti. Abbiamo incontrato un forte desiderio di comprensione reciproca, di riallacciare quei fili che per tanti anni purtroppo nell’Europa dell’austerity sembravano essersi spezzati. Ci ha stupito il ricordo vivo in diverse persone di Dino Frisullo, capace con la sua esperienza di raccontare e far mobilitare le persone in favore di un popolo fino ad allora senza voce. Abbiamo capito di avere un’importante eredità da raccogliere: stiamo tracciando un solco che dovremo seminare con cura, se vogliamo portare a casa gli ambiziosi obiettivi che ci siamo preposti.

Siamo andati sulla linea del fronte non perché ci piaccia la guerra o la sua spettacolarizzazione, ma perché pensiamo che in questo preciso momento sia molto importante essere vicini alla resistenza di Kobane e sostenerla. Qui abbiamo osservato aerei americani bombardare le postazioni dell’Isis. Per chi come noi è cresciuto opponendosi a tutte le guerre della Nato, è difficile compiacersi di questo show nei cieli. Insieme ai curdi ci chiediamo quali siano le vere strategie della Coalizione anti Isis, perché le postazioni dello Stato Islamico sono bombardate solo all’ingresso di Kobane e non in tutto il territorio siriano, specialmente lungo il confine turco-siriano.

La guerra contro il regime di Assad è un’ombra che già avvolge il futuro di tutto il Medio Oriente, forse solo i principi contenuti nel contratto sociale della Rojava possono evitare l’allargamento del conflitto a tutta la regione. La Coalizione in questo momento potrebbe giocare un ruolo importante per il riconoscimento politico del Pkk e per la riapertura del processo di pace in Turchia. In caso contrario i curdi, che pur non vorrebbero abbandonare la strada intrapresa con i colloqui di pace segreti, si troveranno stretti sul doppio fronte Turchia-Isis.

A Kobane la situazione ora appare abbastanza favorevole alle YPG\YPJ, che, grazie a tattiche di guerriglia portate dietro le linee nemiche, stanno liberando la città di Kobane e i villaggi a ridosso della città. Oltre ai bombardamenti americani, è stato fondamentale per cambiare le sorti della battaglia l’arrivo dei peshmerga irakeni, a cui il governo turco ha dato il lasciapassare per entrare con mezzi pesanti nella città assediata.

In questi giorni ci siamo mossi tra Suruc e il confine turco-siriano. La nostra base è stata Meseher, più che un villaggio sul confine, una vera e propria comunità solidale, composta per lo più da parenti ed amici di chi si trova al fronte. A Suruc abbiamo incontrato la rete che gestisce l’accoglienza dei profughi, cercando di essere utili dove serviva. Qui i campi sono gestiti tramite il principio dell’autogestione – sintomo che dove i semi della democrazia vengono gettati sono poi difficili da sradicare. Sono nate commissioni tematiche in tutti i quartieri, insieme alle Case delle donne per costruire un sistema basato sulla parità dei generi. La co-Presidente della municipalità di Suruc ci ha consegnato una lettera destinata a tutte quelle municipalità italiane che volessero sostenere direttamente il sistema autogestito dei campi profughi.

Nei campi abbiamo appreso che c’è un’alternativa possibile allo spreco miliardario per la gestione delle cosiddette emergenze, soldi che potrebbero essere utilizzati direttamente sul campo, senza ingrassare le tasche del Bertolaso di turno, qualche consorzio di cooperative o le grandi organizzazioni internazionali. Un sistema alternativo dove chi si batte per la difesa dei propri territori viene ascoltato ed ha potere decisionale, dove si prova a costruire un’alternativa alla condizione di profugo.

Kobane ci mostra che per l’AKP, il partito islamico del premier Erdogan, l’autodeterminazione curda rappresenta una minaccia maggiore dello Stato Islamico: Erdogan, ha paura del modello di città autogovernate sull’esempio della Rojava anche in territorio turco. Un modello che stride con l’espansione economica della Turchia – che cerca in tutti i modi di imporsi come nuovo leader regionale – basato su cemento e sfruttamento delle risorse idriche.

I contenuti della Carta della Rojava sono già patrimonio di tutte le municipalità in cui l’HDP, il Partito Democratico dei Popoli, è al governo, anche se le istituzioni democratiche introdotte e praticate non sono formalmente riconosciute dal governo di Ankara. Confederalismo, parità di genere, convivenza multietnica, tolleranza tra diverse religioni: sono questi i principi che si stanno diffondendo, anche grazie al lavoro di base e di formazione portato avanti per anni dai militanti del Pkk in ogni piccolo villaggio della zona.

È indice però che il cambiamento di strategia voluto da Ocalan, dalla lotta per l’indipendentismo al confederalismo democratico, è realmente sostenuto dalla base del Pkk. I militanti della sinistra curda incontrati pensano che il cambiamento di strategia sia coerentei con i cambiamenti del mondo contemporaneo. Per chi viene da una tradizione marxista-leninista, non deve essere stato facile maturare un’ideologia così fortemente anti-statuale, per far ciò è stata sicuramente decisiva la formazione continua dei militanti fatta in ogni villaggio dal Partito.

Aspettiamo con trepidazione il giorno della liberazione di Kobane, pur consapevoli che la strada intrapresa verso l’autodeterminazione dei popoli in Medio Oriente ha dietro l’angolo la prossima tragedia umanitaria.

Tornati dal confine, avendo visto la guerra a poche centinaia di metri, siamo ancora più convinti che i principi dell’autonomia democratica parlano anche alle nostre città, al nostro Paese così come all’Europa devastata dalla crisi economica e dalle politiche di austerity. Costruire solidarietà e nuova cooperazione dal basso per riallacciare i fili delle tante resistenze disperse sui nostri territori. Oggi la confederazione democratica della Rojava è l’unica vera alternativa contro la guerra, contro l’autoritarismo vecchio e nuovo per la costruzione di una reale democrazia.

* La staffetta romana per Kobane muove i primi passi in settembre, all’interno della Coalizione Popolare Internazionale contro l’Isis, quando inizia il terzo attacco sferrato dall’Isis contro Kobane. All’interno della Coalizione, l’Europa democratica dei movimenti si è mobilitata il primo Novembre per dare voce in Europa alla resistenza del popolo curdo e per difendere il sistema alternativo di autonomia democratica creato in Rojava, Contemporaneamente da diversi attivisti da tutta Italia è arrivata forte l’esigenza di portare materialmente questo sostegno alle popolazioni colpite dagli attacchi dello Stato Islamico. Nasce così l’idea di una “staffetta”, con l’obiettivo di essere vicini alla resistenza in Kurdistan, ma anche per dare maggiore voce alle richieste dei curdi in Europa e forza alla campagna di solidarietà per la difesa dell'”esperimento Rojava”, nonché per migliorare le nostre conoscenze sul funzionamento dell’autonomia democratica e del confederealismo. Per raggiungere questi obiettivi si sono organizzate e continuano diverse iniziative, come la raccolta di medicinali, momenti di analisi ed approfondimento, ma anche eventi di piazza ed azioni contro le autorità turche, che a più riprese stanno fornendo sostegno materiale e logistico all’Isis. Per fare ciò è stato sin da subito fondamentale il supporto reciproco con la comunità di rifugiati curdi presenti a Roma ed in molte città d’Italia.

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