della Staffetta romana per Kobane*
Di ritorno dal
Kurdistan, dal confine turco-siriano a una manciata di terra da Kobane,
dal suo assedio e dalla sua eroica resistenza, è difficile rimettere
insieme le tante emozioni che la lotta del popolo curdo è capace di
regalarti. Abbiamo incontrato un forte desiderio di comprensione
reciproca, di riallacciare quei fili che per tanti anni purtroppo
nell’Europa dell’austerity sembravano essersi spezzati. Ci ha stupito il
ricordo vivo in diverse persone di Dino Frisullo,
capace con la sua esperienza di raccontare e far mobilitare le persone
in favore di un popolo fino ad allora senza voce. Abbiamo capito di
avere un’importante eredità da raccogliere: stiamo tracciando un solco
che dovremo seminare con cura, se vogliamo portare a casa gli ambiziosi
obiettivi che ci siamo preposti.
Siamo andati sulla linea del fronte non perché ci piaccia la guerra o
la sua spettacolarizzazione, ma perché pensiamo che in questo preciso
momento sia molto importante essere vicini alla resistenza di Kobane e
sostenerla. Qui abbiamo osservato aerei americani bombardare le
postazioni dell’Isis. Per chi come noi è cresciuto opponendosi a tutte
le guerre della Nato, è difficile compiacersi di questo show nei cieli.
Insieme ai curdi ci chiediamo quali siano le vere strategie della
Coalizione anti Isis, perché le postazioni dello Stato Islamico sono
bombardate solo all’ingresso di Kobane e non in tutto il territorio
siriano, specialmente lungo il confine turco-siriano.
La guerra contro il regime di Assad è un’ombra che già avvolge il
futuro di tutto il Medio Oriente, forse solo i principi contenuti nel
contratto sociale della Rojava possono evitare l’allargamento del
conflitto a tutta la regione. La Coalizione in questo momento
potrebbe giocare un ruolo importante per il riconoscimento politico del
Pkk e per la riapertura del processo di pace in Turchia. In caso
contrario i curdi, che pur non vorrebbero abbandonare la strada
intrapresa con i colloqui di pace segreti, si troveranno stretti sul
doppio fronte Turchia-Isis.
A Kobane la situazione ora appare abbastanza favorevole alle YPG\YPJ,
che, grazie a tattiche di guerriglia portate dietro le linee nemiche,
stanno liberando la città di Kobane e i villaggi a ridosso della città.
Oltre ai bombardamenti americani, è stato fondamentale per cambiare le
sorti della battaglia l’arrivo dei peshmerga irakeni, a cui il governo
turco ha dato il lasciapassare per entrare con mezzi pesanti nella città
assediata.
In questi giorni ci siamo mossi tra Suruc e il confine turco-siriano.
La nostra base è stata Meseher, più che un villaggio sul confine, una
vera e propria comunità solidale, composta per lo più da parenti ed
amici di chi si trova al fronte. A Suruc abbiamo incontrato la rete che
gestisce l’accoglienza dei profughi, cercando di essere utili dove
serviva. Qui i campi sono gestiti tramite il principio
dell’autogestione – sintomo che dove i semi della democrazia vengono
gettati sono poi difficili da sradicare. Sono nate commissioni tematiche
in tutti i quartieri, insieme alle Case delle donne per costruire un
sistema basato sulla parità dei generi. La co-Presidente della
municipalità di Suruc ci ha consegnato una lettera destinata a tutte
quelle municipalità italiane che volessero sostenere direttamente il
sistema autogestito dei campi profughi.
Nei campi abbiamo appreso che c’è un’alternativa possibile allo
spreco miliardario per la gestione delle cosiddette emergenze, soldi che
potrebbero essere utilizzati direttamente sul campo, senza ingrassare
le tasche del Bertolaso di turno, qualche consorzio di cooperative o le
grandi organizzazioni internazionali. Un sistema alternativo dove chi si
batte per la difesa dei propri territori viene ascoltato ed ha potere
decisionale, dove si prova a costruire un’alternativa alla condizione di
profugo.
Kobane ci mostra che per l’AKP, il partito islamico del premier
Erdogan, l’autodeterminazione curda rappresenta una minaccia maggiore
dello Stato Islamico: Erdogan, ha paura del modello di città
autogovernate sull’esempio della Rojava anche in territorio turco. Un
modello che stride con l’espansione economica della Turchia – che cerca
in tutti i modi di imporsi come nuovo leader regionale – basato su
cemento e sfruttamento delle risorse idriche.
I contenuti della Carta della Rojava sono già patrimonio di
tutte le municipalità in cui l’HDP, il Partito Democratico dei Popoli, è
al governo, anche se le istituzioni democratiche introdotte e praticate
non sono formalmente riconosciute dal governo di Ankara.
Confederalismo, parità di genere, convivenza multietnica, tolleranza
tra diverse religioni: sono questi i principi che si stanno diffondendo,
anche grazie al lavoro di base e di formazione portato avanti per anni
dai militanti del Pkk in ogni piccolo villaggio della zona.
È indice però che il cambiamento di strategia voluto da Ocalan, dalla
lotta per l’indipendentismo al confederalismo democratico, è realmente
sostenuto dalla base del Pkk. I militanti della sinistra curda
incontrati pensano che il cambiamento di strategia sia coerentei con i
cambiamenti del mondo contemporaneo. Per chi viene da una tradizione
marxista-leninista, non deve essere stato facile maturare un’ideologia
così fortemente anti-statuale, per far ciò è stata sicuramente decisiva
la formazione continua dei militanti fatta in ogni villaggio dal
Partito.
Aspettiamo con trepidazione il giorno della liberazione di
Kobane, pur consapevoli che la strada intrapresa verso
l’autodeterminazione dei popoli in Medio Oriente ha dietro l’angolo la
prossima tragedia umanitaria.
Tornati dal confine, avendo visto la guerra a poche centinaia di
metri, siamo ancora più convinti che i principi dell’autonomia
democratica parlano anche alle nostre città, al nostro Paese così come
all’Europa devastata dalla crisi economica e dalle politiche di
austerity. Costruire solidarietà e nuova cooperazione dal basso per
riallacciare i fili delle tante resistenze disperse sui nostri
territori. Oggi la confederazione democratica della Rojava è l’unica
vera alternativa contro la guerra, contro l’autoritarismo vecchio e
nuovo per la costruzione di una reale democrazia.
* La staffetta romana per Kobane muove i primi passi in
settembre, all’interno della Coalizione Popolare Internazionale contro
l’Isis, quando inizia il terzo attacco sferrato dall’Isis contro Kobane.
All’interno della Coalizione, l’Europa democratica dei movimenti si è
mobilitata il primo Novembre per dare voce in Europa alla resistenza del
popolo curdo e per difendere il sistema alternativo di autonomia
democratica creato in Rojava, Contemporaneamente da diversi attivisti da
tutta Italia è arrivata forte l’esigenza di portare materialmente
questo sostegno alle popolazioni colpite dagli attacchi dello Stato
Islamico. Nasce così l’idea di una “staffetta”, con l’obiettivo di
essere vicini alla resistenza in Kurdistan, ma anche per dare maggiore
voce alle richieste dei curdi in Europa e forza alla campagna di
solidarietà per la difesa dell'”esperimento Rojava”, nonché
per migliorare le nostre conoscenze sul funzionamento dell’autonomia
democratica e del confederealismo. Per raggiungere questi obiettivi si
sono organizzate e continuano diverse iniziative, come la raccolta di
medicinali, momenti di analisi ed approfondimento, ma anche eventi di
piazza ed azioni contro le autorità turche, che a più riprese stanno
fornendo sostegno materiale e logistico all’Isis. Per fare ciò è stato
sin da subito fondamentale il supporto reciproco con la comunità di
rifugiati curdi presenti a Roma ed in molte città d’Italia.
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