di Mario Lombardo
Il Congresso
uscente degli Stati Uniti ha consegnato alla Casa Bianca un nuovo
provocatorio pacchetto di sanzioni contro la Russia che il presidente
Obama ha annunciato di voler ratificare entro questo fine settimana. Il
più recente provvedimento, ridicolmente chiamato “Legge a Sostegno della
Libertà in Ucraina” (UFSA), contiene in realtà misure che vanno ben al
di là delle sanzioni in risposta alla presunta aggressione di Mosca ai
danni di Kiev e rappresenta di fatto poco meno che una dichiarazione di
guerra nei confronti del Cremlino.
Le nuove sanzioni sono state
però relativamente ammorbidite in seguito a pressioni sui leader del
Congresso da parte dell’amministrazione Obama, nel timore che
un’eccessiva accelerazione dello scontro con la Russia in questo momento
avrebbe potuto provocare non solo una pericolosa escalation della crisi
ma anche ulteriori frizioni con gli alleati europei, più cauti nel
provocare Mosca per via degli interessi economici in gioco.
Camera
e Senato hanno così approvato un pacchetto che prevede sì la
possibilità di misure punitive molto pesanti ma assegna in pratica la
totale discrezione al presidente per l’effettiva applicazione. Malgrado
questa clausola il messaggio lanciato a Putin appare chiaro, mentre gli
Stati Uniti avranno a disposizione una nuova arma economica e strategica
formidabile per colpire la Russia al cuore dei propri interessi, non
solo in relazione all’Ucraina.
Con l’UFSA, ad esempio, potranno
essere decise sanzioni contro compagnie russe esportatrici di armi - a
cominciare dalla più importante, l’azienda pubblica Rosoboronexport - se
il governo di Mosca sarà ritenuto responsabile di attività di
“destabilizzazione” in Ucraina, ma anche in Georgia, Moldavia e Siria.
Il
presidente americano avrà poi facoltà di penalizzare le compagnie
internazionali che intendono investire in progetti petroliferi in
Russia, mentre saranno ancora più ristrette le norme che regolano
l’export verso la Russia di equipaggiamenti utilizzabili in ambito
energetico.
Il gigante pubblico del gas Gazprom, inoltre,
continua a essere nel mirino di Washington, vista l’ampiezza dei suoi
“asset”, il cui eventuale smembramento suscita gli appetiti dei vertici
delle aziende energetiche occidentali. La Casa Bianca, cioè, potrebbe
vietare investimenti o prestiti a favore di Gazprom se diminuirà il
flusso di gas destinato a Ucraina, Georgia e Moldavia.
Dalle
implicazioni preoccupanti è poi il meccanismo previsto per autorizzare
il presidente ad applicare le cosiddette “sanzioni secondarie”, e dalla
più che dubbia legalità, cioè penalizzazioni ai danni di compagnie di
paesi terzi che contravvengono alle sanzioni di Washington.
L’altro
punto principale del pacchetto sul tavolo di Obama autorizza il governo
USA a fornire armamenti “letali” al regime golpista ucraino per 350
milioni di dollari, inclusi missili anti-carro, droni e radar. Il
presidente americano e il suo entourage avevano sempre respinto
l’ipotesi di trasferire armi offensive a Kiev, visto che ufficialmente
gli USA sostengono di voler promuovere una soluzione pacifica della
crisi nelle province orientali “ribelli”.
Infine, il Congresso ha
stanziato quasi 100 milioni di dollari nei prossimi tre anni per
alimentare la macchina della propaganda a stelle e strisce in Ucraina,
Georgia e Moldavia, come sempre dietro il paravento della promozione
della “democrazia”, della creazione di una “stampa indipendente” e della
“lotta alla corruzione”.
Questo denaro finirà in un già ricco
capitolo di spesa degli Stati Uniti per la propaganda nei paesi dell’ex
blocco sovietico, come aveva confermato mesi fa la stessa assistente al
Segretario di Stato, Victoria Nuland. Quest’ultima, in una conversazione
telefonica intercettata e pubblicata dalla stampa aveva ammesso che il
suo governo aveva “investito” più di 5 miliardi di dollari a partire dal
1991 in Ucraina, così da favorire la crescita della “società civile” e
lo sviluppo delle “istituzioni democratiche”, ovvero per sottrarre
questo paese all’influenza di Mosca.
Le misure punitive ai danni
della Russia contenute nell’UFSA possono in ogni caso non essere
applicate oppure sospese se il presidente reputa che ciò sia
nell’interesse della sicurezza nazionale americana.
Per
comprendere le ragioni dello scontro in atto tra Occidente e Russia -
provocato interamente dalle manovre di Washington e, in seconda battuta,
di Berlino - gli articoli più significativi del nuovo pacchetto di
sanzioni sembrano essere quelli relativi alle misure previste nel caso
Mosca dovesse fornire armi a entità ritenute “destabilizzatrici” in
Ucraina, Georgia e Moldavia “senza il consenso dei rispettivi governi”.
Come ha spiegato un’analisi apparsa questa settimana sul sito web dell’agenzia di stampa governativa russa Ria Novosti,
il riferimento a Georgia e Moldavia in una legge che riguarda l’Ucraina
conferma come gli Stati Uniti intendano condurre un attacco a tutto
campo contro Mosca, allargando il “terreno di battaglia” all’intera area
ex sovietica strategicamente vitale per il Cremlino.
A ciò vanno
poi aggiunte iniziative evidenti da tempo, come la possibile
incorporazione dell’Ucraina o di altri paesi già parte dell’URSS in una
sorta di partnership con la NATO e il posizionamento più o meno
permanente di basi militari e soldati lungo i confini russi. Tutto
questo contribuisce a rafforzare la tesi, condivisa pubblicamente in
questi giorni anche dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov nel
corso di un’intervista alla TV francese, che gli USA e i loro alleati
stiano puntando in maniera sempre più decisa a un cambio di regime anche
a Mosca.
Forse
ancora più rilevante è poi il riferimento alla Siria, dove il ruolo
costruttivo della Russia nella ricerca di una risoluzione negoziata del
conflitto era stato spesso citato dal governo americano. Il cambio di
rotta segnala ora invece un affilamento delle armi dell’imperialismo
USA, già ben visibile dalle manovre con al centro l’Arabia Saudita che
hanno contribuito al crollo del prezzo del greggio che, assieme alle
sanzioni occidentali già applicate, stanno provocando il rapido
deterioramento dell’economia russa.
Il desiderio di colpire Putin
e il suo governo in un ambito totalmente estraeo alla crsi ucraina ha
fatto passare in secondo piano anche le contraddizioni palesi del
provvedimento da poco approvato dal Congresso. Mentre nel caso di
Ucraina, Georgia e Moldavia le sanzioni sono minacciate in caso di
forniture di armi a forze “destabilizzatrici” di questi governi, in
Siria le compagnie russe sono diffidate dal vendere armi al governo di
Damasco, peraltro di gran lunga più legittimo di quello al potere a
Kiev.
Non solo: con un’ironia che deve essere sfuggita ai
legislatori americani, nel caso della Siria sono proprio gli Stati Uniti
a fornire armi in maniera diretta e indiretta ai gruppi di opposizione,
in larga misura fondamentalisti, che hanno provocato la devastazione
del paese mediorientale.
La nuova mossa di Washington è stata
coordinata come previsto con gli alleati europei, le cui apprensioni per
il possibile precipitare della crisi ucraina continuano a essere messe
in secondo piano rispetto al dissennato appiattimento sulle posizioni
americane in relazione alla Russia.
Ad ogni modo, anche l’Unione
Europea ha annunciato questa settimana la propria nuova dose di
sanzioni, sia pure “limitate” agli interessi di Mosca in ambito
energetico nella penisola di Crimea, tornata con l’approvazione della
maggioranza dei propri abitanti entro i confini russi lo scorso mese di
marzo.
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