Ormai è da parecchio che in Italia
abbiamo a che fare con i fondi europei. E questa lunga esperienza ci ha
insegnato molto in termini di sprechi, mancato utilizzo delle risorse,
gestione mafiosa degli appalti e scarsi risultati per i pochi
destinatari degli interventi finanziati dall’Ue. Una lezione che abbiamo
imparato tutti, soprattutto quelli che avrebbero potuto/voluto accedere
ad esempio ad interventi per la formazione o per il lavoro ma che non
hanno potuto farlo perché le informazioni erano vaghe o assenti, i
requisiti troppo stringenti, i fondi erano finiti (salvo poi scoprire
che rimanderemo all’Unione Europea buona parte dei soldi non spesi) e
così via. Motivo per cui oggi, dopo poco dalla partenza dei primi
interventi della “programmazione europea 2014-2020”, ci siamo presentati
con le liste dei disoccupati e precari di Roma e l’Usb sotto la sede
della Regione Lazio per chiedere un incontro con i referenti regionali
dei finanziamenti europei e far presente che a questo giro la vigilanza
su che fine faranno i fondi europei avverrà dal basso. Cosa piuttosto
lecita se si pensa che gli interventi a cofinanziamento europeo
rappresentano attualmente la quasi totalità delle azioni mirate
all’occupazione e quindi quasi l’unica speranza per un non occupato di
sfruttare fondi pubblici per ottenere formazione gratuita o progetti per
l’inserimento occupazionale. Oltre al fatto che ai suddetti non
occupati che contribuiscono con le proprie tasse a fornire i circa 10
miliardi l’anno che l’Italia da all’Ue può legittimamente non star bene
veder sparire quei soldi senza nemmeno avere in cambio interventi per il
lavoro o per il sociale. E questo è il primo punto, più materiale.
Il secondo motivo per cui si è andati
sotto la regione è invece più strettamente politico. Perché guardando
agli interventi programmati dalla Regione si capisce bene il tenore di
quel che accadrà da qui al 2020, rendendo evidente quanto il sistema UE
sia marcio dalla punta alla base. E in quest’ottica vanno distinte le
responsabilità. Più volte abbiamo avuto modo di indicare come le
responsabilità “macro” riguardanti vincoli di bilancio, riforme del
lavoro e politiche fiscali e monetarie appartengano all’Unione Europea e
alla diretta applicazione da parte dei nostri governi nella
legiferazione nazionale. Invece, scendendo più in basso nella piramide
Ue, l’altra responsabilità riguarda come, a livello “micro”, quelle
decisioni si proiettano sui territori attraverso la gestione materiale
delle risorse europee. Ossia, come Regioni e Province attuano progetti
in linea con le direttive europee e come spendono quella mole di soldi.
Per il Lazio, tanto per far capire
l’entità della faccenda, si parla di circa 400 milioni di euro da
spendere tra il 2014-2020 provenienti dal Fondo Sociale Europeo, il
fondo che va a finanziare tutto ciò che riguarda formazione, occupazione
e inclusione sociale. E dando un’occhiata ai progetti
in programma dalla Regione Lazio già ci viene da piangere. Per limiti
di spazio riporteremo solo un paio delle boiate architettate dalla
Regione e da personaggi come Smeriglio, vicepresidente della Regione
Lazio nonché Assessore alla Formazione, Ricerca, Scuola, Università per
il Fondo Sociale Europeo. Smeriglio, uno appartenente a quella sinistra
presunta progressista incarnata da SeL e che poi fa ad esempio uscire un
bando di questo tipo,
ammirabile sul sito del FSE Lazio, mirato a discriminare le persone per
il loro orientamento sessuale e identità di genere. Perché non possiamo
che definirlo così un avviso pubblico che propone ad enti di formazione
e associazioni di fare corsi di formazione, progetti di tirocinio in
azienda e attività di “mediazione” contro la discriminazione rivolti a
12 (d-o-d-i-c-i) persone esclusivamente LGBT. Già ce lo immaginiamo. Io
lesbica/gay/bisex/trans in stato di disoccupazione faccio una domanda
alla regione in cui devo dichiarare per iscritto di essere
lesbica/gay/bisex/trans e di non trovare lavoro per via della
discriminazione di genere e orientamento sessuale sui posti di lavoro.
Mi viene assegnato un tutor, che mi fa formazione e orientamento (di
cosa non si sa, forse sessuale a sto punto), mi aiuta ad attivare un
tirocinio probabilmente gratuito in un’azienda, dove arriverò con il mio
attestato di lesbica/gay/bisex/trans (tipo lettera scarlatta) e dove un
“mediatore” avrà “il compito di guidare e gestire la qualità delle
relazioni interpersonali, facilitare la creazione di ambienti di lavoro
favorevoli, motivare, integrare e partecipare a momenti di condivisione
del percorso di tirocinio, al fine di assicurarne la massima efficacia”
(aiutare a fare amicizia dicendo ai colleghi che in fondo gli LGBT sono
brave persone?). Noi a questo punto speriamo vivamente che questo
avviso sia stato creato per dare lavoro a 12 persone già conosciute,
perché non possiamo credere che nel 2015 qualcuno possa pensare che una
cosa del genere, così intimamente discriminatoria e ghettizzante, possa
combattere le discriminazioni sul lavoro e favorire la parità. E la cosa
imbarazzante (per loro) è che è un progetto creato dagli stessi
supercompagni superprogressisti superamicideigay di SeL.
Un secondo esempio di encomiabile e
innovativa applicazione delle politiche Ue nel Lazio sta in quello che
responsabili regionali come Smeriglio o come l’Assessore al Lavoro Lucia
Valente (PD) propongono come il fiore all’occhiello, la sperimentazione
di massima politica per il lavoro che se andrà in porto fungerà da
modello per il futuro in tutte le regioni: il “contratto di
ricollocazione”. Secondo questo progetto agenzie specializzate private,
come le agenzie per il lavoro (Adecco, Manpower ecc.), i sindacati
confederali e gli enti di formazione, vengono pagate bei soldoni dalla
Regione Lazio per trovare un lavoro ai disoccupati. Cercando di
sintetizzare la contorta mostruosità che c’è dietro, questo intervento
funziona più o meno così: il disoccupato si reca a un Centro per
l’Impiego pubblico – si, esistono ancora – dove, fornendo alcuni dati
generici (età, sesso e poco altro), gli viene assegnato un “voto” a
seconda di quanto sia facile trovargli un lavoro. Carte alla mano, il
disoccupato dovrà poi andare presso una delle suddette agenzie private
che lo supporterà per un periodo di 4 mesi nella ricerca del lavoro,
ricevendo un compenso dalla Regione a seconda del “voto” del
disoccupato: dagli 800 per quelli “facili” ai 2500 euro per i
disoccupati più “difficili” da collocare. Durante i 4 mesi di ricerca
del lavoro, i disoccupati riceveranno un sussidio di circa 600 euro al
mese ma dovranno essere a totale disposizione delle agenzie per
eventuale formazione e accettare qualsiasi tipo di lavoro gli venga
proposto, anche se non c’entra niente con la propria esperienza
professionale. Hai fatto per una vita intera il pasticciere?
Magazziniere da Auchan. Sei laureata in lingue e fai la traduttrice?
Commessa da Piazza Italia. E ringrazia pure, se no ti levano il
sussidio. Poi, oltre a qualsiasi tipo di lavoro, i disoccupati dovranno
inoltre accettarlo in qualsiasi luogo fino a 50 km dal domicilio. E
tanto che ci vuole, se non hai i soldi per permetterti un mezzo privato è
proprio un attimo andare ogni giorno da Roma a Latina coi potenti
trasporti regionali e municipali. Infine, Jobs Act docet, non
illudiamoci che siccome si tratta di fondi europei allora sei tutelato.
Infatti è vero che il contratto di lavoro firmato deve durare minimo 6
mesi (che possono voler dire anche tre minicontratti da due mesi) ma i
lavoratori non avranno nessuna tutela o sicurezza che il lavoro ottenuto
sia pagato adeguatamente, abbia orari e condizioni sostenibili e
soprattutto che continui nel tempo. Ma ricordati sempre di ringraziare,
se no ti levano il sussidio.
A ben vedere, questo meccanismo, oltre
che inserirsi perfettamente nel filone Jobs Act, ricorda parecchio i
mini-jobs tedeschi tanto cari a Renzi, un altro grande successo delle
politiche europee per il lavoro che ha piegato milioni di disoccupati a
lavorare a chiamata, per pochi euro e in posti di lavoro a caso, sotto
il perenne ricatto della disoccupazione o del disconoscimento del
sussidio.
Ciò che poi ci sembra evidente è che il
sistema del contratto di ricollocazione nasconde le potenzialità per
fare una “Mafia Capitale#2” coi fiocchi, attraverso il potenziamento di
un altro “mondo di mezzo”, quello di agenzie private per il lavoro,
sindacati confederali ed enti di formazione, stavolta sulle spalle di
disoccupati e precari. Non si comprende infatti il senso di attribuire
così tanta importanza a questi soggetti di natura privata, se non quello
di andare a finanziare forzatamente quel pezzo di tessuto economico.
Perché alla favola per cui il contributo di questi soggetti aiuta il matching tra domanda e offerta di lavoro e quindi crea occupazione
non ci crede nessuno. C’è la crisi, le imprese chiudono, i padroni
licenziano assumendo stagisti gratis, i contratti sono sempre più
instabili e precari e la regione Lazio viene a dirci che il problema del
lavoro oggi è l’incapacità dei disoccupati di trovare offerte di
lavoro. Davvero un’offesa all’intelligenza delle persone. Persone che,
con un rapido calcolo, si possono rendere facilmente conto di essere
prese per il culo paragonando ad esempio il sussidio di 600 euro al mese
per 4 mesi con gli 800 – 2.500 € (a persona!) che gli enti prenderanno
per supportare la ricerca del lavoro. Soldi che potrebbero andare ai
disoccupati se la ricerca di lavoro fosse fornita gratuitamente dai
Centri per l’Impiego pubblici, che in teoria servirebbero a quello ma
che nella pratica stanno perdendo qualsiasi funzione per essere
progressivamente sostituiti dai soggetti privati.
Insomma, se il buongiorno si vede dal
mattino, pare che la realtà dei fondi europei non farà che peggiorare
rispetto al passato, di pari passo con le tendenze europee. L’egemonia
culturale ed economica dell’Ue, quella della flessibilità, delle
privatizzazioni, dei finanziamenti ai privati ecc., si sta trasmettendo
anche attraverso la gestione dei fondi ad opera delle Amministrazioni
locali che quindi non possono che essere tra i primi referenti nella
nostra opposizione alle politiche dell’Unione Europea. In questo momento
il conflitto capitale lavoro si gioca anche nella partita dei fondi
europei e va capito come affrontalo, sia nella lotta “economica” per
l’ottenimento di formazione e lavoro dignitosi e retribuiti sia nella
parallela assunzione politica della necessità di una continua analisi e
una ferma opposizione agli strumenti (micro e macro) di cui si dota di
volta in volta la borghesia europea.
Tra le richieste portate
all’incontro con i responsabili regionali, riportiamo di seguito i punti
fondamentali individuati dai Disoccupati e precari del VII Municipio:
• che vengano fornite informazioni chiare sugli interventi per il lavoro finanziati con i Fondi Europei;
• che sia garantita la formazione retribuita e che il lavoro proposto sia adeguato all’esperienza;
• che venga assegnato un sussidio più alto e prolungato in caso non si riesca a trovare lavoro;
• che i soldi destinati ad agenzie
private, enti di formazione e sindacati siano dati ai disoccupati e che
il supporto alla ricerca del lavoro sia fatto dai Centri per l’Impiego
pubblici;
• che parte dei fondi siano riservati ai disoccupati e ai precari che partecipano alle liste di lotta;
• che i lavori assegnati ai disoccupati siano distanti al massimo 5 km dal luogo di domicilio;
• infine, che la Regione e i
Municipi si impegnino ad assegnare lavori finalizzati al miglioramento e
alla riqualificazione dei quartieri di domicilio dei lavoratori.
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