di Michele Giorgio – Il Manifesto
Triglie, gamberi e molto altro. Chi avrà soldi da spendere potrà rifornirsi di pesce egiziano fresco e consolarsi per
l’ennesimo duro colpo che il presidente Abdel Fattah al Sisi si prepara
ad infliggere alla popolazione della Striscia di Gaza, con la
motivazione della lotta al “terrorismo” e all’illegalità. Spariranno i
rimanenti 20 tunnel sotterranei per il contrabbando che, si dice,
esisterebbero ancora tra Gaza e la penisola del Sinai. Il colpo
di grazia lo riceveranno dall’acquacoltura, l’allevamento dei pesci che
le autorità egiziane intendono avviare lungo buona parte dei 14 km di
confine con la Striscia. Il Cairo spiega che si tratta di gallerie illegali, usate anche per il traffico di armi e per il passaggio di miliziani.
Senza quei tunnel transfrontalieri per il contrabbando però a Gaza non
entreranno più generi di prima necessità e farmaci a basso costo, pezzi
di ricambio per le auto e macchinari vari a prezzi accettabili e tante
altre cose che hanno tenuto a galla la popolazione in questi nove anni
di embargo israeliano e di isolamento egiziano. Tenendo
presente che il valico di Rafah con il Sinai è organizzato solo per il
passaggio delle persone – in quei rari giorni in cui viene aperto dagli
egiziani – gli abitanti di Gaza presto potranno contare solo su merci
provenienti da Israele, che costano di più e sono soggette a restrizioni
e limitazioni.
Nell’ultimo anno e mezzo i bulldozer militari hanno demolito i
centri abitati egiziani adiacenti a Gaza e costretto la popolazione a
trasferirsi a el Arish e in altre località, pur di distruggere centinaia
di tunnel tra il Sinai e il territorio palestinese. E rigide
misure di sorveglianza sono in atto in tutta la zona. Eppure il Cairo
insiste che tra Gaza e la penisola egiziana andrebbero avanti movimenti
sotterranei di combattenti a sostegno dei gruppi armati affiliati
all’Isis. E ora i bulldozer preparano il terreno per l’allagamento e la costruzione di 18 allevamenti di proprietà dell’esercito. Il sindaco di Rafah, Subhi Radwan,
avverte che la già tanto sfruttata falda idrica di Gaza potrebbe
inquinarsi se gli egiziani useranno acqua di mare per allagare i 14 km
di confine: «Facciamo appello ai nostri fratelli in Egitto per fermare
il lavoro che mette in pericolo la popolazione di Gaza. Abbiamo già
abbastanza problemi: guerre, assedio e una situazione economica
difficile».
Tra i trafficanti di Gaza e migliaia di manovali regna lo sconforto.
«È la fine di un grande business che ha dato da mangiare a migliaia di
persone, oltre a rompere l’assedio israeliano», spiegava qualche giorno
fa Mohammed Abu Shaaban, un commerciante di merci egiziane. Hamas da parte sua dice addio alla “tassa sui tunnel” che in passato ha garantito parecchi milioni di dollari alle sue casse. Il prezzo più alto lo paga la popolazione di Gaza che sprofonda nella povertà, nella disoccupazione, nella invivibilità.
Le Nazioni Unite sono tornate a mettere in guardia sul costante
peggioramento delle condizioni di vita nella Striscia. In un rapporto
dalla Conferenza sul Commercio e lo Sviluppo dell’Onu (Unctad)
diffuso nei giorni scorsi si avverte che Gaza diventerà “inabitabile”
in meno di 5 anni se saranno confermate le tendenze attuali. Il lungo
embargo attuato da Israele dopo la presa del potere da parte di Hamas
nel 2007 e tre operazioni militari negli ultimi sei anni, hanno creato
situazioni insostenibili. L’offensiva “Margine Protettivo” in
particolare ha aggravato la miseria di gran parte della popolazione che
ora dipende largamente dagli aiuti umanitari. Il Pil di Gaza è sceso del
15% nel 2014 e la disoccupazione ha raggiunto il livello record del
44%.
Un quadro sconfortante appesantito dai ripetuti allarmi sulla
scarsità di acqua potabile mentre, denunciavano il mese scorso in una
petizione 35 Ong internazionali, tra le quali Oxfam e Actionaid,
la ricostruzione resta al palo a un anno dal cessate il fuoco tra Hamas
e Israele. «E’ scandaloso che, a un anno dall’ultima guerra,
nessuna casa sia stata ancora completamente ricostruita – hanno scritto
le Ong – la comunità internazionale ha lasciato intere famiglie nelle
macerie… I leader mondiali stanno di fatto permettendo a Israele di
violare le più basilari norme di diritto umanitario».
Dal
cessate il fuoco tra Hamas e Israele del 26 agosto 2014, è entrato a
Gaza soltanto il 5% dei 6,7 milioni di tonnellate di materiale edile
necessario per ricostruire ciò che è stato distrutto. Oltre a decine di migliaia di case, ben 11 scuole ed edifici di università sono stati ridotti in macerie. Altre 253 scuole sono state danneggiate durante l’offensiva israeliana. 120.000 palestinesi inoltre non hanno ancora accesso diretto all’acqua
per la mancata riparazione, dovuta alla penuria di materiali, di 35.000
metri di tubature danneggiate o distrutte. La rete fognaria in molte
zone è inesistente a causa dei danni subiti, con lagune di liquami e
rifiuti non trattati che si riversano in strada.
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