Ma la decisione della Cgil di riunire la propria direzione nazionale dentro l'Expo (facendo pagare alle casse sindacali anche il biglietto di ingresso) continua a suscitare reazioni e polemiche. "La distanza che intercorre tra i vertici della Cgil e i movimenti di popolo che difendono il territorio, l’ambiente e la salute combattendo contro la voracità e la violenza di corposi interessi, con questa scelta diventa abissale. E per questo la combatteremo. Non accetteremo mai che la Cgil diventi un padiglione di Expo" afferma Sergio Bellavita della minoranza Cgil.
Qui di seguito invece la lettera inviataci da una dirigente locale della Cgil impegnata nei movimenti che hanno contestato l'Expo e che contesta apertamente la decisione della direzione nazionale.
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Apprendo solo da notizie diffuse sui social network che la CGIL ha deciso di tenere la prima giornata del Direttivo Nazionale presso la sede EXPO di Milano il prossimo lunedì 5 ottobre 2015. Con la presente sono qui, in qualità di iscritta, RSU eletta nelle liste della CGIL e componente del Direttivo FP Lombardia ad esprimere profondissimo dissenso verso tale scelta.
Userò giusto tre aggettivi per definirla:
inaccettabile: perché fa finta di non vedere che EXPO abbia rappresentato lo sdoganamento del lavoro gratuito e precario, la compressione del diritto di sciopero tramite ricorso costante alla precettazione, il ricorso alla schedatura per le opinioni politiche, l’esaltazione del bene della Nazione e del primato dell’immagine che manda in deroga diritti e tutele, i turni massacranti, le irregolarità e i lavoratori morti nei cantieri, il pretesto per la campagna mediatica di denigrazione di un’intera classe giovanile, la rinuncia al primo maggio. Per restare sui temi del lavoro e non voler allargare la visuale prospettica al debito, alla speculazione sui territori, alle inchieste della Magistratura che meriterebbero una riflessione a parte
irrispettosa: perché è irrispettoso spendere soldi degli iscritti per pagare ai componenti di un Direttivo una visita al Paese dei balocchi (mi risulta, ma spero di essere smentita, che nessuno dei convocati debba pagare di tasca propria un biglietto d'ingresso) ed è irrispettoso schiacciare con decisioni dall’alto malumori già espressi e formalizzati nelle sedi competenti da pezzi sindacali interni sin dall’accordo firmato a luglio 2013.
normalizzatrice: perché va da sé che la scelta di un luogo sia anche la consacrazione della legittimità di quel luogo e l’archiviazione delle contraddizioni (a voler essere gentili) di cui quel luogo è portatore. A ciò si aggiunga che il modello lungi dall’essere un unicum irripetibile si appresta ad essere rieditato col prossimo Giubileo.
Mentre scrivo si sente ancora l’eco del linciaggio mediatico alle lavoratrici e ai lavoratori del Colosseo e la richiesta di Fincantieri Palermo di far sottoscrivere ai lavoratori la rinuncia al diritto di sciopero. Guardate un po’, proprio in virtù della eccezionalità della commessa si realizza lo sgretolamento di un diritto costituzionale. L’eccezione, di cui EXPO è paradigma conclamato, si fa regola e asfalta tutto, compresi diritti indisponibili e di rango costituzionale.
L’attacco al mondo del lavoro è condito da invidia sociale, da conflittualità indotta che mette contro cittadini e lavoratori: era proprio necessario svolgere un Direttivo Nazionale, che si dovrebbe preoccupare di imbastire una massiccia mobilitazione contro chi su queste restrizioni dei diritti aumenta i propri profitti, proprio nel santuario della precarietà e dello sfruttamento? E non mi convincono affatto le giustificazioni di chi dice dobbiamo stare vicino ai lavoratori EXPO.
A quanto ne so l’odg di convocazione del Direttivo non prevede alcuna forma di partecipazione dei lavoratori, di mobilitazione o di focus su dinamiche sviluppatesi a EXPO in questi mesi. Non si sta vicino ai lavoratori legittimando con incontri a platea selezionata il dispositivo derogatorio in cui lavorano. Lo si fa creando assemblee nei luoghi di lavoro, organizzando scioperi per il miglioramento delle condizioni materiali, invitando i lavoratori a parlare ai Direttivi, riempiendo le piazze di contenuti, segnando anche nella scelta dei simboli una linea distintiva tra capitale (multinazionali) e lavoro.
Di Vittorio ci aveva insegnato a non toglierci il cappello davanti al padrone.
Cordialmente
Dafne Anastasi (RSU e componente Direttivo Funzione Pubblica CGIL Lombardia)
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